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samedi, 06 octobre 2012

Salafismo e CIA: destabilizzare la Federazione Russa?

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Salafismo e CIA: destabilizzare la Federazione Russa?

Parte I: la Siria arriva nel Caucaso russo
Il 28 agosto Sheikh Said Afandi, noto leader spirituale della Repubblica autonoma russa del Daghestan, veniva assassinato. Un’attentatrice suicida jihadista era riuscita ad entrare in casa sua e a far esplodere un ordigno esplosivo. L’obiettivo dell’omicidio era stato accuratamente selezionato. Sheikh Afandi, 75enne leader musulmano Sufi, aveva svolto un ruolo critico nel tentativo di giungere ad una riconciliazione in Daghestan, tra i salafiti jihadisti sunniti ed altre fazioni, molti dei quali, in Daghestan, si considerano seguaci Sufi. Senza una sostituzione della sua statura morale e del suo ampio rispetto, le autorità temono un focolaio di guerra settaria nella piccola repubblica autonoma russa. [1]


La polizia ha riferito che l’assassino era una donna di etnia russa convertitasi all’Islam e legata alla rivolta fondamentalista islamica salafita contro la Russia ed i governi regionali fedeli a Mosca, nelle repubbliche autonome e in tutta l’instabile regione musulmana del Caucaso settentrionale. Le popolazioni musulmane in questa regione della Russia e nell’ex Unione Sovietica, tra cui Uzbekistan e Kirghizistan, e nella provincia cinese dello Xinjiang, sono oggetto di varie operazioni di intelligence degli Stati Uniti e della NATO dalla fine della Guerra Fredda nel 1990. Washington vede nella manipolazione dei gruppi musulmani il veicolo per indurre un caos incontrollabile nella Russia e nell’Asia centrale. Attuato dalle stesse organizzazioni impegnate nel creare caos e distruzione in Siria contro il governo di Bashar al-Assad. In un certo senso, come i servizi di sicurezza russi hanno capito chiaramente, se non riescono a fermare l’insurrezione jihadista in Siria, essa si rivolgerà in patria attraverso il Caucaso. I recenti omicidi dei leader moderati Sufi e di altri musulmani del Caucaso, fanno apparentemente parte di ciò che sta diventando sempre più chiaro come, forse, la più pericolosa operazione di intelligence degli Stati Uniti, che sempre opera a livello mondiale con il fondamentalismo islamico. In precedenza, i servizi segreti statunitensi e alleati avevano giocato a tira e molla con le organizzazioni religiose o settarie in tale o tal altro paese. Ciò che rende la situazione particolarmente pericolosa, in particolare dopo la decisione di Washington di scatenare gli sconvolgimenti della malnominata primavera araba, che hanno avuto inizio alla fine del 2010 in Tunisia, diffondendo come un incendio in tutto il mondo islamico, dall’Afghanistan in Asia centrale al Marocco, è l’ondata incalcolabile di uccisioni, odi, distruzione di intere culture che Washington ha scatenato in nome di quel sogno sfuggente chiamato “democrazia”. Utilizzando presunti gruppi salafiti di al-Qaida, sauditi o wahhabiti, o i discepoli del movimento turco di Fethullah Gülen, per incendiare l’odio religioso nell’Islam e contro le altre fedi, che potrebbe richiedere decenni per essere estinto. E che infine potrebbe facilmente sfociare in una nuova guerra mondiale.

La minaccia del fondamentalismo in Caucaso
Dopo lo scioglimento dell’URSS, i mujahidin radicali afghani, islamisti dall’Arabia Saudita, da Turchia, Pakistan e altri paesi islamici, dilagarono nelle regioni musulmane dell’ex Unione Sovietica. Uno dei meglio organizzati di questi gruppi era il movimento di Fethullah Gülen, leader di una rete globale di scuole islamiche e che risulta avere un’influenza importante sulla politica di Erdogan, del partito AKP della Turchia. Gülen si era affrettato a creare The International Daghestan-Turkey College nel Daghestan. Durante i giorni caotici del crollo sovietico, il Ministero della Giustizia della Federazione Russa aveva ufficialmente registrato e autorizzato la libera attività di una serie di fondazioni e organizzazioni islamiche. Tra queste, la Lega del Mondo Islamico, l’Assemblea Mondiale della Gioventù Musulmana, la sospetta fondazione saudita ‘Ibrahim ben Abd al-Aziz al-Ibrahim‘, vicina ad al-Qaida. La lista nera comprendeva anche la fondazione saudita al-Haramein, che sarebbe legata ad al-Qaida, e l’IHH [2], un’organizzazione turca vietata in Germania, che avrebbero raccolto fondi per i combattenti jihadisti in Bosnia, Cecenia e Afghanistan, e accusata dall’intelligence francese di avere legami con al-Qaida. [3]

Molti di questi enti di beneficenza erano coperture dei fondamentalisti salafiti e del loro ordine del giorno speciale. Molti islamisti stranieri in Cecenia e Daghestan erano coinvolti nei disordini regionali e nelle guerre civili, quindi le autorità russe revocarono il permesso per le attività alla maggior parte delle scuole e delle istituzioni islamiche. In tutto il Caucaso del Nord, al momento della guerra Cecena alla fine degli anni ’90, vi erano più di due dozzine di istituti islamici, circa 200 madrase e numerose maktabas (scuole di studio coraniche) presenti in quasi tutte le moschee. L’International Daghestan-Turkey College era stato costretto a chiudere i battenti in Daghestan. Il Collegio era gestito dall’organizzazione di Fethullah Gülen. [4] Al culmine della repressione della diffusione dell’insegnamento salafita in Russia, alla fine degli anni ’90, ci fu un esodo di centinaia di giovani del Daghestan e di studenti musulmani Ceceni in Turchia, Arabia Saudita, Pakistan e in altri luoghi del Medio Oriente, dove avrebbero ricevuto una formazione presso il movimento di Gülen e varie organizzazioni finanziate dai sauditi, tra cui quelle salafite. [5] Si ritiene che gli studenti formati in Russia dai sostenitori di Gülen o dai centri salafiti sauditi e di altri fondamentalisti, siano stati rimandati in Daghestan e nel Caucaso del Nord per diffondere il loro radicalismo islamico. Entro il 2005 la situazione nel Caucaso era così influenzata da questo intervento salafita, che il salafita ceceno Doku Umarov, citato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU per i collegamenti con al-Qaida [6], aveva dichiarato unilateralmente la creazione di ciò che chiamava ‘Emirato del Caucaso’, annunciando che aveva intenzione di creare uno stato islamico basato sulla sharia, comprendente l’intera regione del Caucaso del Nord, tra cui il Daghestan. Modestamente si proclamò emiro dell’Emirato del Caucaso. [7]

Parte II: il salafismo in guerra con la tradizione Sufi
Il salafismo, noto in Arabia Saudita come wahhabismo, è un ceppo fondamentalista dell’Islam che ha attirato l’attenzione del mondo e divenne famoso nel marzo 2001, poco prima degli attacchi dell’11 settembre. Fu allora che il governo salafita dei taliban in Afghanistan, distrusse volontariamente le storiche gigantesche statue del Buddha di Bamiyan, sulla Via della Seta, risalenti al 6° secolo. I leader salafiti taliban vietarono come “anti-islamico” anche tutte le forme di immagini, musica e sport, tra cui la televisione, in conformità con ciò che consideravano la stretta interpretazione della Sharia. Fonti afgane riferirono che l’ordine di distruggere i Buddha proveniva dal jihadista wahhabita saudita Usama bin Ladin, che alla fine convinse il Mullah Omar, leader supremo dei taliban all’epoca, ad attuarlo. [8] Mentre i Sufi incorporano il culto dei santi e le preghiere cerimoniali nella loro pratica, i salafiti condannano come idolatria qualsiasi forma di culto non tradizionale. Chiedono inoltre l’istituzione del governo politico islamico e una sharia rigorosa. Il Sufismo è la culla del grande patrimonio spirituale e musicale dell’Islam, secondo gli studiosi islamici, fornisce una dimensione interiore e mistica, o psico-spirituale, all’Islam, che risale a secoli indietro. Uno studioso Sufi ha descritto il nucleo del Sufismo: “Mentre tutti i musulmani credono di essere sul sentiero di Dio e di avvicinarsi a Dio, in Paradiso, dopo la morte e il ‘Giudizio Universale’; i Sufi credono anche che sia possibile avvicinarsi a Dio e vivere questa vicinanza, mentre si è vivi. Inoltre, il raggiungimento della conoscenza viene ottenuta con una tale intimità con Dio, affermano i Sufi, che è il vero scopo della creazione. Qui parlano del qudsi hadith, in cui Dio afferma, ‘Ero un tesoro nascosto e ho apprezzato il fatto che io sia conosciuto, così ho creato la creazione, al fine di essere conosciuto.’ Quindi, per i Sufi c’è già uno slancio, una continua attrazione esercitata nei loro cuori da Dio, trascinando, con l’amore, verso Dio“. [9]


La corrente mistica del sufismo islamico e la sua aspirazione ad avvicinarsi a Dio, è in netto contrasto con la corrente salafita jihadista o wahhabita, che è armata con armi mortali, predica la falsa dottrina della jihad, e un senso perverso del martirio, impegnandosi in innumerevoli atti di violenza. Non c’è da stupirsi che le vittime della jihad salafita siano per lo più le altre forme pacifiche dell’Islam, tra cui soprattutto i Sufi. L’autorevole 75enne Afandi aveva pubblicamente denunciato il fondamentalismo islamico salafita. Il suo omicidio fece seguito a un attacco coordinato del 19 luglio, contro due alti mufti nella Repubblica del Tatarstan russa, sul Volga. Entrambe le vittime erano capi religiosi riconosciuti dallo Stato che avevano attaccato l’Islam radicale. Quest’ultima serie di omicidi apre un nuovo fronte nella guerra salafita contro la Russia, attacca in particolare i leader sufi musulmani moderati. Se il Daghestan sprofondi o meno in una guerra civile religiosa, che poi si diffonda in tutto il Caucaso russo geopoliticamente sensibile, non è ancora certo. Ciò che è quasi certo è che gli stessi circoli che alimentano violenza e terrore in Siria contro il regime del presidente alawita Bashar al-Assad, sono dietro l’uccisione dello sceicco Afandi, così come degli atti di terrorismo o dei disordini nel Caucaso musulmano in Russia. In modo assai reale, rappresenta uno scenario da incubo per la Russia, una “Siria che arrivi in Russia.” Dimostrando drammaticamente perché Putin ha compiuto uno sforzo così determinato nel fermare la discesa nell’inferno omicida della Siria.

Salafismo e CIA
L’esistenza del cosiddetto marchio jihadista salafita dell’Islam in Daghestan è piuttosto recente. È stato anche deliberatamente importato. Il salafismo è a volte chiamato anche col vecchio nome saudita di wahhabismo. Il wahhabismo era originariamente una forma minoritaria beduina di fede originaria dell’Islam, dominante in Arabia Saudita dal 1700. Irfan al-Alawi e Stephen Schwartz del Centro per il pluralismo islamico danno la seguente descrizione delle condizioni saudite sotto il rigido marchio wahhabita dell’Islam: “Le donne che vivono sotto il governo saudita devono indossare l’abaya, il mantello totale del corpo, e il niqab, il velo sul viso, hanno scarse opportunità di istruzione e di carriera, gli è fatto divieto di guidare veicoli, di contatti sociali con uomini che non siano parenti, e tutte le attività personali devono essere sorvegliate, anche aprire i conti bancari, da un familiare di sesso maschile o da un “custode“. Queste regole wahhabite vengono applicate dal mutawiyin, o milizia morale, conosciuta anche come “polizia religiosa”, ufficialmente designata dalla Commissione per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio (CPVPV), che pattuglia le città saudite, armata di bastoni rivestiti in pelle, liberamente utilizzata contro presunti ribelli. Compiono raid nelle case alla ricerca di alcol e droghe, e molestano i musulmani non-wahhabiti e i credenti in altre fedi“. [10] E’ ampiamente noto che l’oscenamente opulenta e la non così tanto moralmente elevata famiglia reale saudita abbia stretto un accordo faustiano con i leader wahhabiti. L’accordo, presumibilmente, rende i wahhabiti liberi di esportare il propria fanatica forma d’Islam alle popolazioni islamiche del mondo, in cambio di lasciare la famiglia reale saudita al potere. [11] Vi sono, tuttavia, altri oscuri e sporchi cucchiai che agitano lo stufato wahabita-salafita saudita.


Poco conosciuto è il fatto che l’attuale forma aggressiva di wahhabismo saudita, sia in realtà una sorta di fusione tra salafiti jihadisti importati dalla Fratellanza musulmana, in Egitto, e i fondamentalisti wahhabiti sauditi. Importanti membri salafiti della Fratellanza musulmana egiziana furono introdotti dalla CIA nel regno saudita, negli anni ’50, con una complessa serie di eventi, quando Nasser usò la mano pesante contro i Fratelli musulmani, in seguito ad un tentativo di assassinio. Negli anni ’60, l’afflusso in Arabia Saudita di membri egiziani dei Fratelli musulmani in fuga dalla repressione nasseriana, aveva occupato molte importanti cattedre nelle scuole religiose saudite. Tra gli studenti vi era un facoltoso giovane saudita, Usama bin Ladin. [12] Durante il Terzo Reich, la Germania di Hitler aveva sostenuto i Fratelli musulmani come arma contro gli inglesi in Egitto e in altre parti del Medio Oriente. Marc Erikson descrive le radici naziste della Fratellanza musulmana egiziana così: “…Mentre il fascismo italiano e tedesco cercavano una maggiore presenza in Medio Oriente negli anni ’30 e ’40, per contrastare il controllo degli inglesi e dei francesi, una stretta collaborazione tra gli agenti fascisti e leader islamici ebbe inizio. Durante la Rivolta Araba del 1936-1939, l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo dell’intelligence militare tedesca, aveva inviato agenti e denaro per sostenere la rivolta palestinese contro gli inglesi, così come il fondatore dei Fratelli musulmani e “guida suprema”, Hassan al-Banna. Un individuo chiave nel legame fascista-islamista tra i nazisti e al-Banna fu il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin el-Husseini.” [13] Dopo la sconfitta della Germania, l’intelligence inglese si mosse per assumere il controllo della Fratellanza musulmana. In ultima analisi, per ragioni finanziarie e di altro tipo, gli inglesi decisero di consegnare le loro attività con i Fratelli musulmani ai loro colleghi della CIA, negli anni ’50. [14]


Secondo l’ex cacciatore di nazisti del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, John Loftus, “nel corso degli anni ’50, la CIA evacuò i nazisti dei Fratelli musulmani in Arabia Saudita. Ora, quando arrivarono in Arabia Saudita, alcuni dei protagonisti dei Fratelli musulmani, come il dottor Abdullah Azzam, divennero insegnanti nelle madrasse, le scuole religiose. E unirono le dottrine del nazismo con questo strano culto islamico, il wahhabismo”. [15] “Tutti pensano che l’Islam sia una religione fanatica, ma non lo è“, continua Loftus. “Pensano che l’Islam, la versione saudita dell’Islam, sia tipica, ma non lo è. Il culto wahhabita è stato condannato come eresia più di 60 volte dalle nazioni musulmane. Ma quando i sauditi divennero ricchi, comprarono un grande silenzio. Si tratta di un culto molto duro. Il wahhabismo è praticato solo dai taliban e dall’Arabia Saudita, per quanto sia estremo. Non ha davvero nulla a che fare con l’Islam. L’Islam è una religione molto pacifica e tollerante. Ha sempre avuto buoni rapporti con gli ebrei, nei primi mille anni della sua esistenza“.[16] Loftus ha individuato il significato di quello che oggi sta emergendo dall’ombra, consegnando l’Egitto al Presidente Morsi dei Fratelli musulmani, e il cosiddetto Consiglio nazionale siriano, in realtà dominato dai Fratelli musulmani e pubblicamente guidato dal più “politicamente corretto” o presentabile degli artisti del calibro di Bassma Kodmani. Kodmani, portavoce per gli Affari esteri del CNS, è stata due volte ospite al raduno dell’élite del Bilderberg, più recentemente a Chantilly, in Virginia, all’inizio di quest’anno. [17]


La caratteristica più bizzarra e allarmante dei cambi di regime finanziati dagli USA, avviati nel 2010, e che hanno portato alla distruzione del regime arabo laico di Hosni Mubarak in Egitto, di Muhammar Gheddafi in Libia e del regime laico del presidente Ben Ali in Tunisia, e che hanno portato alla distruzione selvaggia in tutto il Medio Oriente, in particolare negli ultimi diciotto mesi in Siria, è l’emergente modalità di presa di potere dei rappresentanti salafiti della torbida Fratellanza musulmana. Secondo fonti informate, i Fratelli musulmani, islamici sunniti finanziati dai sauditi, domina i membri del Consiglio nazionale siriano in esilio, sostenuti dalla Segretaria del Dipartimento di Stato USA, Clinton e dalla Francia di Hollande. La Fratellanza musulmana siriana è legata, non a caso, alla Fratellanza musulmana egiziana del presidente Mohammed Morsi, che di recente, alla riunione dei Paesi Non Allineati in Iran, aveva chiesto apertamente la rimozione di Assad dalla Siria, un passo logico affinché i suoi Fratelli musulmani in Siria, presenti nel Consiglio Nazionale, prendano le redini del potere. I sauditi dicono anche di aver finanziato l’ascesa al potere in Tunisia del governo islamista del partito Ennahda, [18] e sono documentati i finanziamenti della Fratellanza musulmana, che domina il Consiglio nazionale siriano contrario al presidente Bashar al-Assad. [19]

Parte III: il regno del terrore salafita di Morsi
Indicativo del vero programma attuale della Fratellanza musulmana e dei jihadisti collegati, è il fatto che una volta che avranno il potere, faranno cadere il velo della moderazione e della riconciliazione, e riveleranno le loro radici violentemente intolleranti. Questo è visibile in Egitto oggi, con il  presidente dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi. Non vengono trasmessi dai principali media occidentali, fino ad oggi, gli allarmanti rapporti diretti delle organizzazioni missionarie cristiane in Egitto, secondo cui i Fratelli musulmani di Morsi hanno già cominciato a far cadere il velo della “moderazione e conciliazione“, mostrando i loro colore da brutali salafiti totalitari, similmente a quanto fecero in Iran le forze radicali della Sharia di Khomeini, dopo aver preso il controllo nel 1979-81.

In una lettera diffusa dalla missione Christian Aid (CAM), un missionario cristiano egiziano ha scritto che la Fratellanza musulmana di Morsi “ha annunciato che avrebbe distrutto il paese, se Morsi non avesse vinto, ma hanno anche detto che si vendicheranno di tutti coloro che hanno votato per [il suo avversario Ahmed] Shafiq, soprattutto i cristiani, in quanto sono sicuri che abbiamo votato per Shafiq. Ieri hanno cominciato uccidendo due credenti ad al- Sharqiya, a causa di ciò“, ha aggiunto il missionario, parlando in condizione di anonimato. [20] La presente relazione è stata pubblicata poche settimane dopo che la TV di Stato egiziana (sotto il controllo di Morsi) ha mostrato le immagini del spaventoso video di un convertito dall’islam al cristianesimo ucciso da musulmani. Il filmato ha mostrato un giovane costretto da uomini mascherati con un coltello alla gola. Mentre si sente un uomo cantare preghiere musulmane in arabo, che per lo più condannavano il cristianesimo, un altro che teneva il coltello alla gola del convertito cristiano cominciava a decapitarlo, lentamente, tra grida di “Allahu Akbar” (“Allah è grande”), secondo le trascrizioni. Nella lettera, il missionario egiziano aggiungeva che, “subito dopo che Morsi ha vinto, ai cristiani in Egitto è stato impedito con la forza di andare in chiesa.” Molti musulmani, la lettera affermava, “hanno cominciato a dire alle donne, in strada, che dovevano indossare l’abbigliamento islamico compreso di copricapo. Si comportano come se avessero il controllo del paese, e lo hanno, ora“. [21]

Già nel 2011 i seguaci salafiti di Morsi hanno cominciato ad attaccare e a distruggere le moschee Sufi in tutto l’Egitto. Secondo l’autorevole quotidiano al-Masry al-Youm (l’Egiziano oggi), 16 moschee storiche di Alessandria appartenenti ad ordini Sufi, sono state contrassegnati per essere distrutte dai cosiddetti “salafiti”. Alessandria dispone di 40 moschee associate ai Sufi, ed è la sede di 36 gruppi Sufi. Mezzo milione di Sufi vive in città, su un totale di quattro milioni di persone. L’aggressione contro i Sufi in Egitto, include un raid contro la moschea più illustre di Alessandria, che prende il nome, e alloggia, la tomba del 13° secolo del Sufi Al-Mursi Abul Abbas. [22] In particolare, il cosiddetto regime “democraticamente eletto” in Libia, dopo il rovesciamento nel 2011 di Muammar Gheddafi, grazie alle bombe della NATO, è stato anch’esso zelante nel distruggere le moschee e i luoghi di culto Sufi. Ad agosto di quest’anno, la Direttrice Generale dell’UNESCO, Irina Bokova, ha espresso “grave preoccupazione” per la distruzione da parte dei jihadisti, dei siti islamici Sufi a Zliten, Misurata e Tripoli, e ha invitato gli autori a “cessare immediatamente le distruzioni“. [23] In fondo, dietro le quinte, il governo libico è dominato da jihadisti e dai seguaci dei Fratelli musulmani, come in Tunisia e in Egitto. [24]


Il cocktail esplosivo di violenze insito nel permettere l’ascesa al potere degli islamisti salafiti in tutto il Medio Oriente, è abbastanza chiaro; simbolicamente la notte dell’11 settembre scorso, una folla di sostenitori arrabbiati del gruppo salafita fanatico Ansar al-Sharia, assassinava l’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia e tre diplomatici statunitensi, bruciando il consolato statunitense a Bengasi, in segno di protesta per la pubblicazione su YouTube di un film di un regista statunitense, che mostra il profeta Maometto indulgere in affari sessuali multipli e mettere in dubbio il suo ruolo di messaggero di Dio. Ironia della sorte, l’ambasciatore degli Stati Uniti aveva avuto un ruolo chiave nel rovesciare Gheddafi aprendo la porta alla conquista salafita della Libia. Allo stesso tempo, folle inferocite di migliaia di salafiti circondavano l’ambasciata statunitense a Cairo, in segno di protesta per il film degli Stati Uniti. [25] Ansar al-Sharia (Partigiani della “legge islamica” in arabo) sarebbe una derivazione di al-Qaida e reclama una presenza  in tutto il Medio Oriente, dallo Yemen alla Tunisia, Iraq, Egitto e Libia. Ansar al-Sharia afferma di voler riprodurre il modello ristretto di sharia o legge islamica abbracciato dai taliban in Afghanistan, e dallo Stato islamico dell’Iraq, un gruppo militante ombrello che comprende al-Qaida in Iraq. Il nucleo del gruppo sono dei jihadisti che provengono da uno “stato islamico”, sia  l’Afghanistan di metà degli anni ’90, o i jihadisti in Iraq, dopo l’invasione degli USA nel 2003. [26]

La detonazione deliberata, oggi, di un nuovo ciclo di terrore fondamentalista jihadista salafita nelle regioni musulmane del Caucaso russo, ha origini squisitamente politiche, in tempo per esercitare la massima pressione interna sul governo della Russia di Vladimir Putin. Putin e il governo russo sono i sostenitori più forti ed essenziali del governo siriano di Bashar al-Assad, e per la Russia il mantenimento della sola base navale del Mediterraneo della Russia, nel porto di Tartus in Siria, è di vitale importanza strategica. Allo stesso tempo, il messaggio subdolo di Obama a Medvedev di attendere la rielezione di Obama per valutare l’intenzione degli Stati Uniti nei confronti della Russia, e il recente commento criptico di Putin, secondo cui un compromesso con il ri-eletto presidente Obama potrebbe essere possibile, ma non con un Romney presidente, [27] indicano che la tattica di Washington con Mosca del “bastone e carota” o del poliziotto buono – poliziotto cattivo, potrebbe tentare la Russia a sacrificare le principali alleanze geopolitiche, forse anche la speciale e recente stretta alleanza geopolitica con la Cina. [28] Se ciò accadesse, il mondo potrebbe assistere al “reset” nelle relazioni USA-Russia, con conseguenze catastrofiche per la pace nel mondo.

*F. William Engdahl è l’autore di Full Spectrum Dominance: la democrazia totalitaria del Nuovo Ordine Mondiale

Note
[1] Dan Peleschuk, Sheikh Murdered Over Religious Split Say Analysts, RIA Novosti, 30 Agsto 2012.

[2] Mairbek  Vatchagaev, The Kremlin’s War on Islamic Education in the North Caucasus, North Caucasus Analysis Volume: 7 Issue: 34
[3] Iason Athanasiadis, Targeted by Israeli raid: Who is the IHH?, The Christian Science Monitor, 1 Giugno 2010.
[4] Ibid.
[5] Mairbek Vatchagaev, op. cit.
[6] UN Security Council, QI.U.290.11. DOKU KHAMATOVICH UMAROV, 10 Marzo 2011. La dichiarazione delle Nazioni Unite recita: “Doku Umarov Khamatovich è stato inserito il 10 marzo 2011 ai sensi del paragrafo 2 della risoluzione 1904 (2009) come associati ad al-Qaida, Usama bin Ladin o ai taliban per “aver partecipato al finanziamento, pianificazione, facilitazione, preparazione o esecuzione di atti o attività di, in collaborazione con, nel nome di, per conto di o a sostegno, reclutamento, rifornimento, vendita o trasferimento di armi e materiale bellico” e “altri atti o attività di sostegno” al Gruppo della Jihad islamica (QE.I.119.05), al Movimento islamico dell’Uzbekistan (QE.I.10.01), al Battaglione ricognizione e sabotaggio dei Martiri ceceni Riyadus-Salikhin (RSRSBCM) (QE.R.100.03) e all’Emarat Kavkaz (QE.E.131.11).”
[7] Tom Jones, Czech NGO rejects Russian reports of link to alleged Islamist terrorists al-Qaeda, 10 Maggio 2011.
[8] The Times of India, Laden ordered Bamyan Buddha destruction, The Times of India, 28 Marzo 2006.
[9] Dr. Alan Godlas, Sufism — Sufis — Sufi Orders
[10] Irfan Al-Alawi and Stephen Schwartz, Wahhabi Internal Contradictions as Saudi Arabia Seeks Wider Gulf Leadership, Center for Islamic Pluralism, 21 Maggio 2012.
[11] Irfan Al-Alawi and Stephen Schwartz, Wahhabi Internal Contradictions as Saudi Arabia Seeks Wider Gulf Leadership, 21 Maggio 2012.
[12] Robert Duncan, Islamic Terrorisms Links to Nazi Fascism, AINA, 5 Luglio 2007.
[13] Marc Erikson, Islamism, fascism and terrorism (Part 2), AsiaTimes.Online, 8 Novembre 2002.
[14] Ibid.
[15] John Loftus, The Muslim Brotherhood, Nazis and Al-Qaeda, Jewish Community News, 11 Ottobre 2006
[16] Ibid.
[17] Charlie Skelton, The Syrian opposition: who’s doing the talking?: The media have been too passive when it comes to Syrian opposition sources, without scrutinising their backgrounds and their political connections. Time for a closer look…, London Guardian, 12 Luglio 2012.
[18] Aidan Lewis, Profile: Tunisia’s Ennahda Party, BBC News, 25 Ottobre 2011.
[19] Hassan Hassan, Syrians are torn between a despotic regime and a stagnant opposition: The Muslim Brotherhood’s perceived monopoly over the Syrian National Council has created an opposition stalemate, The Guardian, UK, 23 Agosto 2012.
[20] Stefan J. Bos, Egypt Christians Killed After Election of Morsi, Bosnewslife, 30 Giugno 2012.
[21] Ibid.
[22] Irfan Al-Alawi, Egyptian Muslim Fundamentalists Attack Sufis, Guardian Online [London], 11 Aprile 2011
[23] Yafiah Katherine Randall, UNESCO urges Libya to stop destruction of Sufi sites, 31 Agosto 2012, Sufi News and Sufism World Report.
[24] Jamie Dettmer, Libya elections: Muslim Brotherhood set to lead government, 5 Luglio 2012, The Telegraph, London.
[25] Luke Harding, Chris Stephen, US ambassador to Libya, killed in Benghazi attack: Ambassador and three other American embassy staff killed after Islamist militants fired rockets at their car, say Libyan officials, London Guardian, 12 Settembre 2012.
[26] Murad Batal al-Shishani, Profile: Ansar al-Sharia in Yemen, 8 Marzo 2012 .
[27] David M. Herszenhorn, Putin Says Missile Deal Is More Likely With Obama, The New York Times, 6 Settembre 2012. Secondo un’intervista che Putin ha dato alla TV statale di Mosca RT, riferisce Herszenhorn, “Putin ha detto di ritenere che se Obama viene rieletto a novembre, un compromesso potrebbe essere raggiunto sulla questione controversa dei piani statunitensi sul  sistema di difesa antimissile in Europa, che la Russia fortemente contrasta. D’altra parte, Putin ha detto, se il signor Romney diventa presidente, Mosca dovrà temere che il sistema missilistico che è, nonostante le assicurazioni statunitensi, diretto in realtà contro la Russia, quasi certamente diventerà una realtà. “E’ possibile trovare una soluzione al problema, se l’attuale presidente Obama viene rieletto per un secondo mandato? In teoria, sì“, ha detto Putin, secondo la trascrizione ufficiale pubblicato sul sito Web del Cremlino. “Ma questo non è solo il presidente Obama. Per quanto ne so, il suo desiderio di trovare una soluzione è abbastanza sincero“, ha proseguito Putin. “L’ho incontrato di recente a margine del vertice del G-20 a Los Cabos, in Messico, dove abbiamo avuto la possibilità di parlare. E anche se abbiamo parlato per lo più della Siria, potevo ancora fare un bilancio della mia controparte. La mia sensazione è che è un uomo molto onesto, e che vuole sinceramente fare molti cambiamenti positivi. Ma può farlo? Saranno in grado di farglielo fare?”
[28] M.K. Bhadrakumar, Calling the China-Russia split isn’t heresy, Asia Times, 5 Settembre 2012.

Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

vendredi, 05 octobre 2012

Presseschau - September 2012

 

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Presseschau
September 2012
 
Wieder eine ganze Menge Stoff hat sich im September angesammelt. Die Zeit scheint aufregend zu sein. Bei Interesse einfach den jeweiligen Link anklicken...

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AUßENPOLITISCHES

(lange Version) Goldman Sachs - Eine Bank lenkt die Welt (arte HD)
https://www.youtube.com/watch?v=IupbE7JBRAw

Angst vor Mega-Crash: Mysteriöse Vorgänge bei Morgan Stanley
http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2012/09/01/angst-vor-mega-crash-mysterioese-vorgaenge-bei-morgan-stanley/

Kommentar zur Präsidentschaftswahl in den USA und Mitt Romney
Kommentar: Kandidat der Peinlichkeiten
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/kandidat-peinlichkeiten-2509834.html

Prof. Schachtschneider - Europäischer Bundesstaat wird erzwungen, am Ende sind alle bankrott
http://www.goldseiten.de/artikel/149920--Prof.-Schachtschneider---Europaeischer-Bundesstaat-wird-erzwungen-am-Ende-sind-alle-bankrott.html

Verstaatlichung in Frankreich: Bankpleite bringt Hollande in Not
http://www.ftd.de/politik/europa/:verstaatlichung-in-frankreich-bankpleite-bringt-hollande-in-not/70084958.html

Fotostrecke
Spaniens Ruinen der Immobilienkrise
http://www.zeit.de/wirtschaft/2010-06/fs-immobilien-spanien

Spanien
Im Lande der Bauruinen
http://www.augsburger-allgemeine.de/wirtschaft/Im-Lande-der-Bauruinen-id17567751.html

Italien
Fiskus entdeckt eine Million „illegale“ Gebäude
http://www.stol.it/Artikel/Politik-im-Ueberblick/Politik/Fiskus-entdeckt-eine-Million-illegale-Gebaeude

(dazu, wenn auch etwas älter)
Baukorruption in Italien
Geldstrafen stoppen nicht den illegalen Bauboom
http://suite101.de/article/baukorruption-in-italien-a53932

Griechen prüfen weitere Reparationsforderungen gegen Deutschland
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M560c81b91dc.0.html

(Einfach Rettungsschirm aufstocken…)
NS-Besatzung: Griechenland fordert 300 Milliarden Euro Wiedergutmachung
http://www.unzensuriert.at/content/0010046-NS-Besatzung-Griechenland-fordert-300-Milliarden-Euro-Wiedergutmachung

(Deutsch-griechischer Konflikt humoristisch gespielt)
A Very European Break Up
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=q5FT47kLZfs

Vortrag von Professor Dr. Dr. Wolfgang Berger zur Finanzkrise
http://www.youtube.com/watch?v=1Ks_CAbL4ro

Der mächtigste Staat der Erde: Die City of London - Prof. Dr. Dr. Wolfgang Berger
http://www.youtube.com/watch?v=rMwyBnxhIAY

Arbeitsmigration Eltern in Wien, Kind in Rumänien
Viele Rumänen ziehen auf der Suche nach Arbeit in andere EU-Länder – und lassen ihre Kinder zurück. Laut Unicef gibt es 350.000 rumänische "Eurowaisen" im Jahr.
http://www.zeit.de/gesellschaft/2012-09/rumaenien-eurowaisen

Kosovo und die Souveränität
Selbstbestimmt und kontrolliert
http://www.sueddeutsche.de/politik/kosovo-und-die-souveraenitaet-selbstbestimmt-und-kontrolliert-1.1463436

Anderthalb Millionen auf der Straße
Katalanen fordern Unabhängigkeit von Spanien
http://www.stern.de/politik/ausland/anderthalb-millionen-auf-der-strasse-katalanen-fordern-unabhaengigkeit-von-spanien-1893367.html

Unabhängigkeitsreferendum
Madrid droht Katalonien
http://www.faz.net/aktuell/politik/unabhaengigkeitsreferendum-madrid-droht-katalonien-11906641.html

(Kommentar zu den Unruhen in der arabischen Welt)
Ich bin beleidigt!
http://www.blu-news.org/2012/09/13/ich-bin-beleidigt/

Hier der besagte…
Muhammad Movie Trailer
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=qmodVun16Q4

Mob stürmt deutsche Botschaft im Sudan
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b62d6e9588.0.html

Die Leute hinter “Innocence of Muslims”
http://julius-hensel.com/2012/09/die-leute-hinter-innocence-of-muslims/#comments

"Muslim Rage" Newsweek-Cover löst Spott und Ärger aus
http://www.zeit.de/politik/ausland/2012-09/newsweek-muslime-video-cover

Islamisten verbieten „unanständiges Tanzen“ auf den Malediven
http://www.unzensuriert.at/content/0010064-Islamisten-verbieten-unanst-ndiges-Tanzen-auf-den-Malediven

Islamisten profitieren von Libyens Zerfall
http://www.unzensuriert.at/content/0010081-Islamisten-profitieren-von-Libyens-Zerfall

Verfassungsschutz wegen Ausreise von Salafisten nach Ägypten besorgt
http://www.welt.de/newsticker/news2/article109129144/Verfassungsschutz-wegen-Ausreise-von-Salafisten-nach-Aegypten-besorgt.html

Besteseller-Autor Hesemann warnt
Historiker: Lebensgefahr für Christen in Ägypten
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/historiker-michael-hesemann-lebensgefahr-christen-aegypten-2509246.html

Kairo
Islamist wegen Bibelschändung angeklagt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M54b68895bf6.0.html

Iran: Zum Tode verurteilter Pastor ist frei
http://www.factum-magazin.ch/wFactum_de/aktuell/2012_09_10_Nadarkani_frei.php

Ahmadinedschad vor der Uno-Vollversammlung 2012 - Komplette Rede 1/3
http://www.youtube.com/watch?v=pCjl-MaMu68

Magazin Charlie Hebdo druckt Sonderauflage mit Mohammed-Karikaturen
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/magazincharlie-hebdo-druckt-sonderauflage-mohammed-karikaturen-2510414.html

Selbstbild als ewiges Opfer des respektlosen Westens
Viele Muslime fordern Respekt gegenüber ihrem Propheten Mohammed. Das bedeutet aber noch lange nicht, dass sie diesen auch anderen Religionen erweisen. Über das Messen mit zweierlei Maß.
http://www.welt.de/politik/ausland/article109337821/Selbstbild-als-ewiges-Opfer-des-respektlosen-Westens.html

Terrordrohung gegen Dom in Bologna wegen “Nacktbild” Muhammads
http://religionv1.orf.at/projekt02/news/0206/ne020625_bologna_fr.htm

Marokkaner sollen Anschlag auf Kirche in Bologna geplant haben
http://www.schweizergeschichte.ch/index.php/D/article/196/3407/

Radikale Muslime in Bangladesch
Polizei nimmt 166 mutmaßliche Tempelschänder fest
http://www.spiegel.de/panorama/gesellschaft/bangladesch-polizei-nimmt-166-mutmassliche-tempelschaender-fest-a-858932.html

Großbritannien
Politisch korrekte Vergewaltigung
Tausende Mädchen in Großbritannien werden Opfer von “Sexgangs”. Selbst Mordfälle sind dokumentiert. Und die politisch korrekte Gesellschaft schweigt.
http://www.blu-news.org/2012/09/28/politisch-korrekte-vergewaltigung/
Hier der Originalartikel mit den schönen Kulturbereicherern…
http://www.dailymail.co.uk/news/article-2209662/Betrayed-PC-brigade-From-Mail-writer-revealed-scandal-Muslim-sex-gangs-damning-expos--politically-correct-police-social-workers-betrayed-underage-white-victims--.html?openGraphAuthor=%2Fhome%2Fsearch.html%3Fs%3D%26authornamef%3DSue%2BReid&videoPlayerURL=http%3A%2F%2Fc.brightcove.com%2Fservices%2Fviewer%2Ffederated_f9%3FisVid%3D1%26isUI%3D1%26publisherID%3D1418450360%26playerID%3D72484359001%26domain%3Dembed%26videoId%3D&hasBCVideo=true&BCVideoID=1863440073001

Englische Nationalmannschaft
John Terry tritt zurück und attackiert englischen Verband
John Terry reicht es: Obwohl er von einem Gericht freigesprochen wurde, ermittelt der englische Fußball-Verband weiter gegen ihn in der Rassismus-Affäre.
http://www.abendblatt.de/sport/article109430692/John-Terry-tritt-zurueck-und-attackiert-englischen-Verband.html

Israel
Olmert zu einem Jahr Haft auf Bewährung und Geldstrafe verurteilt
http://www.welt.de/newsticker/dpa_nt/infoline_nt/schlaglichter_nt/article109429571/Olmert-zu-einem-Jahr-Haft-auf-Bewaehrung-und-Geldstrafe-verurteilt.html

Julian Assange
Der Gefangene des Zwischenreichs
http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/debatten/julian-assange-der-gefangene-des-zwischenreichs-11882609.html

Massenflucht von Häftlingen in Mexiko
123 Insassen entkommen durch Tunnel
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/print_politik/article109314530/Massenflucht-von-Haeftlingen-in-Mexiko.html

Deutsch-Russische Beziehungen - Prof.Dr.Wjatscheslaw Daschitschew
http://www.youtube.com/watch?v=dgOmTSh4Scs&list=UU8XvlAZyv9yctl-VGdRoPyw&index=1&feature=plcp

Armin Siebert (Eastblok Music) über Pussy Riot und die Musikszene in Russland
http://www.musikmarkt.de/Aktuell/Interviews/Armin-Siebert-Eastblok-Music-ueber-Pussy-Riot-und-die-Musikszene-in-Russland

(Armenien-Bergkarabach-Aserbaidschan)
Erneute Kriegsgefahr im Kaukasus (3 Links)
http://www.taz.de/Kommentar-Aserbaidschan-Armenien/!100950/
http://www.boerse-go.de/nachricht/Fall-Safarov-macht-anhaltende-Auswirkungen-des-Berg-Karabach-Konflikts-deutlich,a2916925.html
http://www.berlinerumschau.com/news.php?id=62021&title=Armeniens+Parlament+stimmt+%FCber+Anerkennung+von+Bergkarabach+ab&storyid=1001346764465

INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK

Wahlalternative 2013
http://www.wa2013.de/

Euro-Rettungsschirm
ESM verstößt gegen Gesetz und EU-Verträge
http://www.welt.de/debatte/article108947819/ESM-verstoesst-gegen-Gesetz-und-EU-Vertraege.html#disqus_thread

Großes Lob für ESM-Entscheidung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M525b8c2b171.0.html

Finanzmärkte bejubeln den Tod der Bundesbank
http://www.welt.de/finanzen/article109060047/Finanzmaerkte-bejubeln-den-Tod-der-Bundesbank.html

Friedrich Romig: „Putsch gegen das eigene Volk“
http://www.sezession.de/33694/friedrich-romig-putsch-gegen-das-eigene-volk.html#more-33694

Hochverrat durch Wolfgang Schäuble
http://www.youtube.com/watch?v=n_rs9KyKZG4&feature=fvwrel

Das Ende einer Illusion
Aus dem Karlsruher Urteil die richtigen Lehren ziehen
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=379

Das kommende Flächenbombardement
Inflationspolitik für Superreiche und Schuldenmacher
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=382

Der Fluch des Papiergeldes
Vortrag des Ökonomen Dr. Thorsten Polleit bei den Freien Wählern Frankfurt
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=380

Vermögenssteuer: SPD will totalen Überwachungsstaat
http://www.mmnews.de/index.php/politik/10843-vermoegenssteuer-spd-will-totalen-ueberwachungsstaat

Clown-Union zur Euro-Rettungspolitik
http://www.blog.blauenarzisse.de/5186/clown-union-zur-euro-rettungspolitik.html

Wird Inventur des Bundesbank-Goldes zur Staatsaffäre?
http://www.wiwo.de/politik/konjunktur/stimmt-es-dass-wird-inventur-des-bundesbank-goldes-zur-staatsaffaere/7187540.html

Simulation
Berlin droht bei mehrtägigem Stromausfall Chaos
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/simulation-berlin-droht-bei-mehrtaegigem-stromausfall-chaos-a-777541.html

Die deutsche Sucht nach Gleichmacherei
Frauenquote, Mindestlohn, Vermögensabgabe – die Politik liebäugelt mit neuen Maßnahmen, weil sie Ungleichheit mit Ungerechtigkeit gleichsetzt. Dabei sorgt der Markt für mehr Fairness als der Staat.
http://www.welt.de/debatte/kommentare/article109418261/Die-deutsche-Sucht-nach-Gleichmacherei.html

Tausenden Bäckereien in Deutschland droht das Aus
Wachsende Zahl von Backautomaten in Discountern und Supermärkten heizt das Bäckereisterben an
http://www.welt.de/newsticker/news3/article109430708/Tausenden-Baeckereien-in-Deutschland-droht-das-Aus.html

„Auf keinen Fall CDU oder FDP wählen!“
Interview mit Manfred Kleine-Hartlage über seinen Abfall vom linken Glauben, politische Chancen des deutschen Konservatismus und die Bundestagswahl 2013
http://www.citizentimes.eu/2012/09/10/auf-keinen-fall-cdu-oder-fdp-wahlen/

„Warum ich kein Linker mehr bin“ – Fragen an Manfred Kleine-Hartlage
http://www.sezession.de/33777/warum-ich-kein-linker-mehr-bin-fragen-an-manfred-kleine-hartlage.html#more-33777

Peer Steinbrück und die K-Frage, die es nie gab
http://www.sezession.de/33970/peer-steinbrueck-k-frage-kanzlerkandidat.html#more-33970

Zwei Bücher, 60 Vorträge und über eine Millionen Euro: Die Nebeneinkünfte des Peer Steinbrück (mit Update)
http://blog.abgeordnetenwatch.de/2010/08/17/ein-buch-29-vortrage-und-einige-hunderttausend-euro-die-nebeneinkunfte-des-peer-steinbruck/

Steinbrück bei Beckmann zu seinen geschwänzten Parlamentssitzungen
http://www.youtube.com/watch?v=NEONJ6pDkro&feature=related
Steinbrück und die Bonzenschleuder
http://www.youtube.com/watch?v=4M2lLFXxGzY

Wer braucht noch Schwarz-Gelb?
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M500a8c54b4c.0.html

(Zu „staatliche Selbstverwaltung“)
Austritt aus der Staatssimulation
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5e00a2d5eb7.0.html

(Zur Werbekampagne der Bundeswehr)
Mit Y-Tours auf Abenteuer-Urlaub
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5cf3e4d7d53.0.html

Bildung - OECD: Jeder Fünfte schafft nicht das Bildungsniveau der Eltern
http://newsticker.sueddeutsche.de/list/id/1360690

Özdemir erhält Orden wider den tierischen Ernst
http://www.welt.de/regionales/koeln/article109193298/Oezdemir-erhaelt-Orden-wider-den-tierischen-Ernst.html

(Zur Piratenpartei)
Klarmachen zum Kentern
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5ffa641a1c7.0.html

Münster
Neuer Wirbel um Volksabstimmung über Hindenburg-Platz
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5a9b419ec23.0.html

Münsteraner stimmen gegen Hindenburgplatz
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M50476e7303b.0.html

Stresemann-Club. Rechtsliberale in der FDP
http://rechtsliberale.wordpress.com/

(Zu Truman und der Atombombe)
Tugend und Präsidentschaft (II)
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M56f84e35f14.0.html

LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS

Die schönsten Distanzierungen gegen Rechts, Vol. 1
http://www.sezession.de/33581/die-schonsten-distanzierungen-gegen-rechts-vol-1.html

Avanti Denunzianti
Von Thorsten Hinz
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d613989ff2.0.html

Wirbel um NSU-Akten beim Militärischen Abschirmdienst
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b7073ac410.0.html

Polizei-Gewerkschaft: Neonazi-Datei geht nicht weit genug
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/gewerkschaft-polizei-neonazi-datei-geht-nicht-weit-genug-2510137.html

V-Mann-Affäre Verfassungsschutz hatte Kontakt zu NSU-Helfer Wohlleben
http://www.zeit.de/politik/deutschland/2012-09/nsu-npd-wohlleben

NSU-Opfer-Gedenken
Kasseler Platz wird nach NSU-Opfer benannt
http://www.fr-online.de/rhein-main/nsu-opfer-gedenken-kasseler-platz-wird-nach-nsu-opfer-benannt,1472796,17282560.html
(Das Foto zeigt zwar den zentralen Königsplatz, nicht den eigentlichen Ort, aber vielleicht wird der ja auch noch irgendwann umbenannt)

(Ablenkungsmanöver oder Hosenflattern?)
Rechtsextremismus in Ostdeutschland
Innenminister Friedrich warnt vor Unterwanderung durch Neonazis
http://www.focus.de/politik/deutschland/rechtsextremismus-in-ostdeutschland-innenminister-friedrich-warnt-vor-unterwanderung-durch-neonazis_aid_829795.html

Opferverband protestiert gegen Rosa-Luxemburg-Brücke
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5ec1611d1fe.0.html

(…auch für Opfer „linksextremer Gewalt“?)
Mehr Geld für Opfer extremistischer Gewalt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M568827002eb.0.html

(auch ein paar schöne Bürger)
Alltäglicher Rechtsextremismus beschäftigt Schulleiterdienstversammlung
http://osthessen-news.de/J/1219019/region-alltaeglicher-rechtsextremismus-beschaeftigt-schulleiterdienstversammlung.html

NPD in Hessen
Rechtsextremisten spielen eine immer kleinere Rolle
http://www.welt.de/regionales/frankfurt/article108976901/Rechtsextremisten-spielen-eine-immer-kleinere-Rolle.html

Kesseltreiben gegen Margret Nickel und ihre Klosterhaus-Buchhandlung
http://m.hna.de/nachrichten/kreis-kassel/hofgeismar/gruene-buchhaendlerin-rechtsextremistin-2490115.html
http://www.hna.de/nachrichten/kreis-kassel/hofgeismar/unruehmliche-tradition-2491287.html
http://www.hna.de/nachrichten/kreis-kassel/hofgeismar/land-will-ehrenbrief-nickel-aberkennen-2491541.html

Brandenburgs CDU-Fraktionsvorsitze Vertrauen entzogen! Saskia Ludwig soll zurücktreten
http://www.bild.de/regional/berlin/saskia-dr-ludwig/vertrauen-entzogen-26123368.bild.html

(Zu Saskia Ludwig)
Königsmord nach Brandenburger Art
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5396317969e.0.html

(Zu Peter Brandt)
Der Patriot von links
http://jungle-world.com/artikel/2012/36/46186.html

Scharsach als Vortragender bei Linksextremisten-Kongress
http://www.unzensuriert.at/content/0010040-Scharsach-als-Vortragender-bei-Linksextremisten-Kongress

Die Linke erleidet finanzielle Verluste durch Mitgliederschwund und säumige Beitragszahler
http://www.spiegel.de/spiegel/vorab/die-linke-hat-erhebliche-finanzielle-verluste-a-854691.html

(Gesinnungsjustiz)
Volker Beck darf nicht als „Nazi“ bezeichnet werden
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d647b1ea75.0.html

Terrorprozess um Opec-Anschlag hat begonnen
http://www.merkur-online.de/nachrichten/politik/terrorprozess-opec-anschlaghat-begonnen-2513562.html
Terrorismus
Später Prozess wegen OPEC-Anschlag
http://www.dw.de/dw/article/0,,16253570,00.html

Prozeß zu »Revolutionären Zellen«. Anklage wegen OPEC-Attentats 1975
http://www.jungewelt.de/2012/09-22/039.php

Prozess um Opec-Anschlag
Alt-Revoluzzer vor Gericht
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/revolutionaere-zellen-prozess-gegen-suder-und-gauger-in-frankfurt-a-857180.html

Fotostrecke der unbelehrbaren Jubler
http://www.spiegel.de/fotostrecke/revolutionaere-zellen-prozess-gegen-suder-und-gauger-in-frankfurt-fotostrecke-87675-12.html

Applaus für Terroristen
Die hässliche Fratze der Linken
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=388

Trau keinem 68er!
http://www.blu-news.org/2012/10/01/trau-keinem-68er/

Fußball: DFB ermittelt wegen RAF-Fahne im Mainzer Fanblock
http://www.ftd.de/sport/:fussball-dfb-ermittelt-wegen-raf-fahne-im-mainzer-fanblock/70094791.html

(„Antideutsche“ Sektierer)
Antifa vs. Gesellschaft für bedrohte Völker
http://www.goest.de/antifa_gfbv.htm
http://de.indymedia.org/2003/09/61855.shtml

(Zur Internetseite „Störungsmelder“)
http://www.sezession.de/33980/nur-nix-einreisen-lassen.html

Österreich: Verbot der Ulrichsberg-Feier gefordert
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5915f08b1e5.0.html

Gebinde in Gedenkstätte Buchenwald beschädigt
http://www.jenapolis.de/2012/09/gebinde-in-gedenkstaette-buchenwald-beschaedigt/

Linke Gewalt bei Kundgebung der Partei "Die Freiheit" in München
http://www.unzensuriert.at/content/009897-Linke-Gewalt-bei-Kundgebung-der-Partei-Die-Freiheit-M-nchen

EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT

Ahnen und Ahnungen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M56fcec87681.0.html

Erstes interreligiöses Gotteshaus bundesweit nimmt Gestalt an
Dialogzentrum mit Aussicht
http://www.domradio.de/aktuell/83879/erstes-interreligioeses-gotteshaus-bundesweit-nimmt-gestalt-an.html
http://www.berliner-zeitung.de/berlin/bethaus-am-petriplatz-aussen-geheimnis--innen-dialog-der-religionen,10809148,17199528.html
http://bet-lehrhaus-berlin.de/

Wieder mehr Asylbewerber in Deutschland
http://www.welt.de/newsticker/dpa_nt/infoline_nt/schlaglichter_nt/article109473219/Wieder-mehr-Asylbewerber-in-Deutschland.html

(mal wieder eine Story für´s Herz)
Offenbacher Großfamilie lebt seit zehn Monaten in Notunterkunft
http://www.extratipp.com/nachrichten/regionales/aufreger/familie-kleine-2483630.html

(noch eine…)
ARD-Doku "Vier Wochen Asyl"
Sie sind es uns nicht wert
http://www.spiegel.de/kultur/tv/vier-wochen-asyl-reporter-ziehen-in-ein-heim-fuer-asylbewerber-a-855577.html
(In der kontroversen Leserdiskussion haben Einwanderungsbefürworter die Oberhand)

Quark hoch zehn: “Rundschau”-Journalisten zur “Ausländer-Problematik”
http://clauswolfschlag.blog.com/2012/09/24/quark-hoch-zehn-rundschau-journalisten-zur-auslander-problematik/

Nach Attacke auf Rabbiner
„Muslime brauchen keine Lehrstunde“
Der Koordinierungsrat der Muslime hält den Aufruf des Zentralrats der Juden, sich stärker gegen Antisemitismus zu wenden, für unnötig. „Muslime brauchen da keine Lehrstunde“,sagte der Vorsitzende Kizilkaya. Es werde bereits etwas getan.
http://www.faz.net/aktuell/politik/inland/nach-attacke-auf-rabbiner-muslime-brauchen-keine-lehrstunde-11877545.html

(Auch zur Attacke auf den Rabbi)
So was kommt von so was
Von Fabian Schmidt-Ahmad
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5c854ed4670.0.html

(Interessant, dass der mit einer Waffe in der Gegend herum laufen darf.)
Mitglied des Zentralrats der Juden attackiert
Jüdischer Generalsekretär in Berlin bedroht
http://www.focus.de/panorama/welt/mitglied-des-zentralrats-der-juden-attackiert-juedischer-generalsekretaer-in-berlin-bedroht_aid_828233.html

Islamischer Haßprediger erklärt Deutschland zum Kriegsgebiet
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5a282f2d4c8.0.html

Terry Jones
US-Hassprediger darf nicht nach Deutschland einreisen
Rechtspopulisten wollten Terry Jones nach Deutschland einladen. Durch ein Erlass des Bundesinnenministeriums darf er aber nicht einreisen.
http://www.morgenpost.de/politik/ausland/article109260894/US-Hassprediger-darf-nicht-nach-Deutschland-einreisen.html

Schmäh-Video
Muslime warnen vor Straßenschlachten
Der Zentralrat der Muslime in Deutschland plädiert für ein Aufführungsverbot des islamfeindlichen Schmähvideos. Dadurch könne der öffentliche Frieden gefährdet werden. Doch es gibt auch andere Stimmen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article109289736/Muslime-warnen-vor-Strassenschlachten.html

Das Leben des Brian, Teil II
http://www.sezession.de/33707/das-leben-des-brian-teil-ii.html#more-33707

Pro Deutschlands notwendige Provokation oder: Wer disqualifiziert sich?
http://www.sezession.de/33756/pro-deutschland-provokation-anti-islam-film.html#more-33756

(Zur öffentlichen Reaktion auf das Islam-Video)
Kontrapunkt
Meinungsfreiheit: Gleiches Recht für alle
http://www.tagesspiegel.de/meinung/kontrapunkt-meinungsfreiheit-gleiches-recht-fuer-alle/7144110.html

(Nichts mehr mir „Freiheit“)
Niebel fordert Verbot des Schmähvideos in Deutschland
http://www.welt.de/newsticker/dpa_nt/infoline_nt/schlaglichter_nt/article109400199/Niebel-fordert-Verbot-des-Schmaehvideos-in-Deutschland.html

„Hier wird Öl ins Feuer gegossen“
Die Meinungsfreiheit sei kein Freibrief für Beleidigungen und Provokationen, sagt der Liberale Dirk Niebel. Um die Aufführung des umstrittenen Films zu verhindern, reiche das bestehende Recht aus.
http://www.stuttgarter-zeitung.de/inhalt.stz-interview-hier-wird-oel-ins-feuer-gegossen.324192e0-73f5-4d24-8fdb-07cacf6bb569.html

Innocence of Jürgen Trittin
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5daf084cae3.0.html

(Zur Doppelmoral ein Vergleich)
Papst-Verunglimpfung: Presserat rügt „Titanic“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M510fbf37db3.0.html

Etwas wird sichtbar – (Weitere Gedanken zum Mohammed-Film)
http://www.sezession.de/33783/etwas-wird-sichtbar-weitere-gedanken-zum-mohammed-film.html

Die bittere Wahrheit über Multi-Kulti
Heinz Buschkowsky, Bürgermeister des Berliner Problem-Bezirks Neukölln (41% Migrationsanteil), hat ein Buch geschrieben, das für viele Diskussionen sorgen wird. BILD druckt exklusiv Auszüge
http://www.bild.de/politik/inland/integration/buergermeister-neukoelln-heinz-buschkowsky-26224140.bild.html

Buschkowsky-Buch zu Integration löst Kontroverse aus
http://www.epochtimes.de/buschkowsky-buch-zu-integration-loest-kontroverse-aus-989759.html

Innenministerium stoppt Plakataktion gegen Islamismus
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5eb800f1d2a.0.html

(Skandal! Zumindest hat man die Flyer nicht an Führers Geburtstag oder dem Holocaust-Gedenktag verteilt, trotzdem eine Unverschämtheit…)
Kampagne gegen Islamismus startet am NSU-Tatort
Ausgerechnet in der Straße, in der die rechte Terrorgruppe NSU in Köln eine Nagelbombe explodieren ließ, wurden kartonweise Flyer der Kampagne des Innenministeriums gegen Islamisierung verteilt.
http://www.welt.de/regionales/koeln/article109475721/Kampagne-gegen-Islamismus-startet-am-NSU-Tatort.html

"Geh‘ Deinen Weg"
Der neue Totalitarismus auf leisen Sohlen
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=384

Heute beginnen in Offenbach die Interkulturellen Wochen
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/bruecke-zwischen-kulturen-interkulturelle-wochen-2509426.html

Bürgerstreife Chemnitz-Ebersdorf: Auf frischer Tat ertappt!
http://www.sezession.de/33904/burgerstreife-chemnitz-ebersdorf-auf-frischer-tat-ertappt.html#more-33904

Polizei instrumentalisiert Medien: Böse Rocker und brave arabische Großfamilien
Es ist die Aufgabe der Polizeibehörden, Straftaten aufzuklären und zu verhindern. Dummerweise gibt es die politische Korrektheit. Und bei den Straftaten der einen Bevölkerungsgruppe drücken Polizisten die Augen fest zu, während die anderen zum Inbegriff des Bösen stilisiert werden. Das kann man jetzt auch mit nicht zur Veröffentlichung bestimmten Verschlusssachen der Polizei belegen.
http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/deutschland/udo-ulfkotte/polizei-instrumentalisiert-medien-boese-rocker-und-brave-arabische-grossfamilien.html

14 Jahre nach dem Rauswurf „Chaos-Junge“ Mehmet will zurück nach Deutschland
Hat der Türke eine dritte Chance verdient?
http://www.bild.de/news/inland/jugendkriminalitaet/ich-will-zurueck-nach-deutschland-25925888.bild.html

(Zu Mehmet)
Ein Täter als „Opfer“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5bd73402cd2.0.html

Rettungsdienste fordern mehr Hilfe
Sanitäter werden öfter attackiert
http://www.op-online.de/nachrichten/hessen/sanitaeter-werden-oefter-attackiert-2502496.html

Großeinsatz in Neubrandenburg
Autodiebe greifen Polizisten an
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/autodiebe-verletzen-polizisten-a-857350.html

Mannheim
Polizei fordert Konsequenzen nach Randale
Nach den Ausschreitungen bei einem kurdischen Kulturfestival in Mannheim fordert die Gewerkschaft der Polizei (GdP), Veranstaltungen dieser Art nicht mehr zuzulassen. Hunderte Kurden hatten bei dem Fest die Polizei angegriffen. Die Beamten seien mit Ziegelsteinen beworfen worden, teilte ein Sprecher mit.
http://www.swr.de/nachrichten/bw/-/id=1622/vv=teaser-12/nid=1622/did=10290452/u4lwwf/index.html

Kurdische Vereine machen Polizei für Krawalle verantwortlich
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M58cd188a51d.0.html

Messer-Attacke in Neuss
Mann ersticht seine Sachbearbeiterin im Jobcenter
http://www.focus.de/panorama/welt/messer-attacke-in-neuss-mann-ersticht-mitarbeiterin-in-jobcenter-und-irrt-ziellos-herum_aid_827119.html

KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES

(Rettung dringend notwendig - Gutshäuser und Schlösser in Mecklenburg-Vorpommern)
Das Schlimmste ist der Vandalismus
http://www.nnn.de/nachrichten/mecklenburg-vorpommern/artikeldetail/artikel/das-schlimmste-ist-der-vandalismus.html?tx_ttnews%5BbackPid%5D=111&cHash=0cb6f8ad5975bdeae0a9d7bdd936de1f

Eine Stimme für St. Marien
In Frankfurt (Oder) wird für den Wiederaufbau des Glockengeläuts an der Marienkirche Geld gesammelt
http://www.maerkischeallgemeine.de/cms/beitrag/12392803/62249/In-Frankfurt-Oder-wird-fuer-den-Wiederaufbau-des.html

(Ein Rhön-Dorf praktisch im Zustand der 30er Jahre konserviert. Es handelt sich um das "Übungsdorf" Bonnland der Bundeswehr auf dem Truppenübungsplatz Hammelburg.
Sollte diese Nutzung mal beendet werden, wurde ein deutsches Dorf der Vorkriegszeit praktisch unverändert bewahrt. Sehr gepflegt und sogar mit Schloss.)
http://www.m-kuchenbrod.de/Fotoseiten/TrpUebPlHAB.htm

Frankfurt
Amnesty International Klagemauer
Eingekerkert im Brückenpfeiler
http://www.fr-online.de/frankfurt/amnesty-international-klagemauer-eingekerkert-im-brueckenpfeiler,1472798,17245694.html

Sprachreichtum als Nachteil
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M59a5725746f.0.html

Tag der deutschen Sprache: Lieber Deutsch retten als den Euro
http://deutschesprachwelt.de/berichte/pm-2012-09-07.shtml

Thema Beschneidung
"Am deutschen Wesen...": Arzt zeigte Rabbiner an!
http://www.juedische.at/TCgi/_v2/TCgi.cgi?target=home&Param_Kat=3&Param_RB=27&Param_Red=15134

Charlotte Knobloch zur Beschneidungsdebatte
Wollt ihr uns Juden noch?
http://www.sueddeutsche.de/politik/beschneidungen-in-deutschland-wollt-ihr-uns-juden-noch-1.1459038

Gedichtband "Eintagsfliegen": Grass provoziert Israel erneut
http://www.ftd.de/panorama/kultur/:gedichtband-eintagsfliegen-grass-provoziert-israel-erneut/70098074.html

Umstrittenes Modegeschäft
Indischer "Hitler-Shop" bekommt neuen Namen
http://www.stern.de/panorama/umstrittenes-modegeschaeft-indischer-hitler-shop-bekommt-neuen-namen-1889409.html

(Zu Judith Butler)
Der wahre Skandal um die Adorno-Preisträgerin
Warum der Frankfurter Magistrat dem jüdischen Protest widerstand
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=385

Gender Mainstreaming
„Hirnwäsche“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M52d18ddd778.0.html

Die schärfste Waffe gegen Pussy Riot und Homo Riot
http://juergenelsaesser.wordpress.com/2012/08/28/die-scharfste-waffe-gegen-pussy-riot-und-homo-riot/

Männerkongress unmöglich machen! – Maskulinisten demaskieren!
http://nomaennerkongress.blogsport.eu/aufruf/

(Zur Lesben- und Schwulenfrage)
Umpolen verboten!
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M54303e43359.0.html

Brainwash (1/7) - The Gender Equality Paradox
http://www.youtube.com/watch?v=KQ2xrnyH2wQ

Aus für Gender (in Norwegen)
http://agensev.de/agens-meint/aus-fur-gender-2/

Frauen in Beziehungen
Weiblich, gebildet, partnerlos
http://www.zeit.de/2012/33/C-Beziehung-Frauen-Maenner/komplettansicht

Wahrnehmung
Männer und Frauen sehen unterschiedlich
http://www.spiegel.de/wissenschaft/mensch/wahrnehmung-maenner-und-frauen-sehen-unterschiedlich-a-853689.html

Erbgut-Studie
Fünf Gene beeinflussen unser Gesicht
http://www.spiegel.de/wissenschaft/mensch/erbgut-studie-fuenf-gene-beeinflussen-entwicklung-der-gesichtszuege-a-855105.html

Genforschung
Forscher entschlüsseln Geheimnisse des Erbgut-Mülls
http://www.spiegel.de/wissenschaft/mensch/encode-projekt-entschluesselt-geheimnisse-der-junk-dna-a-854024.html

Demokratie – drei Bruchstellen
http://www.sezession.de/33846/bruchstellen.html#more-33846

(eine bezeichnende Posse)
Philip Roth und sein bizarrer Streit mit Wikipedia
http://www.welt.de/kultur/literarischewelt/article109112546/Philip-Roth-und-sein-bizarrer-Streit-mit-Wikipedia.html

Eduard Limonow und Richard Millet – Loblieder auf böse Jungs
http://www.sezession.de/33856/eduard-limonow-und-richard-millet-loblieder-auf-bose-jungs.html#more-33856

Aufstiegsverweigerer
Karriere? Ohne mich!
http://www.spiegel.de/karriere/berufsleben/karriereverweigerer-wer-will-noch-chef-werden-a-851667.html

Studiengebühren europaweit vergleichen
http://www.bildungsspiegel.de/bildungsnews/studium-fernstudium/613-studiengebuehren-europaweit-vergleichen.html

Bildungsstudie
Arbeiterkinder schrecken vor Studium zurück
http://www.zeit.de/studium/hochschule/2012-09/studie-hochschulzugang-ungleichheit

Niederlande
Chaos und blutige Krawalle bei Facebook-Party
http://www.welt.de/vermischtes/weltgeschehen/article109401800/Chaos-und-blutige-Krawalle-bei-Facebook-Party.html

(Wenn man sich das Video anschaut, erkennt man viele junge Kapuzenträger und auch einen gewissen Grad an Organisation. Es sollte nicht überraschen, wenn „Autonome“ diese Partys somit für ihre eigenen Zwecke nutzen.)
Facebook-Party in den Niederlanden
http://www.tagesspiegel.de/politik/facebook-party-in-den-niederlanden-aigner-ruegt-facebook/7173672.html

Schokoladeindustrie kostet viele Kinderleben in Afrika
http://www.unzensuriert.at/content/0010054-Schokoladeindustrie-kostet-viele-Kinderleben-Afrika

(Monokulturen)
Natürliches Mecklenburg
http://www.sezession.de/33952/naturliches-mecklenburg.html#more-33952

Radler gegen Rehe
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M530969fc694.0.html

Rosie Garthwaite: Handbuch für die gefährlichsten Orte der Welt
http://culturmag.de/rubriken/buecher/rosie-garthwaite-handbuch-fur-die-gefahrlichsten-orte-der-welt/38453

Bilder des Grauens
Ronald L. Haeberle, der Fotograf des Massakers von My Lai
http://www.nzz.ch/aktuell/feuilleton/uebersicht/ronald-l-haeberle-der-fotograf-des-massakers-von-my-lai-1.17592989

Gute Zeit fürs Über-Ich
LIDOKINO 7 - Der Franzose Olivier Assayas erzählt mit "Après mai" die Geschichte einer Jugend nach 1968
http://www.taz.de/1/archiv/digitaz/artikel/?ressort=ku&dig=2012%2F09%2F05%2Fa0106&cHash=de54fe660be99b7bef92071c21859c52

DDR-Flucht-Film (Wir wollten auf´s Meer)
Und die Stasi schippert immer mit
http://www.spiegel.de/kultur/kino/politmelodram-wir-wollten-aufs-meer-kommt-in-die-kinos-a-854957.html

Historisches Museum Frankfurt
Nur gute Geschichten
Der Künstler Mats Staub hat Menschen nach ihren Großeltern gefragt. Im Historischen Museum in Frankfurt kann man den Erinnerungen lauschen.
http://www.fr-online.de/freizeittipps/historisches-museum-frankfurt-nur-gute-geschichten,1474298,17226362.html

Der Mythos Rothschild
Vor 200 Jahren starb der Begründer des weltbekannten Bankhauses in Frankfurt
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/frankfurt/der-mythos-rothschild_rmn01.c.10145378.de.html

Die Freimaurer werden 275 - Diskret oder geheimnisvoll?
http://www.wn.de/Welt/Politik/Geheimbund-Die-Freimaurer-werden-275-Diskret-oder-geheimnisvoll

Schwabenzüge
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5e0be805cf4.0.html

Lafontaine soll eine »Rote Sahra« trinken
Brauerei Neuzelle vertreibt Parteitagsbrause
http://www.neues-deutschland.de/artikel/239332.lafontaine-soll-eine-rote-sahra-trinken.html

(Zu Turbund Sturmwerk)
Wille versus Intellekt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M51c511a70db.0.html


L’Occident à la Conquête du Chaos : le Cas Syrien

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L’Occident à la Conquête du Chaos : le Cas Syrien

Guillaume de Rouville
 
 

Les États-Unis cherchent, avec un énergie renouvelée depuis le 11 septembre 2001, à renverser, par tous les moyens, les régimes qui ne se soumettent pas à leur vision du monde et n’acceptent pas une Pax Americana qui se nourrit de guerres et de ‘chocs entre les civilisations’. Wesley Clark (Commandant Suprême des Forces militaires de l’Otan de 1997 à 2000) rappelle, dans une interview du 2 mars 2007 [1], que la liste des régimes visés par l’ire américaine au lendemain du 11 septembre 2001, comprenait, tout spécialement, ceux des pays suivants : l’Irak, la Libye, la Syrie, le Liban, la Somalie, le Soudan et l’Iran. Plutôt que de soutenir des oppositions démocratiques aux régimes visés (ce qu’ils font de manière très marginale) les États-unis ont choisi de recourir principalement au terrorisme islamique pour déstabiliser puis renverser les leaders politiques des pays qui contrarient ou contestent leur volonté de puissance hégémonique [2] (volonté exprimée sans complexe dans de nombreux documents militaires rendus publics ou dans les publications des think-tanks néoconservateurs [3]). Pour ne pas agir trop à découvert, ils utilisent le vivier de djihadistes qu’ils ont créés, armés, financés dans les années 80 en Afghanistan pour combattre l’Union Soviétique, vivier que l’on appelle couramment Al Qaeda, mais qui n’est que l’ensemble des combattants entraînés puis armés par les États-Unis et leurs alliés islamistes que sont l’Arabie Saoudite et le Pakistan depuis plus de 30 ans. Au même moment, cette alliance contre-nature [4] entre la principale puissance occidentale et les principaux représentants de l’Islam radical le plus obscurantiste, s’est vue renforcée par Israël dont les objectifs géopolitiques propres concordent, dans cette région du monde, avec ceux des États-Unis. Les néoconservateurs américains sont la synthèse parfaite de ce rapprochement idéologique entre les États-Unis et Israël (la plupart des néoconservateurs américains ayant également la nationalité israélienne ou ayant des liens très étroits avec le Likoud israélien). Les puissants liens financiers et économiques de ces néoconservateurs avec l’Arabie Saoudite [5] sont également l’un des ciments de cette alliance surprenante.

Cette alliance explique, entre autre, la montée en puissance du terrorisme islamique au niveau mondial (qui serait resté un épiphénomène sans elle), la guerre au Kosovo (et la diabolisation de la Serbie), la guerre civile en Tchétchénie (et la diabolisation de la Russie), le 11 Septembre 2001 (et la substitution de l’ennemi soviétique par l’ennemi musulman), la guerre en Irak (et son éclatement), la guerre en Libye (et son démembrement), le Soudan (et sa partition), la déstabilisation de la Syrie et bientôt celle du Liban, et enfin la prochaine guerre contre l’Iran. Dans les paragraphes qui suivent nous nous concentrerons sur l’instrumentalisation du terrorisme islamique dans le cadre du ‘Printemps Arabe’, tout particulièrement dans le cas syrien, tout en évoquant l’extension de ce modèle à l’Iran.

Pour les États-Unis, il s’agit de contenir la Russie et la Chine, de maîtriser l’accès à un certain nombre de richesses naturelles et, enfin, de répondre à une vision impériale de leur propre pays qu’ils qualifient volontiers de ‘benevolent hegemon’ [6]. Pour Israël, il s’agit d’accomplir petit à petit le rêve du Grand Israël qui passe par la destruction des États-nations de la région et leur découpage en entités plus petites sur des lignes ethno-religieuses propres à créer les tensions nécessaires à l’affaiblissement durable de leurs adversaires potentiels. Pour l’Arabie Saoudite, il s’agit d’écraser des régimes laïques indépendants de son influence, et de contrecarrer la montée en puissance des Chiites sous influence iranienne tout en imposant sa vision moyenâgeuse de l’Islam aux peuples musulmans, alors même que ses élites sont totalement occidentalisées et corrompues par les valeurs marchandes du capitalisme consuméristes occidental. Voilà, très brièvement, pour la vision géostratégique de cette alliance Wasp-Wahhabite- Sioniste dont la force réside dans ses contradictions apparentes et dont l’instrument géopolitique privilégié est le terrorisme islamique (pour de plus amples développements sur cette alliance voir : ‘Aux origines du terrorisme contemporain : l’alliance Wasp-Wahhabite-Sioniste’ [7]).

Voyons maintenant les différentes tactiques employées par les États-Unis et leurs alliés contre l’Iran, la Libye, la Syrie (et prochainement, sans doute, au Liban) pour renverser ou tenter de renverser les régimes en place. On y décèle certaines constantes : (i) l’instrumentalisation de mouvements terroristes contre le pouvoir en place et (ii) la mobilisation de tout un réseau d’ONG sous influence américaine pour orienter les mouvements civils contestataires, mouvements eux-mêmes instrumentalisés en vue de déstabiliser le régime visé par des actions de subversion coordonnées par les États-Unis.

Ainsi, des légions ou des groupuscules de terroristes islamistes sont infiltrés dans les pays cibles (comme l’Organisation des moudjahiddines du peuple iranien en Iran – soutenu par de nombreux et influents membres du Congrès américain [8] et par Israël [9] – et les mouvements apparentés à Al Qaeda en Libye et en Syrie) pour y perpétrer des attentats contre les autorités ou des civils qui manifestent légitimement contre les pesanteurs du régime. Les premières manifestations voient des civils entraînés de bonne foi, par des ONG sous influence américaine, à exprimer leurs doléances dans la rue, soit à l’occasion d’élections que ces ONG dénoncent comme frauduleuses, même s’il n’y a aucune preuve à cet égard (comme en Iran en 2009, mais également, et dans un autre contexte, en Côte-d’Ivoire [10] en 2010, en Russie en 2012 [11]), soit à la suite de revendications civiles diverses (libération de prisonniers islamistes en Libye, demandes de la société civile pour plus de démocratie en Syrie). Des agents provocateurs infiltrent les manifestations pour que celles-ci dégénèrent (Iran, Libye, Syrie). Des tirs retentissent, quelques manifestants meurent sans que l’on puisse déterminer précisément la provenance des tirs. Assez rapidement, les premiers manifestant civils sont remplacés par des insurgés armés (Libye, Syrie) qui exécutent au hasard des civils lors des manifestations suivantes ou dès qu’un rassemblement a lieu. Les insurgés et leurs maîtres occidentaux attribuent publiquement ces massacres au régime en place, font appel à une organisation des droits de l’homme créée de toutes pièces pour l’occasion ou qui n’est que la façade respectable de la branche la moins démocratique de l’opposition en exil et qui n’a aucune légitimité dans le combat pour la démocratie et dont les puissances occidentales ont, en général, formé et financé les membres [12]. Ils intensifient les attaques, les étendant aux cibles d’État, aux militaires, aux policiers, à la télévision officielle, aux notables du régime qui sont assassinés avec les membres de leurs familles (Libye, Syrie). Les Occidentaux font monter la pression en stigmatisant le régime en des termes qui font passer leurs dirigeants pour de nouveaux Hitler (Libye, Syrie), ou menaçant la sécurité des États-Unis et/ou l’existence d’Israël (Iran). Les médias atlantistes [13] prennent le relais du travail de sape et, sans discernement, bombardent les auditeurs, médusés, de nouvelles toujours plus sordides et plus fausses que les précédentes, refusant de diffuser les informations qui viendraient contredire ce flot ininterrompu de vérités officielles. L’ONU finit par entrer en scène pour réclamer des sanctions ; les sanctions tombent, etc., etc…jusqu’à la chute du régime.

Une fois le régime tombé, il n’y a plus qu’à morceler le pays en de multiples entités sur des bases ethno-religieuses et à créer sans cesse des tensions entre ces entités pour qu’aucun État central ne puisse se reconstituer (cette vieille pratique du ‘diviser pour régner’ a été appliquée avec un certain succès en Irak, au Soudan et en Libye). L’instabilité ainsi créée offre au terrorisme un terreau favorable pour s’enraciner, ce qui permettra aux puissances occidentales de justifier une présence militaire plus ou moins permanente dans la région et d’étendre toujours plus, pour les industriels de la terreur (sociétés militaires privées spécialisées dans la sécurité, conseillers en tous genres dans la lutte contre le terrorisme, etc.) leur espace marchand et leur zone de prédation.

Concernant la Syrie, la quasi-totalité des informations sur les massacres attribués au régime Syrien de Bachar el-Assad proviennent de l’Observatoire Syrien des Droits de l’Homme, organisation basée à Londres et dirigée par les Frères Musulmans, qui sont des opposants non démocrates au régime de Damas et travaillent, pour l’occasion, main dans la main avec les wahhabites d’Al-Qaeda à la déstabilisation du pays. Pour nous informer de la situation en Syrie, les médias occidentaux se contentent en général de citer cet Observatoire [14], réplique de la Ligue Libyenne des droits de l’homme dont on connaît les mensonges sur les prétendus bombardements de Benghazi par Kadhafi et les partis pris en faveur de l’Islam radical (pro-Al-Qaeda) [15]. À la fois juges et parties, ces organisations ne sont là que pour donner de la crédibilité à des crimes en grande partie imaginaires ou commis par leurs propres exécutants.

Les occidentaux et leurs alliés wahhabites/salafistes (Arabie Saoudite, Qatar), principaux financeurs du terrorisme islamique dans le monde, ont utilisé à plusieurs reprises les images des imposantes manifestation de soutien à Bachar el-Assad pour prétendre que la population était descendue dans la rue contre le président syrien [16]. Ils ont multiplié les médiamensonges grossiers dont la répétition semble tenir lieu de preuve de leur véracité : par exemple, au début du conflit, France 24 s’est empressé d’annoncer que l’ambassadeur de Syrie en France avait démissionné pour tenter d’entraîner un mouvement de défection dans les rands de la diplomatie syrienne alors qu’il n’en était rien [17] ; la chaîne qatarie Al Jazeera a montré complaisamment des cadavres qu’elle a fait passer pour des civils, victimes du régime, alors qu’il s’agissait de policiers exécutés par les islamistes et dont on avait lié les mains dans le dos avant de les exécuter ; on nous a relayé les propos d’une jeune syrienne gay opprimée par son président et on apprend qu’il s’agit en fait d’un étudiant américain en mal de reconnaissance médiatique [18]. Nul besoin pour les journalistes occidentaux d’aller vérifier ces informations, car contre un régime ennemi peu importe la vérité, seul l’objectif compte. Les quelques journalistes ou personnalités sur place [19] ont un tout autre langage, mais qu’importe, on continue à enchaîner les ‘unes’ sur les massacres perpétrés par ses amis et on les attribue sans vergogne au régime. Les terroristes poursuivent leur sale besogne tandis que les forces spéciales occidentales les appuient logistiquement et les conseillent dans le choix de leurs cibles. Ainsi, le régime syrien fait face à une agression étrangère qui vise à le faire tomber et se voit criminalisé pour oser se défendre et maintenir l’unité du pays.

Autre exemple de médiamensonge – par Pierre Piccinin [20]

“Ainsi en témoigne ce tout récent exemple d’un média-mensonge « made in Qatar » : ce dimanche 20 novembre, Al- Jazeera (et Al-Arabia : Dubaï – Émirats arabes unis) a diffusé un reportage annonçant l’attaque du siège du parti Baath, à Damas. Selon Al-Jazeera, deux hommes en moto ont tiré deux roquettes au moins sur le bâtiment, qui s’est embrasé ; et l’attentat a été revendiqué par l’Armée syrienne libre, qui a ciblé ce symbole du pouvoir, dans le centre de Damas, la capitale, jusqu’alors totalement épargnée par ces neuf mois de contestation. [...] À nouveau, à l’appui de cette « information », concoctée par Al-Jazeera cette fois, la caution de l’Observatoire syrien des Droits de l’Homme, qui a même apporté des précisions : deux roquettes supplémentaires ont encore été tirées, mais ont manqué leur cible…Comme d’ordinaire, « l’information » a été reprise en chœur par tous les médias mainstreams. Ce même dimanche au soir, un de mes contacts à Damas m’a téléphoné : « ma famille habite tout près du siège du parti Baath ; le bâtiment est intact ; c’est un mensonge ». Lundi 21, j’ai demandé à une amie qui habite également Damas de vérifier pour moi l’information et de prendre une photographie du siège du Baath, en présentant à l’avant-plan l’édition du jour d’un journal occidental connu, de telle sorte qu’il ne puisse y avoir le moindre doute quant à la date à laquelle cette photographie a été prise. Résultat : le bâtiment du siège du parti Baath à Damas est effectivement intact ; aucune roquette n’a frappé ni incendié l’immeuble”.

Les médias occidentaux répètent à l’envie que le pouvoir en place pilonne la ville de Homs (où se sont réfugiées les milices armées wahhabites qui y massacrent les minorités religieuses et les habitants qui ne collaborent pas avec eux [21]) pour en exterminer les habitants, mais sont pourtant dans l’impossibilité de fournir des images qui viennent corroborer ces faits [22]. On ne voit jamais l’armée bombarder la ville. On entend et voit quelques explosions dont il est impossible de déterminer l’origine. On n’observe aucun avion survolant la ville pour y lâcher les bombes. On se contente alors de nous dire que ce sont des chars de l’armée qui s’occupent de pilonner la ville, mais toujours sans nous montrer l’origine des tirs. À cet égard il est instructif de visionner la vidéo présentée par le journal Le Monde [23], qui est sensée prouver le pilonnage de la ville pendant 17 jours, tel que les insurgés l’ont filmé : à aucun moment ils ne filment d’avions ou de chars passant à l’offensive et sur 17 jours ils ne filment que quelques explosions au total, ce qui semble en contradiction avec l’idée d’un pilonnage systématique et continu.

Dans le cadre de la reconquête de Homs par le régime syrien, il y a eu des tirs nourris contre des positions ‘ennemies’ (celles des insurgés salafistes armés de missiles anti-chars fournis par des puissances étrangères), et sans doute, des bombardements ciblés contre les maisons où l’armée syrienne pouvait soupçonner que des insurgés s’y étaient réfugiés [24]. Ces bombardements ciblés sont-ils plus condamnables que les bombardements systématiques des Alliés sur la côte normande en 1944 (sans parler des bombes atomiques lâchées sur les populations civiles japonaises en 1945), qui ont été justifiés par l’idée de mettre en déroute l’occupant nazi ? Aurait-il alors fallu titrer sur l’ensemble des ‘unes’ des journaux occidentaux de l’époque : ‘Lisieux, ville martyre des criminels de guerre anglo-saxons, a été pilonnée et anéantie’ ? Le régime syrien ne lutte- t-il pas contre une force armée venue de l’étranger qui professe une idéologie totalitaire (le salafisme radical) ? Le fait que le régime syrien ne soit pas démocratique justifie-t-il que des insurgés inféodés à des dictatures salafistes radicales puissent mettre le pays à feu et à sang sans que le pouvoir n’ait le droit de se défendre et de reprendre le contrôle des zones tenues par la partie adverse ? Les dommages collatéraux du régime syrien sont-ils plus criminels que ceux de l’OTAN en Serbie à la fin des années 1990 ? Avant de prendre fait et cause pour des insurgés torturant et assassinant tous ceux qui ne veulent pas collaborer à leur projet totalitaire, les journalistes occidentaux (sans parler de ceux de la chaîne de l’Émir du Qatar, Al Jazeera, partie prenante directe au conflit) devraient, peut-être, avoir le courage, ou tout simplement l’obligation morale et professionnelle, de se poser ce genre de questions.

Dans d’autres vidéos on nous montre, certes, de nombreux cadavres, mais il est impossible de dire qui est responsable de leur triste sort. Cependant, comme il s’agit pour la plupart de militaires et de fonctionnaires syriens d’origine alaouite, on peut penser que leurs tortionnaires se situent plus vraisemblablement du côté des terroristes islamistes. Des comités de Sednaya (jeunes gens et adultes) ont été créés par les habitants de Homs pour défendre leurs quartiers contre les attaques des islamistes. Chaque jour ces comités tentent de chasser les terroristes venus de Tunisie, du Liban, de la Libye, de l’Irak. Les témoignages affluent et disent tous la même chose [25] : que l’armée du régime, qui tente de les protéger, est la cible privilégiée des attaques et qu’elle a du mal à lutter efficacement contre les terroristes dans cette ville qui a été choisie comme l’un des maillons faibles du régime (comme Benghazi le fut pour le régime de Kadhafi).

Cependant, depuis le double veto Russe et Chinois à une intervention internationale contre le régime syrien, l’armée de Bachar el-Assad a repris du terrain dans la ville de Homs. Fin février 2012, les terroristes islamistes ne tiennent plus qu’un quartier de la ville et se servent de la population civile comme d’un bouclier humain, tandis que l’armée du régime tente de reprendre le contrôle du quartier, maison par maison. Devant cette nouvelle situation et face à l’impossibilité actuelle pour l’OTAN d’intervenir militairement de manière ouverte et massive (comme ce fut le cas en Libye), le Qatar et l’Arabie Saoudite ont décidé d’accélérer la fourniture d’armes à la rébellion et espèrent parvenir, ainsi, à déstabiliser le régime en intensifiant les actes de nature terroriste en dehors de la ville de Homs sur laquelle ils s’étaient principalement concentrés jusqu’à présent.

Encore un exemple de médiamensonge – par Bahar Kimyongur [26]

“Le 28 janvier, nous avons tous été bouleversés par les images du massacre d’une famille sunnite à Nasihine, femme, enfants et bébés inclus. Dans ce quartier de Homs, ce jour-là, douze innocents, douze membres de la famille Bahader, ont été froidement assassinés. Sans la moindre preuve, le reporter photo du journal Le Monde répondant du pseudonyme de Mani avait mis ce crime horrible sur le compte des milices loyalistes recrutées, dit-on, parmi les alaouites. Le lendemain, on apprit que cette famille sunnite était en fait devenue la cible des rebelles parce qu’elle « collaborait avec le régime ». En fait, Abdel Ghani, le père de famille était un fonctionnaire du gouvernorat de Homs. Un homme sans histoires. Lui et son frère Ghazouan qui est un chauffeur attaché au même gouvernorat, avaient reçu de nombreuses menaces de mort de la part des rebelles. Abdel Ghani souhaitait déménager pour éviter toutes représailles de la part de l’ASL qui voulait l’enrôler de force. Mais la barbarie terroriste l’attendit au tournant, lui et sa famille.

Le 23 février, un groupe armé commit un nouveau massacre d’innocents. Quartier visé : al-Arman al-Janoubi à Homs. Les victimes : un couple et leurs quatre enfants. Les terroristes ont d’abord ligoté Mohamed Ryad Darwich, sa femme et ses enfants avant de les torturer à coups de poignards. Les victimes ont été mutilées méthodiquement par des tortionnaires qui ont poussé le vice jusqu’à écrire des mots sur leurs corps à l’aide de leurs poignards. Ils ont ensuite mis le feu à la maison de cette famille. Entre le massacre des familles Bahader et Darwich, on ne compte plus les exécutions sommaires perpétrées par les terroristes. Des centaines de civils et de militaires pro-régime ont subi le même sort. Ces événements et bien d’autres encore témoignent de ce que l’horreur ne se trouve pas dans un seul et même camp”.

 

Les observateurs de la Ligue des États Arabes, pourtant peu favorables au régime syrien, ont démenti les accusations de crimes contre le peuple dont se serait rendu coupable le pouvoir syrien et ont souligné à la fois le partage des responsabilités dans les violences commises et le caractère militaire, et non pas civil, de l’opposition au régime. Pour avoir été sans doute relativement objectifs, ces observateurs ont été discrédités par la presse occidentale et menacés de morts par les Frères Musulmans et les autorités d’Arabie Saoudite qui ne s’attendaient pas à une telle indépendance de la part d’individus qu’ils pensaient leur être tout dévoués.

Extraits du Rapport de Mission des Observateurs de la Ligue des États Arabes (Février 2012) [27]

26 – La Mission a observé dans les deux secteurs de Homs et Hama des actes de violence du fait des groupes armés contre les forces gouvernementales, qui ont fait des tués et des blessés parmi les troupes gouvernementales. Dans certaines situations, les forces gouvernementales ont recours à la violence comme réaction aux attaques perpétrées contre ses membres. Les observateurs de la mission ont noté que les groupes armés ont recours aux bombes thermiques et aux missiles anti-blindage.

27 – La Mission a été témoin dans les secteurs de Homs, Idlib et Hama des actes de violence contre les troupes gouvernementales et contre les citoyens entraînant de nombreux décès et blessures. C’est le cas de l’explosion de l’autobus civil, tuant huit personnes et blessant plusieurs autres, dont des femmes et des enfants ; celui du sabotage à l’explosif d’un train chargé du transport du diesel ainsi que d’autres événements à Homs, dont la destruction de l’autobus de la police tuant deux d’entre eux, l’attaque à l’explosif du pipeline de carburant, et autres attentats de moindre importance.

28 – La mission a noté l’émission de faux rapports émanant de plusieurs parties faisant état de plusieurs attentats à la bombe et de violence dans certaines régions. Lorsque les observateurs se sont dirigés vers ces zones pour enquêter, les données recueillies montrent que ces rapports ne sont pas crédibles.

29 – La mission a noté également, se basant sur les documents et les rapports émanant des équipes sur le terrain, qu’il ya des exagérations médiatiques sur la nature et l’ampleur des accidents et des personnes tuées ou blessées à la suite des événements et des manifestations qui ont eu lieu dans certaines villes.

Pour qui a bien compris que la bataille qui se livre en Syrie n’est pas celle de la démocratie contre l’autocratie, mais celle de la balkanisation et de l’islamisation radicale contre le maintien de l’unité et de la souveraineté d’un pays, il n’est pas étonnant de voir le porte-parole d’Al-Qaeda (le bras droit de Ben Laden, devenu le numéro 1 de la nébuleuse terroriste, Al Zawahiri – tout comme les Frères Musulmans et le Hamas) soutenir fermement la « rébellion » syrienne, autrement dit, de voir ceux que l’Occident prétend combattre lutter à ses côtés. Il n’est pas étonnant non plus de constater que le leader armé de l’insurrection syrienne n’est autre que l’ancien responsable de la rébellion libyenne (Abdelhakim Belhadj), membre d’Al Qaeda [28], tortionnaire et violeur, au service des intérêts occidentaux et à qui The Guardian offre ses colonnes comme s’il s’agissait d’un personnage fréquentable qu’il est naturel de présenter comme le sauveur de la Libye. On peut admirer aujourd’hui le travail qu’il a accompli dans ce pays. Pas étonnant, de voir Le Nouvel Observateur, représentant de la vision atlantiste des révoltes arabes se faire le chantre de la propagande anti-syrienne : Jean Daniel, son directeur, par ailleurs ami de nombreux dictateurs et récipiendaire d’argent du Qatar [29], ainsi que du National Endowment for Democracy (programme officiel des États-Unis visant à ‘corrompre’ les élites étrangères, notamment européennes, en leur faveur), a choisi ses victimes et ses bourreaux selon qu’ils approuvent ou rejettent la vision géostratégique des États-Unis et d’Israël. Pas étonnant, enfin, de voir l’Arabie Saoudite réclamer toujours plus de sanctions contre la Syrie.

Il ne s’agit manifestement pas de défendre la démocratie pour ces ‘combattants de la liberté’ que sont les membres du Conseil National Syrien (CNS) sponsorisés par l’Arabie Saoudite (financièrement) et par l’Occident présent militairement sur place depuis le début des troubles (des forces spéciales américaines, anglaises, israéliennes, turques et françaises sont en Syrie depuis plusieurs mois et encadrent les massacreurs- snipeurs qui tirent sur tout ce qui bouge et principalement les policiers, l’armée, les civils qui osent manifester leur soutien au régime). Il s’agit d’imposer un islam radical à un pays laïque selon le modèle imposé par leurs donneurs d’ordres pour le fragiliser et le démanteler. Ainsi, les minorités religieuses qui vivaient en paix et en harmonie dans ce pays laïque, peuvent remercier l’Occident, parce que désormais elles sont la cible d’attaques quotidiennes et de meurtres de masses commis par les légions wahhabites d’Al-Qaeda (comme en Libye) [30]. La minorité Alaouite, dont le Président Bachar el-Assad fait partie, est une cible privilégiée des tortionnaires d’Al Qaeda qui n’hésitent pas à passer au fil de l’épée femmes et enfants tout en filmant leur mise à mort. Les Chrétiens tentent de résister aux légions islamistes encadrées par les forces spéciales occidentales mais ne pourront pas tenir longtemps. De nombreux Jésuites et prêtres ont déjà été assassinés par des éléments islamistes venus de l’étranger.

“Ces troubles sont fomentés et organisés par des forces extérieures et non par les membres de la société syrienne”. Primat de l’Eglise syriaque orthodoxe, Ignace Zakka Ier Eiwas [31].

« Si Bachar est renversé, la liberté religieuse sera balayée en Syrie » [32]. Renaud Girard du Figaro. 

Il est triste et navrant pour les démocrates sincères, de devoir, par nécessité morale et vitale, soutenir le président Bachar el-Assad (dictateur, sans aucun doute, tyran, peut-être) dans sa lutte pour la survie de l’unité du pays, à cause des cyniques calculs des ‘démocrates aux mains sales’ qui donnent des leçons de vertu démocratiques au peuple syrien à coup de massacres, de bombes et d’actes terroristes pour remplacer un dictateur par mille autres. Il n’y a pas meilleur moyen pour les Occidentaux de dégoûter les jeunes générations musulmanes des prétendues valeurs de la démocratie occidentale. Pour qui comprend le jeu pervers auquel se livrent les grandes puissances occidentales dans la région, il ne fait aucun doute que l’Occident a plus peur de voir fleurir des démocraties musulmanes indépendantes et fières que de voir se développer des poches de terreur et de chaos propices à satisfaire leurs calculs géopolitiques mortifères. Ce jeu pervers peut être résumé de la manière suivante : dans un premier temps les occidentaux manipulent des démocrates sincères à travers tout un réseau d’ONG sous leur influence, et les incitent à la révolte contre leurs autocrates. Une fois la révolte commencée, les États-Unis et ses alliés arment des terroristes salafistes pour aller tuer les démocrates (qu’ils abandonnent à leur sort) et créer le chaos politique et social qui leur permettra d’accomplir leurs objectifs géopolitiques (qui, comme on l’aura compris, ne consistent pas à établir des démocraties sur le modèle occidental).

 

Si des terroristes payés par des puissances étrangères tiraient sur les manifestants new-yorkais du mouvement Occupy Wall Street, devrait-on interdire aux forces de police ou aux militaires américains de faire la chasse aux assassins? Devrait-on soutenir les terroristes sous prétexte que les élections présidentielles américaines de 2001 n’ont pas été régulières, ou que le président Obama a passé une loi en décembre 2011 permettant la détention indéfinie de toute personne sans jugement [33] (un soupçon de terrorisme suffit, mais personne n’est là pour contrôler le sens qu’il faut donner au soupçon), qu’il a autorisé les assassinats politiques sur des territoires souverains, que son pays pratique la torture à outrance, que plus de 100 000 personnes ont été arrêtées par ses forces spéciales de part le monde et enfermées dans des prisons sous son autorités sans avoir été jugées depuis septembre 2001, que son peuple n’est jamais consulté pour approuver ou rejeter les guerres impériales qui sont menées en son nom, que sa principale chaîne d’information (Fox News) est une chaîne de propagande digne de la fameuse Pravda de l’ère soviétique, que 95 % des élus des États-Unis sont les candidats qui ont dépensé le plus d’argent lors de la campagne électorale ?

Si une rébellion de terroristes radicaux prenait la tête d’un mouvement pour détruire l’unité d’un pays européen affaibli par la crise économique, faudrait-il soutenir ce mouvement et laisser le pays s’effondrer dans la violence sous prétexte que ses dirigeants sont corrompus, qu’ils n’ont pas respecté le vote négatif des citoyens sur le traité constitutionnel européen, que ses élites s’enrichissent toujours plus tandis que la classe moyenne s’appauvrit ? Puisque de Gaulle a laissé 200 Algériens se faire massacrer dans les rues de Paris en octobre 1961, fallait-il autoriser un pays tiers à envoyer des terroristes tuer les parisiens, violer des femmes et torturer des enfants, puis bombarder pendant des semaines les infrastructures du pays pour, enfin, se saisir des ses avoirs afin de payer les entreprises étrangères venir reconstruire un pays dévasté par la campagne militaire de l’ennemi (comme en Libye) ? Fallait-il pendre le général de Gaulle par les pieds et le mettre à nu devant les caméras pour lui donne une leçon de morale ou éduquer les jeunes générations de son peuple rétif à l’american way of life ? La France n’était pas une démocratie sous Napoléon III, cela aurait donc dû permettre à une puissance étrangère, comme la Prusse, de renverser le régime et d’occuper le pays, d’exécuter l’Empereur et sa famille et de s’emparer des richesses du pays ?

*

L’Occident a inventé le terrorisme islamique globalisé et l’instrumentalise en fonction de ses objectifs géostratégiques. Partout où l’Occident cherche à prendre pied, des mouvements islamistes radicaux se développent. Pure coïncidence ou résultat d’une stratégie minutieusement mise en oeuvre ? Lisez Zbigniew Brzeziński [34] (conseiller pour la sécurité nationale de Carter) et vous aurez la réponse : il se vante, notamment, d’avoir fait tomber l’Union Soviétique grâce aux légions islamistes d’Al- Qaeda en Afghanistan dans les années 80. L’Occident a inventé et instrumentalisé le ‘choc des civilisations’ qui est sensé mettre en opposition l’Occident avec le monde musulman depuis la chute du mur de Berlin et la disparition de l’ennemi communiste. Ce choc des civilisations n’est en fait qu’une justification idéologique commode pour masquer la guerre menée par les élites oligarchiques occidentales (et leurs alliés wahhabites) contre tous les peuples de la terre, les valeurs démocratiques et la paix. Parce que la paix n’est pas assez capitaliste, parce que la paix contrarie les rêves de grandeur d’une élite paranoïaque dont les citoyens n’ont manifestement jamais la possibilité de se débarrasser, que ce soit ici en Occident ou en Orient, les États-Unis cherchent à précipiter le monde dans une guerre permanente et généralisée, dont la Syrie, après la Libye et avant le Liban et l’Iran, n’est que la préfiguration accablante de ce qui nous attend : un monde où l’Empire règne sur le chaos, car il vaut mieux dominer des ruines que ne pas dominer du tout.

Guillaume de Rouville
Auteur de ‘La Démocratie ambiguë’ – à paraître le 31 mai 2012 aux Éditions Cheap.

Journaliste pour L’Idiot du Village : http://lidiotduvillage.org – Géopolitique, Chaos et Idioties

____________________________

1. Sur Democracy Now ! (democracynow.org), interview réalisée par Amy Goodman : [http://www.youtube.com/watch?v=9QVvaT1h37k]

2. Sur ce sujet : “Road to 9/11 – Wealth, Empire and the future of America”, de Peter Dale Scott, University of California Press, 2007.

3. Pour un exemple parlant, voir le document publié par le think-tank néoconservateur Project for a New American Century en décembre 2000 : “Rebuilding America’s Defenses: Strategy, Forces and Resources for a New Century”.

4. Sur ce sujet : “House of Bush, House of Saud – The secret relationship between the world’s two most powerful dynasties”, de Craig Unger, First Edition, 2004.

5. “Les dollars de la terreur – Les États-Unis et les islamistes”, par Richard Labévière, Grasset, 1999 ; “Ben Laden : la vérité interdite”, par Jean-Charles Brisard et Guillaume Dasquié, Denoël, 2001.

6. Pour une explication de ce concept par des néoconservateurs : “Toward a Neo-Reaganite Foreign Policy”, de William Kristol et Robert Kagan, Foreign Affairs, juillet/août 1996.

7. Article de Guillaume de Rouville. À paraître sur http://lidiotduvillage.org (Revue de Presse Géopolitique – ‘La réalité dans toute sa brutalité’).

8. Notamment, Howard Dean, Wesley Clark, Lee Hamilton (le président de la commission sur le 11 septembre) et Rudy Giuliani. Voir : (i) “Israel, MEK and state sponsor of terror groups”, de Glenn Greenwald, sur le site d’information Salon.com, le 10 février 2012 : [http://politics.salon.com/2012/02/10/israel_mek_and_state_sponsor_of_terror_groups/singleton/] ; (ii) “Mujahideen-e Khalq: Former U.S. Officials Make Millions Advocating For Terrorist Organization”, Christina Wilkie, The Huffington Post, le 8 août 2011, [http://www.huffingtonpost.com/2011/08/08/mek- lobbying_n_913233.html]

9. Voir la vidéo de MSNBC : [http://www.dailymotion.com/video/xol3kx_les-etats-unis-admettent-qu- israel-arme-et-entraine-un-groupe-terroriste-contre-l-iran_news]

10. Pour remplacer un président peu conciliant avec l’Occident par un ancien représentant du FMI et ami du président français Nicolas Sarkozy.

11. Notamment pour tenter de déstabiliser Vladimir Poutin au moment de la crise syrienne.

12. “Libya Déjà Vu in Syria: Using Human Rights Organizations to Launch Wars”, Mahdi Darius Nazemroaya, pour Global Research, le 20 novembre 2011 : [http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=28447]

13. Tous les médias d’importance sont aujourd’hui, en France, d’obédiance atlantiste. Pour la presse écrite, Libération et l’hebdomadaire Le Nouvel Observateur ont été les principaux vecteurs de la propagande atlantiste.

14. La plupart des informations provenant de Radio France sur la Syrie sont encore plus laconiques, la radio se contentant en général de mentionner qu’elles proviennent ‘d’une ONG syrienne’ sans même indiquer son nom.

15. Pour une analyse de l’intervention occidentale en Libye, voir : “Le Soleil Noir de l’Occident se lève sur la Libye”, Guillaume de Rouville, L’Idiot du Village, 31 juillet 2011, [http://lidiotduvillage.org/2011/07/31/le-soleil-noir-de-loccident-se-leve-sur-la-libye/]

16. “Syrie : mécontentemet et groupes armés”, Cammille Otrakji, sur Investig’Action, michelcollon.info, pour Kifa Nabqi, 12 juin 2011.

17. “Fausse démission de l’ambassadrice de Syrie : France 24 porte plainte”, Le Monde, 9 juin 2011 : [http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2011/06/09/fausse-demission-de-l-ambassadrice-de-syrie- france-24-porte-plainte_1534237_3218.html]

18. Voir : “La fausse blogueuse syrienne indigne le web”, L’Express, 15 juin 2011 : [http://www.lexpress.fr/actualite/monde/proche-orient/la-fausse-blogueuse-syrienne-indigne-le- web_1002446.html]

19. Notamment, le journaliste indépendant Webster Tarpley (Tarpley.net), le journaliste Michel Collon et son équipe d’Investig’Action (michelcollon.info) ou les membres du Réseau Voltaire que les médias atlantistes tentent de décrédibiliser en raison de leur non-alignement sur les positions atlantistes. Voir également la vidéo de Pierre Piccinin sur le sujet : [http://www.youtube.com/watch?v=fBUKgGFfphA]. On mentionnera aussi les membres de la mission d’observation de la Ligue des États Arabes (voir infra sur le contenu de leur rapport).

20. “Syrie : autant en emporte le vent”, Pierre Piccinin, Investig’Action, michelcollon.info, 23 novembre 2011.

21. Voir infra.

22. Nous avons visionné toutes les vidéos disponibles à ce jour avant d’écrire ce paragraphe.

23. ‘Homs : 17 jours de bombardements en vidéos’, Le Monde, 21 février 2012 : [http://www.youtube.com/watch?v=He8qa7Z9i4Q]

24. “Des rebelles de Baba Amr abandonnent des missiles antichars Metis”, Réseau Voltaire, 1er mars 2012 ; [http://www.voltairenet.org/Des-rebelles-de-Baba-Amr]

25. Pour un exemple parmi d’autres : “Témoignage – Ce qui se passe en Syrie”, 23 juin 2011, Investig’Action : [http://www.michelcollon.info/Temoignage-Ce-qui-se-passe-en.html?lang=fr]. Également (sur un site favorable au régime) : “Témoignage amer d’un cyber-opposant omsi !”, Mohamed Ouadi, Infosyrie, 28 décembre 2011 ; [http://www.infosyrie.fr/contributeurs/temoignage-aigri-dun-cyber-opposant- homsi/]

26. “Siège de Homs : à qui la faute ?”, Bahar, Kimyongur, Investig’Action, 27 février 2012 ; [http://www.michelcollon.info/Siege-de-Homs-a-qui-la-faute.html?lang=fr]

27. Pour lire le rapport intégral : [http://www.voltairenet.org/Rapport-du-chef-de-la-Mission-des]

28. “L’Armée Syrienne Libre est commandée par le gouverneur militaire de Tripoli”, Thierry Meyssan, 18 décembre 2011, Voltaire.net ; [http://www.voltairenet.org/L-Armee-syrienne-libre-est]

29. “L’offensive culturelle du Qatar”, de Lena Lutaud, Le Figaro, le 20 décembre 2010; [http://www.lefigaro.fr/culture/2010/12/20/03004-20101220ARTFIG00501-l-offensive-culturelle-du- qatar.php]

30. “Syrie : La chasse aux chrétiens et aux alaouites a commencé dans certains quartiers de Homs », APIC, 9 février 2012 : [http://kipa-apic.ch/a228611]

31. Novopress, 13 février 2012.

32. « Le Réel enjeu de la guerre en Syrie », Le Figaro, 27 janvier 2012. [http://www.lefigaro.fr/mon- figaro/2012/01/27/10001-20120127ARTFIG00356-le-reel-enjeu-de-la-guerre-en-syrie.php]

33. Articles 1031 et 1032 de la loi NDAA (National Defense Authorization Act for Fiscal Year 2012).

34. “Le Grand Échiquier”, 1997.

Verso una “relazione” Russia-Pakistan in sfida a Washington

Verso una “relazione” Russia-Pakistan in sfida a Washington

Si assiste ad un nuovo inizio dei legami Pakistan-Russia con la prevista visita del presidente russo Vladimir Putin, citata dei media del Pakistan per i primi di ottobre; la prima visita di un presidente russo in Pakistan. Una cosa considerata improbabile, in passato, potrebbe presto diventare una realtà con le due parti che si battono per un nuovo inizio nei rapporti bilaterali. Anche se i media statali russi hanno messo in dubbio la visita di Putin, è ovvio che anche se la visita venisse annullata, un altro funzionario di alto livello, come il ministro degli Esteri, si recherà in visita in Pakistan.


La visita, rivolta principalmente alla conferenza quadrilaterale sull’Afghanistan di Islamabad, porterebbe anche a un faccia a faccia con il presidente del Pakistan. È stato riferito dai funzionari del ministero degli Esteri russo, che i due stati firmeranno anche un MOU (Memorandum of Understanding) multiplo per lo sviluppo e gli investimenti nei settori dell’acciaio e dell’energia del Pakistan. Il presidente Asif Ali Zardari, che ha incontrato una delegazione di alto livello russa in Pakistan, all’inizio di settembre, guidata dal ministro dello sport russo, ha espresso il suo desiderio di cooperazione con Mosca nei settori succitati. [i]
Storicamente, la Russia e il Pakistan non hanno mai goduto di prolungati fruttuosi legami. Anche dopo la nascita del Pakistan, Liaqat Ali Khan, primo ministro del Pakistan, aveva preferito visitare gli Stati Uniti, anche se fu invitato per primo dal governo sovietico. Le relazioni videro il loro culmine solo durante il governo di Zulfiqar Ali Bhutto, quando durante la sua visita, nel 1974 [ii], il governo sovietico decise di costruire l’Acciaieria del Pakistan a proprie spese, aiutandolo anche nel settore dell’energia nucleare. Poi con  il regime di Zia-ul-Haq, l’amministrazione Carter degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il generale Zia collaborarono, con l’aiuto dei partiti di destra, per formare i mujaheddin contro i sovietici in Afghanistan [iii].


Tenendo a mente il contesto attuale della situazione politica del Pakistan, gli ultimi sviluppi hanno  la massima importanza per il paese.


Attualmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno aumentato la pressione sul Pakistan per strapparne il supporto alla politica di Washington di rafforzamento della propria influenza nella regione, nonostante l’apparente contraddizione con gli interessi nazionali del Pakistan. Insieme a ciò, gli Stati Uniti stanno perdendo la loro influenza nella regione a causa del crescente sentimento anti-USA. È per questo che una maggiore cooperazione a livello bilaterale e nel quadro della Shanghai Cooperation Organization (SCO), aiuterà a affrontare le questioni politiche ed economiche del Pakistan. Questo, a sua volta, offrirà nuove opportunità a Islamabad per una politica estera più indipendente e una minore dipendenza economica dagli Stati Uniti e dalle istituzioni finanziarie internazionali, apparentemente controllate dagli Stati Uniti [iv]. L’attuale politica di Washington nella guerra in Afghanistan, sembra essere volta a diminuire l’impatto di Islamabad nel paese e sul processo di pace, e a rafforzare il ruolo dell’India nella soluzione della crisi [v]. Non sorprende che i funzionari di Kabul abbiano anche mostrato un atteggiamento ostile nei confronti del Pakistan, che si riflette in regolari accuse nei confronti della dirigenza pakistana di sostenere la rete haqqani e le organizzazioni estremiste che operano in Pakistan [vi] [vii] [viii].

Con l’attuale dipendenza finanziaria e strategica, il Pakistan può agire solo come semplice spettatore contro le politiche e le pretese degli Stati Uniti. Solo aumentando la cooperazione con la Cina e la Russia nell’approccio regionale che affronti la questione afgana e garantisca la stabilità del paese, aiuterà il Pakistan a tutelare i propri interessi nazionali. E’ ovvio che i legami positivi con la Russia non solo rafforzeranno strategicamente il Pakistan, ma saranno anche una buona occasione per superare i problemi energetici del paese, stimolando anche gli scambi e la cooperazione regionali. Nel quadro della cooperazione militare, il Maresciallo dell’Aria Tahir Rafiq Butt, ha visitato Mosca ad agosto, e ha definito la sua visita uno sviluppo significativo verso una maggiore cooperazione con la Russia nel settore della difesa, in particolare nella difesa aerea. Inoltre, è stato segnalato che all’inizio di settembre il capo dell’esercito del Pakistan, Generale Ashfaq Pervez Kiyani, è stato in visita a Mosca per un incontro ad alto livello con il suo omologo russo. Questa visita potrebbe essere di enorme importanza, in quanto punta verso una svolta politica importante. Un portavoce del ministero degli Esteri di Islamabad, in condizioni di anonimato, ha detto: “Abbiamo voltato una nuova pagina nelle nostre relazioni con la Russia. Si tratta di un grande cambiamento.” [ix]
Il Pakistan è un membro attivo della comunità internazionale nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera. Tenendo conto di questo significato speciale e la pubblicità negativa raccolta dai media mondiali, anche dopo aver fatto tutti gli sforzi e sacrifici possibili, sarebbe utile ampliare la cooperazione con i paesi della SCO, in particolare Russia e Cina. Tale cooperazione può esservi anche in settori quali la prevenzione e la mitigazione dei rischi naturali e tecnologici, la gestione delle emergenze, la formazione e lo sviluppo di esperti locali – dove la Russia ha una vasta esperienza – in materia di risorse scientifiche e tecniche assieme alle risorse umane e finanziarie. L’attuale ripresa nei rapporti può essere utilizzata per sviluppare una cooperazione economica a lungo termine con la Russia.

Mosca ha espresso interesse a partecipare alla costruzione del TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India, Trans-Afghanistan Pipeline), al programma energetico CASA-1000 (Commercio ed Energia per la Regione Asia Centrale – Asia Meridionale) e all’Acciaieria del Pakistan [x]. A questo proposito, Islamabad potrebbe elaborare proposte per la partecipazione di Mosca nella realizzazione di grandi progetti infrastrutturali del paese, portando a uno sviluppo positivo delle relazioni bilaterali. Il Pakistan gode di un grande vantaggio strategico, è un ponte e corridoio per diverse regioni. Questo lo rende, anche per la Russia, un luogo attraente per materializzare la sua profondità strategica. Pertanto, gli sviluppi in corso tra Mosca e Islamabad, le visite ad alto livello e il possibile ruolo del Pakistan nella SCO, le indicazioni per una grande alleanza Sud ed Est asiatica, nella forma dello SCO e di un asse del partenariato Cina-Russia-Pakistan-Iran, possono portare a presagi positivi non solo per la regione, ma anche per il continente asiatico nel suo complesso.

Note
[i] [ii] [iii] [iv] [v] [vi] [vii] [viii] [ix] [x]

Copyright © 2012 Global Research

Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

CONTRA LOS PREJUICIOS DE LA GLOBALIZACIÓN

CONTRA LOS PREJUICIOS DE LA GLOBALIZACIÓN

 
 
La globalización es el proceso histórico que tiene como meta convertir al mundo en un único mercado,  regido por las leyes económicas, sin ningún control político y anulando identidades y diferencias, entendidas como estorbos. Un proyecto en el que el hombre es concebido como consumidor-productor universal, idéntico e intercambiable, sin pasado, herencia ni cultura; sólo un elemento más de la cadena de producción y consumo que alimenta ese mercado universal entendido como meta ideal del liberalismo capitalista globalizador.
Como todo proceso histórico la globalización es producto de una voluntad -la de los grandes poderes económicos y financieros- y de una ideología -el cosmopolitismo neoliberal internacionalista. Ideología que se basa en una serie de dogmas, hoy asumidos como intocables por lo “políticamente correcto” pero necesariamente revocables para que los que presentamos una alternativa sólida a la crisis actual.
 
Libre circulación de mercancías: entendido el mundo como una unidad comercial, el neoliberalismo globalizador ha hecho todo lo posible por terminar con el impedimento que frena este proceso de mercantilización universal: el arancel. Señalado como una barrera política a la tendencia globalista del mercado, el arancel ha ido disminuyendo y desapareciendo hasta convertir el mundo en una unidad de comercio sin prácticamente barreras internas. La consecuencia de esto es que Europa se ha llenado de productos del Tercer Mundo, producidos en situaciones sociales y económicas de semi-esclavitud y sin el menor respeto al medio ambiente que se exige a nuestros fabricantes. Sin ninguna medida de protección esos productos han inundado el mercado europeo a unos precios con los que la producción autóctona no puede competir. La consecuencia es clara: desindustrialización, paro y depauperación de las masas trabajadoras europeas.
 
Libre circulación de personas: no es sólo una de las premisas del cosmopolitismo liberal, sino también es un arma económica de los globalizadores para “bajar el coste de producción” en una Europa de tradición sindical y social. Nada mejor para hacer ceder en sus derechos sociales a los trabajadores europeos que importar mano de obra barata del Tercer Mundo dispuesta a hacer a precios de esclavos, los trabajos de los obreros autóctonos. Un chantaje del capitalismo internacional. Para que no provoque reacciones obvias, a la opinión pública se le inculca el dogma del “antirracismo”, si alguien denuncia esta maniobra explotadora es calificado de “racista” para intentar apartarlo de la escena pública. Maniobra que por los resultados electorales que estamos viendo en Europa, empieza a dejar de funcionar.
 
Sumisión del poder político a las leyes del mercado: Adam Smith y los teóricos del liberalismo ya señalaron que el poder político debería reducirse a la mínima expresión para que las “manos invisible del mercado” regulara las relaciones sociales y económicas. El mismo principio que aplica hoy la globalización neoliberal. Su objetivo es vaciar de poder a toda institución política –fundamentalmente los Estados- último obstáculo para imponer su dictadura global. Es el proceso al que estamos asistiendo estos años y que ha incluido golpes de estado “de libro” como el de Monti en Italia o Papademos en Gracia.
En algo los globalizadores tienen razón, los Estados y las instituciones políticas democráticas son el último freno para su hegemonía. Por eso hemos de proteger nuestras democracias hemos de apoyar la soberanía política de los Estados y hemos de crear una alternativa social e identitaria presente en esas instituciones políticas. Es la única manera de evitar el colapso económico, social y ecológico al que nos lleva la mundialización del capitalismo global.
 
Enric Ravello
Secretario de relaciones nacionales e internacionales de Plataforma per Catalunya

Dossier "Pussy Riots"

Dossier "Pussy Riots" sur

http://www.egaliteetreconciliation.fr/+-Pussy-Riot-+.html

La bourse LennonOno pour la paix décernée aux Pussy Riot

La veuve de John Lennon, Yoko Ono, doit décerner vendredi à New York sa bourse pour la paix "LennonOno" aux Pussy Riot actuellement emprisonnées en Russie, a annoncé mercredi Amnesty international. Le prix sera remis à Pyotr Verzilov, le mari de Nadia Tolokonnikova, l’une des trois jeunes femmes du groupe punk condamnées en août par la justice russe pour "hooliganisme" et "incitation à la haine (...)

 
 
par Alexandre Latsa
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Le parlement européen pourrait décerner le Prix Sakharov aux militantes du groupe punk russe Pussy Riot, condamnées à deux ans de prison pour hooliganisme, a fait savoir un assistant du député allemand Werner Schulz qui a proposé leur candidature. "Oui, je le confirme", a indiqué vendredi l’assistant commentant les informations selon lesquelles M. Schulz, membre du Groupe des Verts/Alliance libre (...)
 
 
 
 
L’homme d’affaires Boris Berezovski (photo ci-contre), opposant au Kremlin et exilé à Londres, serait « derrière » la prière anti-Poutine chantée par les Pussy Riot dans une cathédrale de Moscou, selon une télévision d’état russe, des allégations démenties et dénoncées mercredi par tous les intéressés. Dans une émission diffusée par la chaîne Rossia 1, un certain Alexeï Vechniak, se présentant comme (...)
 
 
 
 
Bien sûr, elle ne le dit pas comme ça, elle ne dit pas "c’est de la merde". "Une église n’est pas un lieu pour pouvoir manifester, on peut manifester autrement. Une église est un lieu de recueillement, et c’est un sacrilège de manifester comme l’ont fait les Pussy Riot", a-t-elle déclaré à la chaîne de télévision moscovite TV tsentr lors d’une visite à Moscou. Trois femmes des Pussy Riot ont été (...)
 
 
 
 
Partie 1 : Partie 2 :
 
 
 
Deux femmes tuées à coups de couteau ont été découvertes dans un appartement au Tatarstan, avec "Free Pussy Riot" écrit apparemment avec du sang sur un mur, a indiqué jeudi la police, une affaire dénoncée comme "une provocation" par un avocat du groupe Pussy Riot. Les victimes, une mère de 76 ans et sa fille de 38 ans, retrouvées mortes dans leur appartement à Kazan, la capitale du Tatarstan (Volga), (...)
 
 
 
 
par Alexandre Latsa
L’affaire Pussy Riot n’en finit pas de faire des vagues. Jamais le Main Stream Médiatique ne se sera autant déchainé contre la Russie "de Vladimir Poutine". Les qualificatifs émotionnels n’ont pas manqué, la presse française n’a pas hésité à parler de Camp lorsqu’il n’était pas affirmé que la Russie réinventait le Goulag (au choix). L’objectif est clair, tenter d’accoler une rhétorique totalitaire pour faire (...)
 
 
 
 

jeudi, 04 octobre 2012

Das Projekt Neudefinition des Islam: die Türkei als das neue Modell eines »Calvinistischen Islam«

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Das Projekt Neudefinition des Islam: die Türkei als das neue Modell eines »Calvinistischen Islam«

By Mahdi Darius Nazemroaya

Global Research, September 27, 2011

Bei ihrem Vormarsch gegen das Eurasische Herzland versuchen Washington und seine Gefolgsleute, sich den Islam als geopolitisches Werkzeug zunutze zu machen. Politisches und soziales Chaos haben sie bereits geschaffen. Dabei wird versucht, den Islam neu zu definieren und ihn den Interessen des weltweiten Kapitals unterzuordnen, indem eine neue Generation sogenannter Islamisten, hauptsächlich unter den Arabern, ins Spiel gebracht wird.

Die heutige Türkei wird den aufbegehrenden Massen in der arabischen Welt als demokratisches Modell präsentiert, dem es nachzueifern gilt. Unbestreitbar hat Ankara Fortschritte gemacht im Vergleich zu den Zeiten, als es verboten war, in der Öffentlichkeit Kurdisch zu sprechen. Dennoch ist die Türkei keine funktionsfähige Demokratie, sondern eher eine Kleptokratie mit faschistischen Zügen.

Immer noch spielt das Militär in Belangen von Staat und Regierung eine große Rolle. Der Begriff »Tiefer Staat«, der einen Staat bezeichnet, der im Geheimen von Institutionen und Personen beherrscht wird, die nicht zur Rechenschaft gezogen werden können, hat seinen Ursprung in der Türkei. Bürgerrechte werden in der Türkei auch heute nicht geachtet, die Kandidaten für öffentliche Ämter müssen nach wie vor vom Staatsapparat und den kontrollierenden Gruppen zugelassen werden – und die sind bemüht, jeden herauszufiltern, der sich gegen den Status quo in der Türkei wenden könnte.

Die Türkei wird den Arabern nicht wegen seiner demokratischen Qualifikationen als Modell dargestellt. Vielmehr wird sie den Arabern wegen eines Projekts politischer und sozio-ökonomischer »Bida« (Erneuerung), das die Manipulation des Islam einschließt, als Modell präsentiert.

Trotz ihrer großen Popularität konnte die Türkische Partei für Gerechtigkeit und Aufschwung (Adalet ve Kalkinma Partisi oder kurz AKP) 2002 ohne jeden Widerstand von Militär und Justiz in der Türkei an die Macht gelangen. Davor hatte es in der Türkei keine große Toleranz gegenüber einem politischen Islam gegeben. Die AKP wurde 2001 gegründet; der Zeitpunkt der Gründung und der Wahlsieg 2002 standen auch im Zusammenhang mit der geplanten Neuorientierung Südwestasiens und Nordafrikas.

Mit dem Projekt Manipulation und Neudefinierung des Islam soll dieser durch eine neue Welle des »politischen Islamismus«, wie die AKP, den herrschenden kapitalistischen Interessen in der Weltordnung unterworfen werden. Zu diesem Zweck wird eine neue Strömung des Islam gebildet, die man inzwischen als »Calvinistischen Islam« oder »Muslimische Version der protestantischen Arbeitsethik« bezeichnet. Genau dieses Modell wird in der Türkei gefördert, Washington und Brüssel präsentieren es Ägypten und der arabischen Welt als Modell.

Dieser »Calvinistische Islam« hat auch kein Problem mit dem »Reba-« oder Zinssystem, das im Islam verboten ist. Dieses System dient dazu, Einzelne und ganze Gesellschaften durch die Verschuldung gegenüber dem globalen Kapitalismus zu versklaven. Das ist der Hintergrund für die Forderungen der Europäischen Bank für Wiederaufbau und Entwicklung (EBRD) nach so genannten »Reformen« in der arabischen Welt.

Auch die Herrscherfamilien in Saudi-Arabien und den arabischen Öl-Scheichtümern sind daran beteiligt, die arabische Welt durch Schulden zu versklaven. Zu diesem Zweck betreiben Qatar und die Scheichtümer am Persischen Golf die Gründung einer Middle East Development Bank [Entwicklungsbank für den Nahen Osten], die arabischen Ländern Kredite für den »Übergang zur Demokratie« gewähren soll. Diese Mission der Middle East Development Bank zur Förderung der Demokratie ist paradox, denn ihre Mitgliedsländer sind allesamt stramme Diktaturen.

Genau diese Unterwerfung des Islam unter den globalen Kapitalismus führt auch zu internen Spannungen im Iran.

Einer neuen Generation von Islamisten den Weg bereiten

Washington hofft darauf, dass dieser »Calvinistische Islam« bei einer neuen Generation von Islamisten unter dem Banner neuer demokratischer Staaten Wurzeln schlägt. Diese Regierungen werden ihre Länder versklaven, indem sie sie weiter in Schulden treiben und Staatseigentum verkaufen. Sie werden dazu beitragen, die gesamte Region von Nordafrika bis Südwest- und Zentralasien zu unterwandern; die Region also, die nach dem Vorbild Israels unter ethnokratischen Systemen neu geordnet werden soll.

Auch Tel Aviv wird unter diesen neuen Staaten erheblichen Einfluss ausüben. Im Rahmen dieses Projekts werden verschiedene Formen des ethno-linguistischen Nationalismus und religiöser Intoleranz gefördert, um die Region zu spalten. Die Türkei spielt als Wiege dieser neuen Islamisten-Generation ebenfalls eine Rolle. Und Saudi-Arabien hat mit der Förderung des militanten Flügels dieser Islamisten die Hand im Spiel.

Washingtons Umstrukturierung des geostrategischen Schachbretts

Der Iran und Syrien werden im Rahmen der größeren Strategie zur Beherrschung Eurasiens ins Visier genommen. Gegen die chinesischen Interessen wird überall auf der Welt vorgegangen. Der Sudan ist bereits balkanisiert worden, sowohl Nord- als auch Süd-Sudan steuern auf einen Konflikt zu. Libyen ist angegriffen worden und wird derzeit balkanisiert. Syrien wird unter Druck gesetzt, sich zu ergeben und sich anzuschließen. Die Sicherheitsbehörden der USA und Großbritannien werden miteinander verflochten, vergleichbar den anglo-amerikanischen Einrichtungen aus der Zeit des Zweiten Weltkriegs.

Wenn Pakistan aufs Korn genommen wird, so geschieht dies im Zusammenhang mit der Neutralisierung des Iran sowie dem Angriff auf chinesische Interessen und eine künftige Einheit in Eurasien. In dieser Absicht haben USA und NATO auch das Seegebiet um Jemen militarisiert. Gleichzeitig bauen die USA in Osteuropa ihre Festungen in Polen, Bulgarien und Rumänien aus, um Russland und die ehemaligen Sowjetrepubliken zu neutralisieren. Auch Belarus und die Ukraine werden zunehmend unter Druck gesetzt. All diese Schritte sind Teil einer militärischen Strategie zur Einkreisung Eurasiens und der Kontrolle seiner Energieversorgung oder des Energietransports nach China. Selbst Kuba und Venezuela geraten immer mehr ins Visier. Washington zieht die militärische Schlinge weltweit enger.

Wie es scheint, werden von der Saud-Dynastie mit Unterstützung der Türkei neue islamistische Parteien ins Leben gerufen und entwickelt, die in den Hauptstädten der arabischen Welt die Macht übernehmen sollen. Solche Regierungen werden bemüht sein, ihre jeweiligen Staaten unterzuordnen. Für Pentagon, NATO und Israel könnten einige dieser neuen Regierungen sogar als Rechtfertigung für neue Kriege dienen.

Es sei daran erinnert, dass Norman Podhoretz, Gründungsmitglied des Project for a New American Century (PNAC), 2008 ein apokalyptisches Szenario vorgestellt hat, bei dem Israel einen Atomkrieg gegen den Iran, Syrien und Ägypten und seine übrigen Nachbarländer in Gang setzen würde. Davon wären auch Libanon und Jordanien betroffen. Podhoretz beschrieb ein expansionistisches Israel und deutete sogar an, Israel könnte die Ölfelder am Persischen Golf besetzen.

Was 2008 seltsam anmutete, war Podhoretz’ von der strategischen Analyse des Center for Strategic and International Studies (CSIS) beeinflusste Andeutung, Tel Aviv könne einen nuklearen Angriff gegen seinen strammen ägyptischen Verbündeten richten, die Regierung von Präsident Mubarak in Kairo. Das alte Regime ist zwar geblieben, aber Mubarak regiert nicht mehr in Kairo. Noch immer hat das ägyptische Militär das Kommando, doch Islamisten könnten die Macht übernehmen. Und das, obwohl der Islam von den USA und den meisten NATO-Verbündeten weiterhin verteufelt wird.

Unbekannte Zukunft: Was kommt als Nächstes?

USA, EU und Israel versuchen, die Aufstände in der türkisch-arabisch-iranischen Welt zu nutzen, um ihre eigenen Interessen zu fördern, darunter den Krieg gegen Libyen und die Unterstützung für einen islamischen Aufstand in Syrien. Zusammen mit der Familie Al-Saud versuchen sie, die »Fitna« oder Spaltung unter den Völkern Südwestasiens und Nordafrikas voranzutreiben. Die strategische Allianz Israel–Khaliji zwischen Tel Aviv und den arabischen Herrscherfamilien am Persischen Golf ist in dieser Hinsicht von entscheidender Bedeutung.

Der Aufstand in Ägypten ist noch lange nicht vorüber, die Radikalität nimmt zu, was wiederum die Militärjunta in Kairo zu Zugeständnissen veranlasst. Die Protestbewegung wendet sich jetzt gegen die Rolle Israels und dessen Beziehungen zur Militärjunta. Auch in Tunesien wird die Stimmung in der Öffentlichkeit zunehmend radikaler.

Washington und seine Verbündeten spielen mit dem Feuer. Sie mögen der Ansicht sein, diese Periode von Chaos biete ausgezeichnete Chancen für eine Konfrontation mit dem Iran und Syrien. Doch der Aufstand, der die türkisch-arabisch-iranische Welt erfasst hat, wird unabsehbare Folgen haben. Die Standfestigkeit der Menschen in Bahrein und Jemen angesichts der Bedrohung durch die wachsende, staatlich beaufsichtigte Gewalt ist ein Anzeichen dafür, dass sich eine einheitlichere anti-amerikanische und anti-zionistische Protestbewegung artikuliert.

Mahdi Darius Nazemroaya ist ein unabhängiger Schriftsteller aus Ottawa (Kanada), der sich auf den Nahen Osten und Zentralasien spezialisiert hat. Er ist wissenschaftlicher Mitarbeiter des Centre for Research on Globalization (CRG).

 

Dieser Artikel erschien unter dem Titel: The Powers of Manipulation: Islam as a Geopolitical Tool to Control the Middle East

Quelle: Global Research, Centre for Research on Globalization (CRG) vom 2.7.2011

Un rapport prévoit la “déconstruction” du régime afghan et le retour des taliban à Kaboul

Un rapport prévoit la “déconstruction” du régime afghan et le retour des taliban à Kaboul

Publié le29/09/2012 - ex: http://mediabenews.wordpress.com/


Rien n’est encore décidé et l’idée est en cours de discussion au sein du Commandement des forces alliées (SACEUR) : après 2014, il serait en effet que l’Otan maintienne en Afghanistan une force de 10.000 à 20.000 hommes, avec des forces spéciales et des moyens aériens, afin de continuer à soutenir les forces de sécurité afghanes. C’est du moins ce qu’a révélé le général Gérard Van Caelenberge, le nouveau chef de la Défense belge.

L’après 2014 en Afghanistan a par ailleurs fait l’objet d’un rapport, publié par la Fondation Carnegie pour la paix et établi par le chercheur français Gilles Darronsoro, fin connaisseur de la région et très critique au sujet de la stratégie mise en oeuvre par l’Otan pour réduire l’insurrection afghane.

Ainsi, le document est pour le moins pessimiste quant à l’avenir de ce pays car il y est estimé que “le régime afghan va très certainement s’effondrer dans quelques années” et la situation pourrait être, à certains égards, pire que celle qui prévalait avant 2001.

Selon Gilles Darronsoro, le retrait de l’ISAF “se traduira automatiquement par une avancée des taliban, particulièrement dans l’est et le sud du pays”, qui sont actuellement les secteurs où l’insurrection est encore la plus active.

“Au mieux, le gouvernement afghan pourra garantir la sécurité des villes et de quelques régions qui lui sont favorables. Mais il perdra le contrôle des zones rurales pachtounes et des provinces frontalières avec le Pakistan, sans perspective de regagner du terrain” ajoute encore le chercheur, qui estime que les forces de sécurité afghanes n’auront ni les compétences et ni les moyens pour reprendre l’avantage.

Aussi, le régime afghan, annonce le rapport, aura à faire face à une triple crise, d’abord sur le plan économique, avec une baisse substantielle des aides financières internationales, ensuite au niveau politique, avec une élection présidentielle programmée incertaine (et s’ajoute le risque de fraudes…) et enfin dans le domaine sécuritaire.

Cependant, le chercheur français propose des solutions pour éviter le scénario d’un retour des taliban au pouvoir. La première à appliquer immédiatement est de renforcer la sécurité dans l’est de l’Afghanistan ainsi que dans la province de Kaboul, afin de ralentir les progrès des insurgés et de les “encourager à prendre au sérieux les négociations”. A ce sujet, le rapport estime qu’avoir mis le réseau Haqqani sur la liste des organisations terroristes est contre-productif. C’était aussi l’argument de ceux qui s’était opposés à cette démarche au sein de l’administration Obama.

En outre, Gilles Darronsoro préconise de mettre un terme aux frappes ciblées contre les taliban et de se concentrer davantage sur les groupes jihadistes internationaux. Seulement, le réseau Haqqani, dont le chercheur a regretté le classement parmi les groupes terroristes, aurait l’ambition d’exporter le “jihad”… Enfin, selon le rapport, les Etats-Unis doivent trouver une nouvelle approche dans sa politique à l”égard de l’Afghanistan, du Pakistan et de l’Inde.

Un plan controversé visant à une partition de l’Afghanistan

L’Afghanistan pourrait être découpé en huit « royaumes » différents – et certains d’entre eux pourraient être gouvernés par les Taliban – selon un plan controversé en cours de discussion à Londres et à Washington (et ce n’est pas la première fois que le CFR envisage une partition comme nous l’avions vu en novembre 2010 avec cet article intitulé « La guerre d’Obama en Afghanistan », ndlr).

Sous le nom de « Plan C », le projet radical pour l’avenir de l’Afghanistan énonce des réformes de nature à reléguer le président Hamid Karzai au rôle de figurant.

Conçu par le député conservateur et collaborateur du Foreign Office Tobias Ellwood, il pose en avertissement que le pays fera face à un avenir sombre quand il sera livré à lui-même. M. Ellwood soutient qu’un Etat « régionalisé » avec un nouveau Premier ministre puissant pourra faire face à la faible gouvernance, aux disputes tribales et à la corruption dont beaucoup craignent qu’elles plongent l’Afghanistan dans le chaos quand l’ International Security Assistance Force (ISAF) se retirera en 2014.

Des sources haut placées au gouvernement ont confirmé que le Plan C – Trouver une solution politique en Afghanistan a été présenté au ministre des Affaires étrangères William Hague, et a été discuté avec des officiels de la Maison Blanche. M. Ellwood, un ancien capitaine dans les Royal Green Jackets a aussi discuté ce plan avec des officiels du gouvernement pakistanais à Londres.

Mais des experts ont critiqué cette tentative « d’imposer » un système démocratique à l’Afghanistan, et souligné que les leaders de la coalition devraient se concentrer sue la stratégie du retrait militaire qui leur permettra d’évacuer leurs forces à l’échéance butoir de 2014.

Wazhma Frogh, directrice de l’ Afghanistan’s Research Institute for Women, Peace and Security, a déclaré : « Quel est ce député britannique qui siège à Londres et décide pour l’Afghanistan ? C’est à nous, le peuple de ce pays, de décider si nous voulons nous scinder en Etats ou nous disparaître en tant que nation. Je suis surprise de voir un député d’un pays démocratique concevoir l’avenir et donner des solutions pour un pays dans lequel il n’aura pas à vivre et où ses enfants n’auront pas non plus à vivre. »

M. Ellwood, qui travaille maintenant comme collaborateur parlementaire du ministre délégué du Foreign Office David Lidington, a soutenu qu’un règlement politique – même en incluant les Taliban – était nécessaire pour garantir la stabilité à long terme de l’Afghanistan.

« L’ISAF peut être confiante dans le fait que la révision de sa stratégie sécuritaire fonctionne finalement, mais la menace insurgée ne sera pas supprimée par le seul recours à la force, » explique-t-il dans un rapport lu par The Independent on Sunday. « Les Taliban ne participeront pas à un dialogue significatif s’il n’y a pas de stratégie politique faisable à laquelle ils peuvent participer… Une solution alternative [offre] une structure politique moins centralisée qui reflète mieux la composition ethnique du pays, les pôles économiques déjà existants et les intérêts régionaux des Taliban qui pourraient alors être intéressés à un règlement politique. »

Le plan divise l’Afghanistan en huit zones, basées sur les « pôles économiques » de Kaboul, Kandahar, Herat, Mazar-i-Sharif, Kunduz, Jalalabad, Khost et Bamyan. Les zones seraient administrées par un conseil représentant les divers groupes ethniques et supervisé par un ou plusieurs pays étrangers. M. Ellwood soutient aussi que la création d’un poste de Premier ministre, avec beaucoup des pouvoirs « disproportionnés » détenues actuellement par le président participeraient à apaiser les inquiétudes sur l’homme qui a dirigé le pays pendant près de huit années.

Mais Thomas Ruttig, co-directeur de l’ Afghanistan Analysts Network, déclare : « Scinder les pays en régions de ce genre aura pour résultat de renforcer le poids de ceux que nous avons déjà commencé à appeler ‘hommes d’influence, les power brokers locaux (ou régionaux) et ce qu’on appelait avant les ‘seigneurs de la guerre’ et dont l’incurie du pouvoir entre 1992 et 1996 avait été la première causes de l’ascension des Taliban. »

Source : opex360.com, Mecanoblog,

mercredi, 03 octobre 2012

Siria: L’errore di calcolo della Turchia!

Siria: L’errore di calcolo della Turchia!

Dr Amin Hoteit, Mondialisation , al-Thawra

Ex: http://aurorasito.wordpress.com/

Quando la Turchia ha preparato il suo ruolo di “Direttore Regionale della ricolonizzazione” come “potenza neo-ottomana” o “moderno califfato islamico“, ha pensato che avrebbe fatto strada senza problemi, data la mancanza di strategia araba, l’isolamento dell’Iran e l’evoluzione delle condizioni regionali che hanno reso Israele incapace di mantenere consistente il proprio ruolo, secondo le teorie di Shimon Peres, promuovendo l’idea di un “Nuovo o Grande Medio Oriente“, basata sul “pensiero sionista” e il “denaro arabo“.

La Turchia ha veramente pensato che questo fosse il modo migliore per garantirsi la leadership della regione, per iniziare, poi del mondo musulmano … confortata in questo dai suoi punti di forza economici, dalle sue buone relazioni con i popoli di tanti stati indipendenti dell’Asia centrale, il suo passato musulmano assieme a un presente che dimostrerebbe la capacità degli “islamisti” nel prendere le redini dello Stato turco e neutralizzare l’ostacolo dell’Esercito “guardiano della laicità”, istituito da Ataturk!

In base a questa visione, la Turchia, o meglio il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ha lanciato la sua strategia di “zero problemi“, pensando che le avrebbe permesso di attraversare le frontiere dei confinanti e far dimenticare le tragedie storiche commesse contro diversi popoli e stati della regione, prima di involarsi verso il suo nuovo sogno imperiale… Quindi “conquistata” la causa palestinese, causa centrale per gli arabi e i musulmani [per i popoli e i regimi non asserviti all'Occidente e ad Israele], ha iniziato a tessere relazioni strategiche con diversi paesi della regione, a partire dal più vicino e più importante: la Siria! In effetti, in un libro pubblicato nel 2001, Davutoglu, il teorico del “zero problemi” aveva sottolineato che la Turchia non poteva realizzare i propri progetti imperialistici che partendo dalla Siria, passo preliminare per assicurarsi il sogno della profondità strategica!


In questo caso, si deve rilevare che la Siria ha risposto positivamente alla nuova politica di apertura della Turchia e, in piena fiducia, aveva stabilito una partnership strategica con uno stato ancora membro della NATO, che “coltivava un rapporto speciale con Israele“, pensando che questo nuovo approccio permettesse almeno di garantirsi la sua neutralità nel conflitto con il nemico sionista e, eventualmente, affidargli alcune missioni nel quadro di questo stesso conflitto, in cui non avrebbe più dimostrato un palese sostegno verso Israele.
Ma la Turchia non è stata onesta e aveva previsto l’esatto opposto di quello che offriva, non appena l’aggressione occidentale, agli ordini dei piani degli Stati Uniti basati sulla strategia intelligente del “soft power“, si è abbattuta sulla Siria, è entrata nel suo ruolo di “regista sul campo dell’aggressione” e si è messa a “dare lezioni” avvalendosi della lingua condiscendente dei colonizzatori, come se la Siria fosse ancora parte dell’Impero Ottomano! Ciò fu chiaramente il suo primo errore di calcolo, in quanto la nuova moda neo-ottomana incontrava la resistenza araba siriana, proibendogli di ripristinare un passato che ne ignorasse la dignità e la sovranità; ciò ha innescato la furia e l’odio in cui i leader turchi si sono pubblicamente immersi, nel tentativo di minare dall’interno la Siria.


A questo punto, la Turchia ha svolto il ruolo di cospiratore su due livelli:
· A livello politico, ha sponsorizzato i gruppi di agenti dei servizi segreti di vari paesi e varie figure revansciste cariche di odio o di vendetta, assetate di potere, prima di organizzare un cosiddetto “Consiglio nazionale siriano” [CNS], che in realtà è al soldo di servizi ed interessi stranieri in Siria. In questo modo, pensava che questo falso consiglio sarebbe stata un’alternativa alle legittime autorità siriane… Secondo errore di calcolo, poiché essendo il CNS nato come strumento della discordia straniera, si è evoluto verso una discordia interna maggiore, trasformandosi in un cadavere putrefatto, così divenendo un peso per i suoi creatori, e per la Turchia per prima!


· Sul piano militare, si è trasformata in una base di raccolta dei terroristi di tutte le nazionalità, attaccando la Siria prima dell’esecuzione di un’operazione militare internazionale di cui sarebbe stata la punta di lancia, raccogliendone i frutti trasformandola nel cortile dell’impero neo-ottomano rinato dalle ceneri… Terzo errore di calcolo manifesto, dopo che una simile operazione, cosiddetta “internazionale”, si era rivelata impossibile, ciò ha spinto la Turchia a non concentrarsi che su sordide azioni terroristiche sul suolo siriano! Il partito al governo in Turchia aveva, infine, puntato tutte le sue speranze sul terrorismo internazionale, e aveva immaginato che la Siria sarebbe crollata in poche settimane, aprendo la via di Damasco al nuovo sultano ottomano… Quarto errore di calcolo, davanti a una Siria in cui tutte le componenti statali e civili resistevano alla marea terroristica, ritenuta infrangibile, la  Turchia è ritornata a quella dura realtà che non si era degnata di prevedere.
In effetti, la Turchia aveva immaginato che la difesa siriana e quella dei suoi alleati regionali dell’”asse della resistenza“, in perfetto accordo con il fronte del rifiuto emergente sulla scena internazionale, non avrebbe potuto resistere nel caso di uno scontro così ben condotto e che, in ogni caso, l’avrebbe dovuto affondare… Quinto errore di calcolo, particolarmente pericoloso vista l’evoluzione del teatro delle operazioni a scapito delle sue velleità. Non citeremo che le conseguenze fondamentali:

1. Definitivo fallimento della Turchia nella sua guerra terroristica contro la Siria, condotta congiuntamente al “campo occidentale degli aggressori“… Inoltre, ora è fermamente convinta che non è possibile rovesciare il governo siriano, il popolo siriano è l’unico in grado di deciderlo.


2. Fallimento degli sforzi della Turchia a favore di un intervento militare diretto, volto a trasformare la prova, ora che tutti i suoi tentativi di creare  “zone di sicurezza“, “zone cuscinetto“, “corridoi umanitari” o qualsiasi altra scusa che consentisse l’intervento militare straniero in Siria, sono falliti miseramente di fronte alla resistenza siriana, alla fermezza iraniana e alla coerenza russa nel loro rifiuto concertato di un tale risultato, anche se avessero dovuto arrivare a un confronto militare internazionale, mentre la Turchia ed i suoi alleati non erano preparati a tale possibilità.


3. La grave angoscia della Turchia sul futuro dei gruppi terroristici che ha accolto sul suo territorio e diretto contro la Siria sotto la supervisione degli Stati Uniti; ciò dovrebbe ricordarci che il fenomeno degli “afghani arabi” è diventato un problema per il paese che li ha spinti a combattere contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, dove una volta che le truppe sono partite sono diventati dei “veterani disoccupati“, minacciando ogni sorta di pericoli; una situazione non molto diversa da quella che potrà incontrare la Turchia, oggi! E’ per questo motivo che si è affrettata a chiedere il soccorso degli Stati Uniti nell’aiutarla a prevenire questa probabile piaga… E’ per questo motivo che recentemente le forze di sicurezza dei due paesi si sono incontrate e che, contrariamente a quanto è stato riportato dai media, non hanno parlato dello sviluppo dei preparativi finali per l’intervento militare in Siria, ma di difendere la Turchia, che teme per la propria incolumità in caso di una controffensiva lanciata dalla cittadella siriana che resiste alla sua violenta aggressione per mezzo di interposti terroristi.


4. L’ansia non meno grave della Turchia per certi dossier che sono sul punto di esplodere, mentre cerca di nasconderli con la sua presunta politica di “zero problemi” trasformata in pratica nella politica di “zero amici“; il più pericoloso di questi casi è l’ostilità dei popoli, di gran lunga superiore a quella dei governi. Così, quattro temi principali minacciano l’essenza dello Stato turco e perseguitano i suoi dirigenti:
· Il dossier settario: la Turchia ha ritenuto che accendendo il fuoco settario in Siria, si sarebbe salvata dall’incendio. Ha dimenticato che la sua popolazione è ideologicamente e religiosamente eterogenea, e che lo stesso fuoco potrebbe bruciare data la sua vicinanza geografica; cose che sembra aver capito ora…
· Il dossier nazionalista: la Turchia ha pensato che potesse contenere il movimento nazionalista curdo… un altro errore di calcolo, perché questo movimento è diventato così pericoloso che l’ha costretta a riconsiderare seriamente la sua politica globale nei confronti di esso.
· Il dossier politico: la Turchia ha immaginato che basandosi sulla NATO potesse ignorare le posizioni dei paesi della regione e d’imporre la sua visione basata sui propri interessi, ma ora è sempre più politicamente isolata, i paesi sulla cui amicizia sperava di contare nell’aggressione contro la Siria, si sono allontanati per paura della sua smisurata ambizione, e i paesi che ha trattato da nemici, al punto di pensare che potesse dettargli i propri ordini o di schiacciarli, si sono dimostrati in grado di resistere con una forza che l’ha sconcertata… lasciandola nella situazione inaspettata di “zero amici“!
· Il dossier della sicurezza: la Turchia cerca invano di negare il declino della sicurezza nel suo territorio, diventata estremamente penosa per i suoi commercianti e soprattutto per coloro che lavorano nel settore del turismo e che hanno perso più del 50% delle loro entrate normali nel corso degli ultimi sei mesi!


Tutto ciò mostra che la Turchia si trascina dietro gli USA, supplicandoli di farla uscire dal pantano in cui è sprofondata! Non solo ha fallito nella sua aggressione contro la Siria, e ha rivelato la falsità della sua politica e di tutte le sue dichiarazioni, ma non è neanche più sicura di salvare le carte che ancora pensa di detenere, ora che gli eventi di Antiochia, le rivendicazioni armene, gli attacchi curdi, gli oppositori interni alle politiche del governo attuale, e la mancanza di cooperazione assieme alla sfiducia dei paesi della regione, sono diventati fattori che, tutti insieme, possono generare turbolenze verso i piani imperialistici di Erdogan e del suo ministro degli Esteri; ricordando, in questo caso, l’aneddoto del giardiniere innaffiato!

Il dottor Amin Hoteit è un analista politico, esperto di strategia militare e generale di brigata in pensione libanese.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Obamas Amerika: Tyrannei und Dauerkrieg

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Obamas Amerika: Tyrannei und Dauerkrieg

Während einer Zeremonie im Weißen Haus unterzeichnete er das berüchtigte Militärkommissionsgesetz (MCA). Dieses Gesetz erlaubte Folter als offizielle Politik.

Dieses Gesetz gewährte ebenso umfassende nicht verfassungskonforme Vollmachten, angeblich, um des Terrorismus Verdächtigte und deren Mitmacher (einschließlich US Bürger) zu verhaften, zu verhören und anzuklagen, auf unbestimmte Zeit (und ohne Beweis) in Militärgefängnissen in Haft zu nehmen, und ihnen die Habeas Corpus Rechte und andere konstitutionelle Schutzrechte vorzuenthalten.

Es erlaubt Präsidenten, jede Person an jedem Ort als einen „unrechtsmäßigen feindlichen Kämpfer“ zu bezeichnen, deren Verhaftung anzuordnen, sie in Sicherheitsverwahrung zu nehmen und ihr alle Rechte zu verweigern.

Am selben Tag unterzeichnete Bush in aller Ruhe das Nationale Verteidigungsautorisierungsgesetz für das Finanzjahr 2007. Darin eingeschlossen waren die versteckten Sektionen 1076 und 333. Bedeutende Medienzaren ignorierten diese.

obamathemightywarrior.jpgSie änderten das Aufstandsgesetz von 1807 und das Posse Comitatus Gesetz von 1878. Diese Gesetze untersagten den Einsatz von Bundes- und Nationalgardetruppen zur Durchsetzung von Gesetzen innerhalb des Landes, ausgenommen, dieser ist verfassungsmäßig erlaubt oder ausdrücklich vom Kongress während eines Aufstandes oder anderer nationaler Notstandssituationen genehmigt.

Von jetzt an kann die Exekutive per Diktat Notstandsvollmachten beanspruchen, das Kriegsrecht verhängen, die Verfassung aus „Nationaler Sicherheit“ aufheben, und Bundes- und/oder Nationalgardetruppen auf US Straßen einsetzen, um jegliche Art von Unruhe – einschließlich rechtsmäßige und friedliche Proteste – zu unterbinden.

Es geht um die Abschaffung fundamentaler First Amendment Freiheiten, ohne die alle anderen (Freiheiten) in Gefahr sind. Diese Freiheiten umfassen freie Meinungsäußerung, Versammlungsfreiheit, Religionsfreiheit und das Recht, Petitionen an die Regierung für Wiedergutmachung zu richten. Nicht mehr.

2009 sicherte Obama durch das Unterzeichnen des Nationalen Verteidigungsautorisierungsgesetzes für 2010 die Kontinuität des Militäreinsatzes zu. Dessen versteckte Sektion 1031 enthielt das Gesetz für Militärkommissionen von 2009. Der Begriff „nicht-privilegierter feindlicher Kriegsteilnehmer“ ersetzte (den bis dahin geltenden Begriff) „ungesetzlicher feindlicher Kombattant/Kämpfer.“

Die Sprache hat sich zwar geändert, nicht aber die Absicht oder die Unrechtsmäßigkeit. Obama übertrifft Bushs Extremismus. Guantanamo und andere Foltergefängnisse bleiben offen. US Bürger werden genauso unrechtsmäßig behandelt wie ausländische Staatsangehörige. Die Lage verschlechtert sich zunehmend.

Am 31 Dezember unterzeichnete (d)er (Präsident) das Nationale Verteidigungsautorisierungsgesetz (NDAA). Es gibt Präsidenten uneingeschränkte Macht, Verhaftungen durch das Militär anzuordnen und US Bürger auf unbestimmte Zeit zu inhaftieren, allein auf der Grundlage von unbestätigten Anschuldigungen der Mitgliedschaft in einer Terrorgruppe.

Konstitutioneller, gesetzlicher sowie auf internationalem Recht beruhender Schutz sind wirkungslos. Amerikas Militär kann jedermann aufgreifen und in Foltergefängnisse werfen, ihn auf unbestimmte Zeit ohne Anklage und Prozess festhalten, allein auf der Grundlage von Verdächtigung, fadenscheinigen Behauptungen oder ganz ohne Grund.

Zuvor autorisierte Obama per Dekret die Inhaftierung jeder zur nationalen Sicherheitsgefahr erklärten Person. Speziell für Guantanamo-Häftlinge bestimmt, trifft dies jetzt auf jede Person zu, einschließlich US Bürger im In- und Ausland.

Zusätzlich erhielten CIA Agenten und Todesschwadrone der Sondereinsatzkommandos die Autorisierung durch den Präsidenten, ausgesuchte US Bürger im Ausland zu ermorden. Diese Personen können für irgendeinen oder auch gar keinen Grund gejagt und kaltblütig ermordet werden.

Ab dem 31. Dezember (2011) kann jedermann, einschließlich US Bürger, an jedem Ort eine nationale Sicherheitsgefahr genannt und per Anklage für schuldig erklärt werden. Aktivisten, die sich Amerikas Imperium widersetzen, riskieren Verhaftung, dauerhafte Sicherheitsverwahrung oder Ermordung.

Genau so ergeht es für soziale Gerechtigkeit Demonstrierende. Militärverliese oder FEMA Lager erwarten sie. Kriegsrecht kann dies unter Inanspruchnahme einer „Notstandsituation im Katastrophenfall“ ermöglichen. Die ursprüngliche Senatsvorlage nahm US Bürger davon aus. Obama verlangte deren Einbeziehung (unter dieses Gesetz).

Unverletzliche Rechte gelten nicht mehr. Protestieren gegen imperiale Gesetzlosigkeit, soziale Ungerechtigkeit, Verbrechen großer Firmen, Korruption der Regierung oder das von der und für die reiche Elite funktionierende politische Washington kann kriminalisiert werden. Dasselbe trifft auf die freie Rede, die Versammlungsfreiheit, die Religionsfreiheit oder irgendetwas zu, das Amerikas Recht ungestraft zu töten, zu zerstören und zu plündern in Frage stellt.

Es ist offiziell. Tyrannei ist in Amerika angekommen. In der Nation zu leben ist unsicher geworden. Es gibt keinen Ort, sich zu verstecken. Sie kommen zu Jedem, der sich Ungerechtigkeit widersetzt.

Gesetzlosigkeit zu Hause und im Ausland

Sie zielen auch auf unabhängige Staaten. Es geht darum, sie abhängig zu machen. Taktiken umfassen Drohungen, Destabilisierung, Gewalt, Sanktionen und Krieg, falls andere Methoden versagen.

Im Jahre 2011 wurde Lybien zu NATOs letztem Leichenhaus. Für Profit wurde es geplündert und zerstört. Seit Monaten wird Syrien gnadenlos ins Visier genommen. Weiterer Druck wird aufgebaut. Alles ist möglich in der Zukunft, einschließlich der Barbarei, die Lybien zugefügt wurde.

Danach kommt der Iran. Washington verfolgt dieses Thema aggressiv.

Taktiken umfassen Provokationen, Unterwanderung, falsche Beschuldigungen, Isolation, verdeckte oder direkte Konfrontation, Cyberkrieg, sehr harte Sanktionen, die gefährlich nahe an Kriegshandlungen kommen.

In den letzten fünf Jahren wurden vier Runden Sanktionen verhängt. Im Dezember hat der Kongress eine weitere Runde veranlasst. Sie sind in dem Nationalen Verteidigungsautorisierungsgesetzes (NDAA) für 2012 enthalten. Sie zielen darauf ab, ausländische Banken zu bestrafen, die mit Teherans Zentralbank Geschäfte machen. Sie ist der Hauptzahlungsweg im Ölgeschäft. US Firmen, einschließlich Banken, können schon nicht mehr Geschäfte mit dem Iran machen.

Zusätzliche Maßnahmen erweiterten Sanktionen für Firmen in ölverwandten Bereichen, einschließlich von Investitionen, dem Verkauf von Raffinerieausrüstungsgegenstände und -produkten sowie Dienstleistungen über 5 Millionen Dollar jährlich.

Am 31. Dezember hat Obama das Gesetz unterzeichnet. Er hat 180 Tage, es anzuwenden. Er nennt es die bisher härteste Maßnahme, indem er sagt:

„Unsere Absicht ist es, dieses Gesetz nach einem zeitlich gestaffelten Verfahren anzuwenden, um Auswirkungen auf den Ölmarkt zu vermeiden und sicherzustellen, dass dies nur den Iran und nicht den Rest der Welt schädigt.“

Es liegt in seinem Ermessensspielraum, Ausnahmen zuzulassen, vorausgesetzt sie sind in Amerikas nationalem Interesse. Energieanalysten befürchten, das Inkraftsetzen (dieses Gesetzes) bedeutet höhere Ölpreise mit negativen Folgen. Andere befürchten, Konfrontation könnte dem Schikanieren folgen.

Marinekommandeur Konteradmiral Habibollah Sayyari sagte, Irans Marinekräfte können als Antwort auf feindliche westliche Handlungen die Strasse von Hormus leicht blockieren.

Er sprach einen Tag, nachdem der Vizepräsident Mohammad Reza Rahimi gewarnt hatte, nicht ein Tropfen Öl würde die Straße von Hormus passieren, sollten Irans Ölexporte sanktioniert werden. Wenn dem so ist, kann erwartet werden, dass die Energiepreise in die Höhe schießen werden, bis die normale Durchflussmengen wieder erreicht sind. Eine direkte Konfrontation ist ebenfalls zu erwarten, möglicherweise und einschließlich einer direkten US-Iranischen Konfrontation.

Irans Nuklearprogramm als Ziel zu nehmen, ist eine List. Teheran besteht darauf, es sei friedlich. Nichts beweist bisher das Gegenteil. Der neueste Geheimdienstkonsensus vom März 2011 stimmt damit überein. Es wurde kein Beweis einer Waffenentwicklung gefunden. Um was es wirklich geht, ist Regimewechsel. Gründe hierfür werden als Vorwand erfunden.

Als Ergebnis wird alles möglich, einschließlich eines möglicherweise vernichtenden allgemeinen Krieges mit auf Irans unterirdische Anlagen gerichteten Atomwaffen.

Egal wie hoch das Risiko, Obama scheint sich auf das Undenkbare hinzubewegen. Mehr dazu wird folgen.

 

Stephen Lendman wohnt in Chicago und kann unter lendmanstephen@sbcglobal.net erreicht werden.

Bitte besuchen Sie auch seinen Blog unter sjlendman.blogspot.com und hören Sie sich auf Progressive Radionachrichtenstunde und dem Progressiven Radionetzwerk an Donnerstagen um 10:00 Uhr US Central Time und an Samstagen und Sonntagen mittags führende Diskussionen mit ausgesuchten Gästen an. Um das Anhören zu erleichtern, sind alle Diskussionen archiviert.

http://www.progressiveradionetwork.com/the-progressive-news-hour/

Artikel auf Englisch: Obama’s America: Tyranny and Permanent War

Übersetzt von Karl Kaiser

Produire des « Etats Ratés »

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Produire des « Etats Ratés »

Global Research, septembre 08, 2012 - http://www.mondialisation.ca/
Z Magazine
 

Africas-Failed-States.jpgEn réalité ledit géant faussement paranoïaque s’est démené comme un beau diable pour produire des semblants de menaces à peu près crédibles, surtout depuis la chute de « l’empire du mal » que ce pays avait toujours prétendu « contenir ». Dieu merci, après quelques tentatives sporadiques de cristalliser l’attention sur le narco-terrorisme, puis sur les armes de destruction massive de Saddam Hussein, le terrorisme islamique tomba littéralement du ciel pour offrir à cette défunte menace un digne successeur, découlant tout naturellement de l’hostilité du monde arabe aux libertés américaines et de son refus de laisser à Israël la possibilité de négocier la paix et de régler pacifiquement ses désaccords avec les Palestiniens.

En plus d’optimiser les massacres et les ventes d’armes qui en découlent, les États-Unis devenaient aussi de facto le premier producteur d’États ratés, à l’échelle industrielle. Par État raté, j’entends un État qui, après avoir été écrasé militairement ou rendu ingérable au moyen d’une déstabilisation économique ou politique et du chaos qui en résulte, a presque définitivement perdu la capacité (ou le droit) de se reconstruire et de répondre aux attentes légitimes de ses citoyens. Bien sûr, cette capacité de production des États-Unis ne date pas d’hier – comme le montre l’histoire d’Haïti, de la République Dominicaine, du Salvador, du Guatemala ou de ces États d’Indochine où les massacres marchaient si bien. On a d’ailleurs pu constater récemment une prodigieuse résurgence de cette production d’États ratés, occasionnellement sans hécatombes, comme par exemple dans les ex-républiques soviétiques et toute une kyrielle de pays d’Europe de l’Est, où la baisse des revenus et l’accroissement vertigineux du taux de mortalité découlent directement de la « thérapie de choc » et de la mise à sac généralisée et semi-légale de l’économie et des ressources, par une élite appuyée par l’Occident mais aussi plus ou moins organisée et soutenue localement (privatisation tous azimuts, dans des conditions de corruption optimales).

Une autre cascade d’États ratés découlait par ailleurs des « interventions humanitaires » et changements de régime menés par l’OTAN et les USA, plus agressivement que jamais depuis l’effondrement de l’Union Soviétique (c’est à dire depuis la disparition d’une « force d’endiguement » extrêmement importante bien que très limitée). Ici, l’intervention humanitaire en Yougoslavie a servi de modèle. La Bosnie, la Serbie et le Kosovo furent changés en États ratés, quelques autres s’en sortirent chancelants, tous assujettis à l’Occident ou à sa merci, avec en prime la création d’une base militaire US monumentale au Kosovo, le tout érigé sur les ruines de ce qui avait jadis été un État social démocrate indépendant. Cette belle démonstration des mérites d’une intervention impériale inaugura la production d’une nouvelle série d’États ratés : Afghanistan, Pakistan, Somalie, Irak, République Démocratique du Congo, Libye – avec un programme similaire déjà bien avancé aujourd’hui en Syrie et un autre visiblement en cours dans la gestion de la dite « menace iranienne », visant à renouer avec l’heureuse époque de la dictature pro-occidentale du Shah.

Ces échecs programmés ont généralement en commun les stigmates caractéristiques de la politique impériale et d’une projection de puissance de l’Empire. Ainsi par exemple l’émergence ou/et la légitimation (ou la reconnaissance officielle) d’une rébellion ethnique armée qui se pose en victime, mène contre les autorités de son pays des actions terroristes visant parfois ouvertement à provoquer une réaction violente des forces gouvernementales, et qui appelle systématiquement les forces de l’Empire à lui venir en aide. Des mercenaires étrangers sont généralement amenés à pied d’œuvre pour aider les rebelles ; rebelles indigènes et mercenaires étant généralement armés, entraînés et soutenus logistiquement par les puissances impériales. Ces dernières s’empressent bien sûr d’encourager et soutenir les initiatives des rebelles pour autant qu’elles leur paraissent propres à justifier la déstabilisation, le bombardement et finalement le renversement du régime cible.

Le procédé était flagrant durant toute la période du démantèlement de la Yougoslavie et dans la production des États ratés qui en sont issus. Les puissances de l’OTAN ayant alors pour objectif l’éclatement de la Yougoslavie et l’écrasement de sa composante la plus importante et la plus indépendante, à savoir la Serbie, elles encouragèrent à la rébellion les éléments nationalistes des autres républiques de la fédération, pour lesquelles le soutien voire l’engagement militaire de l’OTAN sur le terrain était naturellement acquis. Le conflit n’en fut que plus long et vira au nettoyage ethnique, mais pour ce qui est de la destruction de la Yougoslavie et de la production d’États ratés, ce fut une réussite (Cf. Herman et Peterson, “The Dismantling of Yugoslavia,” [Le démantèlement de la Yougoslavie], Monthly Review, octobre 2007). Assez curieusement, c’est avec l’aval et la coopération de l’administration Clinton et de l’Iran qu’on importa entre autres mercenaires, des éléments d’Al-Qaïda en Bosnie puis au Kosovo, pour aider à combattre le pays cible : la République Serbe[4]. Mais Al-Qaïda comptait aussi parmi les rangs des “combattants de la liberté” engagés dans la campagne de Libye, et elle est aussi une composante notoire (même le New York Times le reconnaît désormais, fut-ce avec un peu de retard) du changement de régime programmé en Syrie (Rod Nordland, “Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict”, New York Times, 24 juillet 2012). Bien sûr, Al-Qaïda avait aussi été auparavant une pièce maîtresse du changement de régime [de 1996][5] en Afghanistan, puis un élément clé du retournement de situation du 11 septembre (Ben Laden, leader rebelle saoudien de premier rang, d’abord sponsorisé par les États-Unis, puis lâché par ses sponsors, se serait ensuite retourné contre eux avant d’être diabolisé puis éliminé par ces derniers).

Ces programmes impliquent toujours une habile gestion des atrocités commises, qui permet de pouvoir accuser le gouvernement agressé d’avoir commis des actes de violence graves à l’encontre des rebelles et de leurs partisans, et ainsi de le diaboliser efficacement afin de pouvoir justifier une intervention plus massive. Cette méthode a joué un rôle clé pendant les guerres de démantèlement de la Yougoslavie, et probablement bien davantage encore dans la campagne de Libye et dans celle de Syrie. Elle doit d’ailleurs beaucoup à la mobilisation d’organisations internationales, qui prennent activement part à cette diabolisation en dénonçant les atrocités imputables au dirigeant visé, voire en le poursuivant et condamnant d’office au pénal. Dans le cas de la Yougoslavie, le Tribunal Pénal International pour l’ex Yougoslavie (TPIY), mis en place par l’ONU, travailla main dans main avec les puissances de l’OTAN pour s’assurer que la seule mise en accusation des autorités serbes suffirait à justifier toute action que les USA et l’OTAN décideraient d’entreprendre. Magnifique illustration cette mécanique, la mise en examen de Milosevic par le Procureur du TPIY fut lancée précisément au moment où (en mai 1999) l’OTAN décidait de bombarder délibérément les infrastructures civiles serbes pour accélérer la reddition de la Serbie – alors que ces bombardements mêmes étaient des crimes de guerre caractérisés menés en totale violation de la Charte des Nations Unies. Or c’est précisément le procès de Milosevic qui permit aux médias de détourner l’attention du public des exactions désobligeantes et illégales de l’OTAN.

De même, à la veille de l’agression de la Libye par l’OTAN, le procureur de la Cour Pénale Internationale (CPI) s’empressa de lancer des poursuites contre Mouammar Kadhafi sans même avoir jamais demandé le lancement d’une investigation indépendante, et alors qu’il était notoire que la CPI n’avait jusqu’ici jamais poursuivi personne d’autre que des chefs d’États africains non alignés sur l’Occident. Ce curieux mode de « gestion de la légalité » est un atout inestimable pour les puissances impériales et s’avère extrêmement utile dans la perspective d’un changement de régime comme dans la production d’États ratés.

Interviennent aussi des organisations humanitaires ou de « promotion de la démocratie », soi disant indépendantes, à l’instar de Human Rights Watch, de l’International Crisis Group ou de l’Open Society Institute, qui régulièrement se joignent au cortège impérial en dressant l’inventaire des seuls crimes possiblement imputables au régime cible et à ses dirigeants, ce qui contribue notablement à radicaliser la polarisation des médias. L’ensemble permet la production d’un environnement moral favorable à une intervention plus agressive au nom de la défense des victimes.

S’ajoute ensuite le fait que, dans les pays occidentaux, les dénonciations ou allégations d’atrocités commises – que viennent renforcer les images de veuves éplorées et de réfugiés démunis, les preuves apparemment patentes d’exactions odieuses et l’émergence d’un consensus sur la « responsabilité de protéger » les populations victimes du conflit – émeuvent profondément une bonne partie des milieux libertaires et de gauche. Nombre d’entre eux en viennent alors à hurler avec les loups et à s’en prendre eux aussi au régime cible, pour exiger une intervention humanitaire. Les autres s’enfoncent généralement dans le mutisme, rendus perplexes, certes, mais craignant surtout de se voir accusés de « soutenir des dictateurs ». L’argument des interventionnistes est que, au risque de sembler soutenir l’expansion de l’impérialisme, on se doit de faire exception lorsque des choses particulièrement graves ont lieu et que tout le monde chez nous s’indigne et demande qu’on intervienne. Mais on se doit aussi, pour se montrer authentiquement de gauche, de tenter une micro-gestion de l’intervention pour contenir l’attaque impériale – en exigeant par exemple qu’on s’en tienne à une interdiction de survol en Libye[6].

Mais les États-Unis eux-mêmes ne sont pas l’une des moindres réussites de cette production d’États ratés. A l’évidence, aucune puissance étrangère ne les a jamais écrasés militairement, mais la base même de leur propre population a payé un tribut extrêmement lourd à leur système de guerre permanente. Ici, l’élite militaire, de même que ses alliés du monde de l’industrie, de la politique, de la finance, des médias et de l’intelligentsia, a très largement contribué à l’aggravation de la pauvreté et de la détresse généralisée, à la désintégration des services publics et à l’appauvrissement du pays, en maintenant la classe dirigeante, paralysée et compromise, dans l’incapacité de répondre correctement aux besoins et attentes de ses citoyens ordinaires, malgré l’augmentation constante de la productivité par tête et du PNB. Les excédents y sont intégralement captés par le système de guerre permanente et par la consommation et l’enrichissement d’une petite minorité qui – dans ce que Steven Pinker dans Better Angels of Our Nature appelle une période de « recivilisation » – combat agressivement pour pouvoir mener sa captation bien au-delà de la simple monopolisation des excédents, jusqu’au transfert direct des revenus, biens et droits publics de la vaste majorité de ses concitoyens (qui se démènent). En tant qu’État raté comme dans bien d’autres domaines, les États-Unis sont incontestablement une nation d’exception !

 

Article original en anglais : FOG WATCH: Manufacturing Failed States by Edward S. Herman

Traduit de l’anglais par Dominique Arias pour Investigaction.

Edward S. Herman est Professeur Émérite de Finance à la Wharton School, Université de Pennsylvanie. Économiste et analyste des médias de renommée internationale, il est l’auteur de nombreux ouvrages dont : Corporate Control, Corporate Power (1981), Demonstration Elections (1984, avec Frank Brodhead), The Real Terror Network (1982), Triumph of the Market (1995), The Global Media (1997, avec Robert McChesney), The Myth of The Liberal Media: an Edward Herman Reader (1999) et Degraded Capability: The Media and the Kosovo Crisis (2000). Son ouvrage le plus connu, Manufacturing Consent (avec Noam Chomsky), paru en 1988, a été réédité 2002 aux USA puis en 2008 au Royaume Uni.

 

Notes :


 


[1] Ndt : États ratés (failed states), terme de diplomatie internationale qui désigne les États incapables de maintenir ou développer une économie saine, fait écho à « rogue states » (États voyous) et à « smart states » (États malins : en l’occurrence ceux qui, à l’instar des États-Unis, évitent de déclencher et de mener officiellement eux-mêmes les guerres qui leur profitent.

[2] Ndt : Proxies, groupes paramilitaires ou mercenaires formés, armés, financés et soutenus ou dirigés par une ou plusieurs Grandes puissances pour déstabiliser un pays cible. Les conflits dits « de basse intensité » ou « dissymétriques » menés ainsi indirectement sont appelés « proxy wars ». bien que souvent présentée comme telle, une proxy war est tout sauf une guerre civile.

[3] Ndt : Dans les médias et le cinéma américain, les États-Unis sont fréquemment représentés comme un pauvre « géant pitoyable », malhabile et balourd. Cette représentation permet de minorer les crimes de guerre et crimes contre l’humanité commis délibérément et sciemment par ce pays, en les faisant passer pour autant de bourdes et de maladresses parfaitement involontaires. Le terme  « casualties » (négligences) désigne par exemple les victimes civiles d’exactions militaires, lorsque celles-ci sont commises par les USA ou leurs alliés.

[4] Cf. : Unholy Terror [terreur impie ou invraisemblable ou contre nature, l'acception de Unholy étant très large], de John Schindler, article particulièrement démonstratif sur ce sujet et qui, de fait, n’apparaît plus nulle part, sauf sur Z-Magazine ! Voir ici mon “Safari Journalism: Schindler’s Unholy Terror versus the Sarajevo Safari’s Mythical Multi-Ethnic Project”, Z Magazine, avril 2008

[5] Ndt : Afghanistan : Renversement de la monarchie 1978

Invasion soviétique en soutien au nouveau régime : 1979-1989

Guerre civile pro/anti-islamistes :1990-1996

Coup d’État et prise de pouvoir des Talibans : 1996

Début de l’intervention de Ben Laden dans le conflit : 1984

Création d’Al-Qaïda : 1987

[6] Cf. Gilbert Achcar, “A legitimate and necessary debate from an anti-imperialist perspective,” [Un débat légitime et nécessaire à partir d’une perspective anti-impérialiste] ZNet, 25 mars 2011; et ma réponse dans “Gilbert Achcar’s Defense of Humanitarian Intervention,” [Gilbert Achar prenant la défense d’une intervention humanitaire] MRZine, 8 avril 2011, concernant “les finasseries de la gauche impérialiste”.

mardi, 02 octobre 2012

Le Qatar est-il en train d'acheter la France et sa diplomatie ?

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Le Qatar est-il en train d'acheter la France et sa diplomatie à grands coups d'investissements ?

http://www.atlantico.fr/users/karim-sader

Le Qatar accumule les investissements en France. Foot, immobilier, banlieues... Avec son poids financier, le pays semble se donner les moyens de mettre sous pression la diplomatie française, qui n'ose pas froisser son "généreux ami"...

La mise initiale était de 50 millions d'euros. Ce sera finalement 1 milliard d'euros que le Qatar investira dans les banlieues françaises défavorisées.

Atlantico : Petite monarchie pétrolière et gazière du golfe Persique, le Qatar a choisi d'investir massivement en France et en Europe, dans le sport (avec le rachat du PSG), dans l'immobilier, les banlieues (lire notre article : Arnaud Montebourg renonce à son hold-up sur les 50 millions d'euros promis par le Qatar aux banlieues et double la mise)... Où va-t-il s’arrêter ?

Karim Sader : La succession des crises financière de 2008 et économique de 2009-2010 ayant plongé les économies occidentales dans la récession aura été une aubaine pour le Qatar. A contre-courant de la grande tendance internationale, le riche émirat gazier affichait une croissance économique insolente, dopée avant tout par sa production de GNL (gaz naturel liquéfié) dont Doha est devenu le premier producteur mondial l’an dernier.
 
Bénéficiant d’une conjoncture interne extrêmement favorable, avec l’absence de toute contestation politique et sociale, qui, au contraire de l’Arabie ne contraint pas le régime à acheter la paix sociale à grand renfort de pétrodollars, la dynastie des Al-Thani avait dès lors les mains libres pour investir son surplus de richesses à l’étranger. En ces temps de crise, les investissements qataris, très bien accueillis par des économies occidentales en crise, ont permis à l’Emirat de réaliser d’importantes plus-values en profitant de la période de récession pour racheter des capitaux à des prix très attractifs.   

Si on y regarde de plus près, ces investissements n'ont aucun effet durables. Ne sont-ils pas avant tout un moyen d'asseoir la diplomatie qatarie ?

Effectivement, j’aurais tendance à penser que les investissements tous azimuts du Qatar à l’étranger s’apparentent davantage à des achats compulsifs qu’à une réelle stratégie de long terme, qui pourrait par exemple servir à assurer la diversification économique du pays, qui demeure largement dépendant du secteur des hydrocarbures.

En réalité, derrière cette politique de placements massifs se cache une véritable angoisse existentielle ! J’entends par là que le Qatar cherche par-dessus tout à compenser sa vulnérabilité géopolitique et militaire, ainsi que sa faiblesse démographique. Pour cela, le minuscule émirat, coincé entre les deux mastodontes régionaux que sont l’Arabie et l’Iran, a besoin d’exister à l’étranger en semant ses investissements dans des domaines divers et variés.

N’oublions pas que si le Qatar est assis sur les troisièmes réserves mondiales de gaz, sa position géographique le met à l'avant-poste d’une confrontation entre l’Iran cherchant à se doter du feu nucléaire et des Etats-Unis dont les plus importantes bases militaires – hors frontières américaines – se trouvent justement en territoire qatari.

Par conséquent, en étant l’otage des tensions régionales et dépourvues d’un « hard power » le Qatar a fini par développer une sorte de « complexe » qui le pousse à cultiver son rayonnement à l’international, par le biais de son soft power dont la finance, le sport et Al-Jazeera sont les principaux piliers.  

Peut-on dire que l’implication du Qatar dans le financement des banlieues s’inscrit dans cette même dynamique ?

L’implication du Qatar dans le financement des projets de jeunes entrepreneurs des banlieues suscitent de vives passions, car il ne s’agit pas d’un investissement anodin. Je dirais tout d’abord qu’il est symptomatique du phénomène de mondialisation, à travers lequel un Etat géographiquement éloigné parvient à tisser des liens avec une communauté en contournant le sacro-saint modèle de l’Etat-Nation qui est clairement en faillite dans nos démocraties occidentales. C’est du moins ce que laissait présager la première mouture du projet, qui a vu une association d’élus issus de la diversité venir frapper directement à la porte du Qatar. Ce dernier a certainement sauté sur l’occasion pour accroître sa visibilité internationale – ce qui constitue une véritable obsession pour les dirigeants de ce minuscule émirat qui cherche en permanence à soigner son image de marque.

J’ajoute par ailleurs que cet investissement suscite d’autant plus de controverses qu'il intervient clairement dans l'une des fonctions régaliennes de l’Etat, à savoir la politique d’intégration socio-économique des banlieues. Il semble toutefois que les responsables français tentent à présent d’y ajouter une participation de l’Etat ainsi que d’étendre la stratégie de financement à « d’autres départements défavorisés », sans doute pour contrecarrer les accusations de communautariste lié à un projet dont les détracteurs considèrent qu’il vise des zones majoritairement peuplées de citoyens issus de l’immigration arabo-musulmane.

Nicolas Sarkozy et François Hollande ont-il fait preuve d'une approche diplomatique différente à l'égard de l'émirat ?

La réappropriation du projet franco-qatari pour le financement des banlieues, initié sous Sarkozy, par la nouvelle équipe socialiste au pouvoir semble attester d’une forme de continuité dans le partenariat économique entre les deux Etats. Je serais toutefois plus prudent concernant la nature de l’alliance diplomatique, notamment sur les questions relatives au Moyen-Orient. Le changement de locataire à l’Elysée a forcement un impact dans la nature des relations entre les dirigeants. Pour rappel, le couple Sarkozy-Bruni entretenait des rapports amicaux avec l’Emir et son épouse « préférée », la cheikha Mozah. Ainsi l’émir Hamad était devenu dès 2007 le joker diplomatique de la politique arabe de Sarkozy.

Or, ces relations de proximité ont parfois porté préjudice à la France, dans la mesure où ils ont irrité le puissant royaume saoudien qui ne supporte pas que le Qatar lui fasse de l’ombre, tout comme d’autres pétromonarchies du Golfe en rivalité avec Doha, tel que les Emirats-Arabes-Unis. Certaines entreprises françaises en auraient fait les frais, se retrouvant mis en échec sur de nombreux contrats, qu’il s’agisse de la vente de rafales à Abou Dhabi ou bien du TGV à l’Arabie…

Je pense que le nouveau pouvoir socialiste a tendance à rééquilibrer ses rapports avec Doha au profit des autres puissances sunnites – à l’instar de la politique qui fût menée du temps de Jacques Chirac – et ce, tout en maintenant d’excellentes relations bilatérales avec l’Emirat. Notons toutefois que le cercle des amitiés franco-qataries comporte également de nombreuses personnalités du Parti Socialiste ; de Manuel Valls à Ségolène Royal, en passant par Arnaud Montebourg, tous se sont rendu à Doha dans le cadre d’évènements divers…

Vraisemblablement, le Qatar est très actif dans la crise syrienne : financements douteux, bataille médiatique...  Comment peut-on expliquer le silence français sur ce point ?

Il est incontestable que le Qatar a tiré le plus grand bénéfice de cette dynamique des « printemps arabes » en sponsorisant les mouvements de contestation de Tunis au Caire, en passant par Benghazi et Damas. Mais très vite, les orientations pro-islamistes de l’Emirat, qui a soutenu et financé les campagnes électorales des Frères Musulmans et de leurs ramifications régionales, ont suscité les interrogations de ses partenaires occidentaux, l’Europe en particulier.
 
Dans le cas de la France, du moins sous le mandat de Sarkozy, je ne pense pas qu'on puisse parler de « silence ». Pour mémoire, certains comportements du Qatar en Libye (ingérence dans les affaires intérieures et soutiens aux mouvements jihadistes radicaux) avaient suscité la fureur de Sarkozy, lequel n’avait pas hésité à rappeler l’émir à l’ordre. Par ailleurs de plus en plus de voix critiques se font entendre quant à l’agenda panislamique du Qatar à travers le monde, y compris dans l’Hexagone.

Quoiqu’il en soit, sur le dossier syrien, Français et Qataris sont en parfaite concordance, œuvrant à la chute du régime de Bachar al-Assad. Pour ce faire, Paris ne saurait se passer du rôle actif de Doha qui sert (comme il a servi en Libye) d’intermédiaire direct dans le soutien apporté à l’insurrection.  Des divergences dans l’agenda de la transition post-Assad pourraient toutefois émerger entre français et qataris : si Paris entend favoriser la formation d’un gouvernement transitoire qui puisse garantir la survie de toutes les minorités (alaouites, chrétiens, druzes, kurdes,…), il est fort à parier que les orientations pro-sunnites de Doha conduisent l’Emirat à appuyer un nouveau pouvoir qui soi dominé par la majorité sunnite, type Frères Musulmans…

Propos recueillis par Charles Rassaert

Karim Sader est politologue et consultant, spécialiste du Moyen-Orient et du Golfe arabo-persique. Diplômé de l’Institut d’Etudes Politiques de Paris et de l’Université Saint Joseph de Beyrouth, il a été chargé de recherches au Ministère de la Défense, à l’Institut des Hautes Etudes de Défense Nationale (IHEDN), ainsi qu’à l’Observatoire des Pays Arabes à Paris.  Son champ d’expertise couvre plus particulièrement l’Irak et les pays du Golfe où il intervient auprès des entreprises françaises dans leurs stratégies d’implantation et de consolidation. Contribuant au débat relatif à l’actualité et aux sujets stratégiques de la région, il intervient régulièrement auprès de nombreux médias en France et à l’étranger et compte plusieurs publications dans des revues spécialisées.

GEERT WILDERS: CRÓNICA DE UN FRACASO PREVISIBLE

GEERT WILDERS:
CRÓNICA DE UN FRACASO PREVISIBLE

Las elecciones legislativas celebradas en los Países Bajos el pasado 12 de septiembre dieron la victoria al VVD (Partido Liberal de derecha) dirigido por el primer Ministro Mark Rutte, que tendrá que pactar con los laboristas, los otros vencedores de la cita electoral para formar nuevo gobierno. Se trata de dos partidos europeístas moderados y vinculados a la clase política oficialista del país;  fieles cumplidores de las órdenes de los tecnócratas de Bruselas.
La izquierda troszkista no logra los resultados positivos que anunciaban las encuestas, los verdes no crecen, mientras que democristiano y liberales de izquierda pierden fuelle, aunque alguno de ellos podría entrar en la coalición gubernamental.
Sin embargo el gran derrotado de esa noche electoral, es el político nacional-liberal Geert Wilders, puesto que su partido, el PVV pierde la mitad de sus diputados. Y lo que es peor para Wilders, entre la opinión pública se extiende  la sensación es que el PVV irá desinflándose paulatinamente: tulipán de un día.
Las razones de este fracaso son claras: unos ocasionales, otros estructurales. Y en ambos casos de difícil remisión por la formación.
Wilders, decidió desde un primer momento que no quería convertir a su PVV en un partido convencional, con órganos internos, militancia, cuadros de mandos o formación. Temía que ellos pudieran modificar la línea que él mismo tenía marcada para el PVV. De hecho su partido no admitía afiliados normalmente -había una asociación de simpatizantes de Geert Wilders- y la imagen que proyecta el PVV es la de un partido sometido a las decisiones únicas y caprichosas de una persona, incapaz de general a su alrededor un equipo de colaboradores eficaz; algo que la sociedad neerlandesa considera una fracaso.
El PVV convirtió las elecciones en un referéndum sobre el futuro del euro. Y el riesgo de convertir unas elecciones en lo que no son le explotó en sus manos. La apuesta por una salida unilateral del euro es un argumento “populista” cuando se trata de llamar la atención, pero es percibido como una peligrosísima aventura cuando se vota en serio, más aún en una sociedad tan acostumbrada a la “sensatez” como es la neerlandesa.
El intento de convertir las elecciones generales en un plebiscito sobre el euro, jugó doblemente en contra del PVV, primero por el motivo expuesto más arriba, segundo porque hizo que desplazara de su mensajes los dos argumentos que le habían servido para lograr los éxitos anteriores: la islamización y la inseguridad. Una lección clara, la de que cada partido debe mantener sus ideas-fuertes con las que ha hacerse presente en el discurso político.
La orientación en materia de política exterior impuesta por Wilders al PVV le ha valido el aislamiento y el vacío del resto de las fuerzas identitarias europeas. Aislamiento querido y buscado por el propio Wilders declarando “no quiero estar con racistas como el Vlaams Belang o el Front National” y también por las fuerzas identitarias, el líder del FPÖ austriaco, HC Strache declaró: “considero que Geert Wilders es humo de paja que pronto se extinguirá. No aspiro a ninguna colaboración con él en razón de sus posiciones frente al mundo árabe. Alguien que hace afirmaciones como por ejemplo que los árabes deben ser expulsados más allá del Jordán o que ha iniciado quemas del Corán no puede ser nuestro aliado” .En este sentido el aislamiento de Wilders recuerda al de su antecesor político Pim Fortuny –conocido homosexual- sobre el que Jean Marie Le Pen manifestó “no tenemos ningún contacto político ni personal. No solemos frecuentar los mismos lugares”.
En política exterior, Wilders ha declarado, y lo hizo en su viaje a Jerusalén, la total sumisión de su partido a los intereses de Israel, y de su protector en la zona, los Estados Unidos. Los Países Bajos son una de las zonas de la Unión Europea con menor grado antisemitismo, pero es obvio que a nadie le gusta que su país sea sumiso de una potencia extranjera en política exterior, sino que la misma se defina según los propios intereses nacionales.
La pregunta es ahora, ¿Sobrevivirá Wilders a este fracaso? ¿EL PVV sigue siendo el tercer partido del país? Mientras tanto un nuevo partido nacionalista ha sugerido en los Países Bajos, el DPK del antiguo diputado Hero Brinkman, que fundado hace poco tiempo no ha podido estructurarse lo suficiente como preparar la campaña electoral y no ha logrado ningún escaño en estas elecciones. Mucho nos temeos que el DPK copia y repite mucho de los errores del PVV. Difícil panorama para construir una alternativa identitaria y social neerlandesa.
 
Enric Ravello
Secretario de relaciones nacionales e internacionales de Plataforma per Catalunya

lundi, 01 octobre 2012

Jeremy Salt: 23 razones por las que no debe aceptar sin crítica la visión occidental de la revuelta en Siria

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Jeremy Salt: 23 razones por las que no debe aceptar sin crítica la visión occidental de la revuelta en Siria

A medida que la insurrección siria avanza dando bandazos hacia la guerra civil, es preciso poner freno a la propaganda que se difunde por los medios de comunicación occidentales y que es aceptada acríticamente por muchos que deberían estar mejor informados. He aquí, pues, una matriz de posiciones sobre lo que está pasando en este importante país de Oriente Medio.


1. Siria ha sido un estado mujabarat (de inteligencia) desde que el temible Abdel Hamid Al Serraj dirigiera los servicios de inteligencia, como el deuxième bureau, en los años 50. El estado autoritario que se desarrolló desde que el antiguo presidente sirio Hafez Al Asad tomó el poder en 1970 ha aplastado a todos los disidentes sin piedad. En ocasiones, la alternativa ha sido él o ellos. La ubicua presencia del mujabarat es un hecho desagradable en la vida de los sirios, pero cuando Siria es un objetivo central del asesinato y la subversión llevados a cabo por Israel y los servicios de inteligencia occidentales, cuando ha sido atacada militarmente de forma reiterada, cuando ha tenido una gran parte de su territorio ocupada, y cuando sus enemigos están buscando continuamente oportunidades para derribar al gobierno, es difícil decir que el mujabarat no es necesario.

2. No hay duda de que la mayor parte de las personas que se manifiestan en Siria quiere una transición pacífica hacia una forma democrática de gobierno. Y tampoco hay duda de que los grupos armados que operan tras las manifestaciones no tienen ningún interés en la reforma. Quieren destruir al gobierno.

3. Ha habido manifestaciones muy grandes de apoyo al gobierno. Hay malestar por la violencia de las bandas armadas y por la injerencia extranjera y el aprovechamiento de la situación por parte de gobiernos y medios de comunicación extranjeros. A los ojos de muchos sirios, su país está siendo, una vez más, blanco de una conspiración internacional.

4. Cualquiera que sea la verdad de las acusaciones vertidas contra las fuerzas de seguridad, los grupos
armados han matado a cientos de policías, soldados y civiles, en total probablemente unos mil hasta este momento. Los civiles muertos son profesores universitarios, médicos e incluso, recientemente, el hijo del gran mufti de la república. Las bandas armadas han masacrado, emboscado, asesinado, atacado edificios gubernamentales y saboteado líneas férreas.

5. El presidente sirio Bashar al Asad disfruta de una gran popularidad. A pesar de situarse en la cúspide del sistema, es un error calificarlo como dictador. El verdadero dictador es el sistema en cuanto tal. El verdadero poder en Siria —afianzado durante cinco décadas— se encuentra en el ejército y los servicios de inteligencia, y en menor grado en la estructura del gobernante partido Baaz. Estos son los verdaderos poderes que se oponen al cambio. Las manifestaciones representaron una oportunidad para que Asad transmitiera el mensaje de que el sistema tenía que cambiar.

6. A la vista de las grandes manifestaciones que se celebraron a principios de este año, el gobierno presentó, finalmente, un programa de reformas. Esto fue rechazado de plano por la oposición. Ni siquiera se hizo el menor intento de poner a prueba la buena fe del gobierno.

7. La afirmación de que la oposición armada al gobierno ha comenzado hace poco es una total mentira. Los asesinatos de soldados, policías y civiles, a menudo con extrema brutalidad, ha venido sucediendo prácticamente desde el principio.

8. Los grupos armados están bien armados y bien organizados. Grandes cantidades de armamento han entrado en Siria de contrabando desde Líbano y Turquía. Se trata de escopetas, ametralladoras, kalashnikovs, lanzacohetes RPG, granadas de mano de fabricación israelí y gran cantidad de explosivos. No está claro quién está suministrando estas armas, pero alguien lo está haciendo y alguien las está pagando. Los interrogatorios de miembros de bandas armadas apuntan en la dirección del Movimiento del Futuro del ex primer ministro libanés Saad Hariri, testaferro de EEUU y Arabia Saudí, cuya influencia se extiende más allá del Líbano.

9. La oposición armada al régimen parece estar patrocinada, en gran medida, por la ilegalizada Hermandad Musulmana. En 1982, el gobierno sirio aplastó sin piedad un levantamiento iniciado por la Hermandad en la ciudad de Hama. Muchos miles murieron y parte de la ciudad fue destruida. La Hermandad tiene dos objetivos primordiales: la destrucción del gobierno baazista y la destrucción del estado laico en favor de un sistema islamista. Es casi palpable la sed de venganza.

10. Los grupos armados tienen fuerte apoyo desde el exterior, aparte del ya conocido o indicado. El exiliado exvicepresidente y ministro de Exteriores sirio Abdel Halim Jadam, que viven en París, ha estado haciendo campaña desde hace años para derribar el gobierno de Asad. Recibe apoyo financiero de EEUU y la Unión Europea. Burhan Ghalioun, apoyado por Catar como líder del Consejo Nacional establecido en Estambul, también vive en París y también está presionando en Europa y Washington para un cambio de régimen.
Estos y Mohamed Riad Al Shaqfa, líder de la Hermandad Musulmana en Siria, son receptivos a una “intervención humanitaria” desde el exterior, siguiendo el modelo libio (otros están en contra). La promoción de los exiliados como una alternativa de gobierno recuerda a la forma en que EEUU utilizó a los exiliados iraquíes (el denominado Congreso Nacional Iraquí) antes de la invasión de Irak.

11. Las informaciones de los medios de comunicación occidentales sobre la situación en Libia y Siria ha sido pésima. La intervención de la OTAN en Libia ha sido la causa de una masiva destrucción y miles de muertos. Tras la invasión de Irak, la guerra es otro importante crimen internacional cometido por los gobiernos de EEUU, Gran Bretaña y Francia. La ciudad libia de Sirte ha sido bombardeada día y noche durante dos semanas, sin que los medios de comunicación occidentales hayan prestado atención alguna a la gran destrucción y a las pérdidas de vidas que ha ocasionado. Estos medios de comunicación occidentales no han intentado verificar las informaciones que salían de Sirte y que hablaban de bombardeos de edificios civiles y la muerte de centenares de personas. La única razón para ello solo puede ser que la horrible verdad pudiera hacer descarrilar toda la operación de la OTAN.

12. En Siria, los mismos medio de comunicación han seguido el mismo patrón de desinformación. Se ha ignorado o esquivado la evidencia de matanzas generalizadas de las bandas armadas. Se ha invitado a la audiencia a no creer las declaraciones del gobierno y creer, sin embargo, las declaraciones de los rebeldes, a menudo realizadas en nombre de organizaciones de derechos humanos europeas o estadounidenses. Se han dicho muchas mentiras descaradas, al igual que se dijeron en Libia y durante la invasión de Irak. Algunas, al menos, han sido descubiertas.
Personas de las que se dijo que habían sido asesinadas por fuerzas de la seguridad del estado han aparecido vivas. Los hermanos de Zainab Al Hosni dijeron que esta había sido secuestrada por fuerzas de seguridad, asesinada y su cuerpo desmembrado. Este espeluznante relato, difundido por Al Yazira y Al Arabiya entre otros medios, es totalmente falso. Zainab está viva, aunque ahora, por supuesto, la táctica de la propaganda es afirmar que la que ha aparecido no es ella, sino una doble. Al Yazira, el periódico británico The Guardian y la BBC se han distinguido por su apoyo ciego a todo lo que desacredite al gobierno sirio. La misma línea está siendo seguida por los principales medios de comunicación en EEUU. Al Yazira, en particular, que se ha distinguido por sus informaciones sobre la revolución egipcia, ha perdido toda su credibilidad como agencia de noticias independiente.

13. Al tratar de destruir el gobierno sirio, la Hermandad Musulmana tiene un objetivo común con EEUU, Israel y Arabia Saudí, cuya paranoia sobre el Islam chií ha alcanzado su punto culminante con el levantamiento de Bahréin. WikiLeaks ha revelado la impaciencia de EEUU para atacar a Irán. En su lugar, ha buscado la destrucción de las relaciones estratégicas entre Irán, Siria y el grupo chií libanés Hezbolá. EEUU y los saudíes quieren destruir el régimen baazista, dominado por alauíes, por diferentes motivos, pero lo importante es que quieren destruirlo.

14. Estados Unidos está haciendo todo lo posible por arrinconar a Siria. Está dando apoyo financiero a líderes de la oposición exiliados. Ha intentado (y ha fracasado, gracias a la oposición de Rusia y China) que el Consejo de Seguridad de la ONU apruebe un amplio programa de sanciones. Sin duda, lo intentará de nuevo, y en función de cómo evolucione la situación, podría proponer, con el apoyo de Gran Bretaña y Francia, una resolución para crear una zona de exclusión aérea que pudiera abrir la puerta a una intervención militar extranjera.
La situación es fluida y, sin duda, se estarán desarrollando todo tipo de planes de contingencia. La Casa Blanca y el Departamento de Estado están haciendo declaraciones amenazantes un día sí y otro también. Provocando abiertamente al gobierno sirio, el embajador de EEUU, acompañado por el embajador francés, viajó a Hama antes de las oraciones del viernes. Teniendo en cuenta la historia de sus injerencias en los países de Oriente Medio, es inconcebible que EEUU e Israel, junto con Francia y Gran Bretaña, no estén implicados en este levantamiento más allá de lo que ya se conoce.

15. Mientras se concentran en la violencia del régimen sirio, los gobiernos de EEUU y Europa —sobre todo Gran Bretaña— han ignorado totalmente la violencia dirigida contra él. Su propia violencia, infinitamente mayor en Libia, Irak, Afganistán y otros lugares, ni siquiera entra en escena. Turquía se ha unido a la campaña contra Siria con gusto, yendo más allá incluso que aquellos.
En unos pocos meses, la política regional de “cero problemas” de Turquía ha cambiado completamente. Turquía prestó su apoyo al ataque de la OTAN contra Libia, después de que se inhibiera inicialmente. Se ha enfrentado a Irán por su política sobre Siria y al aceptar, a pesar de la fuerte oposición doméstica, alojar una instalación estadounidense de radares de misiles claramente dirigida contra Irán. Los norteamericanos dicen que compartirán los datos de la instalación con Israel, que ha rechazado pedir disculpas a Turquía por el asalto del Mavi Marmara, sumiendo las relaciones turco-israelíes en una crisis. Así, Turquía ha pasado de “cero problemas” a una política regional repleta de problemas con Israel, Siria e Irán.

16. Aunque algunos miembros de la oposición siria han hablado en contra de cualquier intervención extranjera, el Ejército Sirio Libre ha dicho que su objetivo es conseguir una zona de exclusión aérea en el norte del país. Una zona de exclusión aérea tendría que ser impuesta, y ya hemos visto cómo esto condujo en Libia a una destrucción masiva de infraestructuras, la muerte de miles de personas y la apertura de las puertas para un nuevo periodo de dominación occidental.

17. Si el gobierno sirio es derribado, serán cazados hasta el último baazista y alauita. En un gobierno dominado por la Hermandad Musulmana, el estatus de las minorías y de las mujeres retrocedería.

18. Por medio de la ley de responsabilidad de Siria y de las sanciones que ha impuesto la Unión Europea, EEUU ha estado intentando destruir al gobierno sirio durante 20 años. El desmantelamiento de los estados árabes unificados gracias a las divisiones étnico-religiosas ha sido un objetivo de Israel durante décadas. Allí donde va Israel, le sigue EEUU, naturalmente. Los frutos de esta política pueden verse en Irak, donde los kurdos han creado un estado independiente en todo salvo en su nombre y donde la constitución, escrita por EEUU, separa al pueblo de Irak en kurdos, sunníes, chiíes y cristianos, destruyendo la lógica unificadora del nacionalismo árabe. Irak no ha conocido un momento de paz desde que los británicos entraron en Bagdad en 1917.
En Siria, las divisiones étnico-religiosas (árabes musulmanes sunníes, kurdos musulmanes sunníes, drusos, alauitas y varias sectas cristianas) hacen que el país sea vulnerable ante la promoción de las discordias sectarias y la eventual desintegración del estado árabe unificado, que los franceses trataron de impedir en los años 20.

19. La destrucción del gobierno baazista en Siria sería una victoria estratégica de incalculable valor para EEUU e Israel. El arco
central de las relaciones estratégicas entre Irán, Siria y Hezbolá quedaría partido, dejando a Hezbolá geográficamente aislada, con un gobierno musulmán sunní hostil en puertas, y por tanto, con la alianza Irán-Hezbolá más desprotegida ante un ataque militar de EEUU e Israel. Por casualidad o no, la “primavera árabe”, tal como se ha desarrollado en Siria, ha colocado en las manos de EEUU e Israel una palanca con la que pueden lograr su objetivo.

20. Un gobierno egipcio o sirio dominado por la Hermandad Musulmana no tiene por qué ser necesariamente hostil a los intereses norteamericanos. Queriendo ser considerado un miembro respetable de la comunidad internacional y otro buen ejemplo de “Islam moderado”, es probable y posible que un gobierno egipcio dominado por la Hermandad Musulmana esté de acuerdo en mantener el tratado de paz con Israel tanto tiempo como sea posible (es decir, hasta que otro ataque a gran escala de Israel contra Gaza o Líbano lo haga absolutamente indefendible).

21. Un gobierno sirio dominado por la Hermandad Musulmana estaría próximo a Arabia Saudí y sería hostil a Irán, Hezbolá y los chiíes de Irak, sobre todo a los vinculados con Muqtada Al Sader. Defendería de boquilla la causa palestina y la liberación de los Altos del Golán, pero sus políticas prácticas no serán, probablemente, muy diferentes del gobierno que está intentando derribar.

22. El pueblo sirio tiene derecho a exigir democracia y a conseguirla, pero ¿de cualquier forma y a cualquier coste? El fin de las matanzas y unas negociaciones sobre reformas políticas son, sin duda, el camino a seguir, no la violencia que amenaza con desgarrar el país. Lamentablemente, es la violencia y no un acuerdo negociado lo que mucha gente quiere en Siria y lo que también quieren muchos gobiernos que vigilan y esperan su oportunidad. Ninguno sirio puede beneficiarse realmente de esto, piensen lo que piensen.
Su país está encaminándose hacia una guerra civil sectaria, quizá con intervención extranjera y, con toda probabilidad, hacia un caos a mucha mayor escala que lo visto hasta ahora. No habrá una rápida recuperación si el estado se colapsa o es derribado. Como Irak, y probablemente como Libia, Siria podría entrar en un periodo de agitación sangrienta que podría durar años. Al igual que Irak, quedaría completamente fuera de combate como estado capaz de defender los intereses árabes, lo que significa, evidentemente, hacer frente a EEUU e Israel.

23. En última instancia, ¿a qué intereses serviría este desenlace?
 

Jeremy Salt
Jeremy Salt es profesor de historia y política de Oriente Medio en la universidad de Bilkent, en Ankara, Turquía.
Ha publicado The Unmaking of the Middle East: A History of Western Disorder in Arab Lands. Jeremy Salt,  (University of California Press, 2009)

Alle Staaten sollen das Recht haben, gleichwertig und gleichberechtigt die Weltpolitik zu gestalten

Alle Staaten sollen das Recht haben, gleichwertig und gleichberechtigt die Weltpolitik zu gestalten

UN-Menschenrechtsrat schafft das Mandat des Unabhängigen Experten zur Förderung einer demokratischen und gleichberechtigten Weltordnung

Interview mit Professor Dr. iur. et phil. Alfred de Zayas

Ex: http://www.zeit-fragen.ch/

zayas.jpgthk. Professor Dr. iur. et phil. Alfred de Zayas wurde am 23. März zum Unabhängigen Experten bei der Uno zur Förderung einer demokratischen und gleichberechtigten Weltordnung vom Menschenrechtsrat ernannt. Er ist der erste, der dieses neu geschaffene Mandat übernehmen durfte, um so im Bereich der Demokratisierung der Uno und der in ihr vereinten Nationalstaaten wirken zu können. Bereits in der Herbstsession des Uno-Menschenrechtsrates hat Alfred de Zayas seinen ersten Bericht vorgelegt und ist dabei auf grosse Zustimmung gestossen. Der Unabhängige Experte, der eine lange Karriere an der Uno aufweist, war, wie er selbst sagte, nicht ganz unerwartet zu diesem Amt gekommen, da er sich schon sehr lange mit der Frage der Ausgestaltung echter, das heisst direkter Demokratie, wie sie in der Schweiz existiert, beschäftigt hat. Mit seinem Mandat möchte sich Alfred de Zayas für den Frieden und die Gleichwertigkeit der Völker einsetzen. Zeit-Fragen hat Professor de Zayas an der Uno in Genf getroffen.

Zeit-Fragen: Herr Professor de Zayas, wie muss man die Aufgabe Ihres Mandats verstehen?

Prof. Dr. de Zayas: Die Aufgabe bedeutet eine Synthese von bürgerlichen, politischen, wirtschaftlichen, kulturellen und sozialen Rechten. Es ist ein versöhnliches Mandat, das auf Zusammenarbeit bzw. Solidarität abzielt. Die Staaten des Nordens, des Südens, des Ostens und des Westens sollen sich in diesem Mandat finden und darin etwas Verbindendes sehen. Es ist ein konstruktives Mandat, das auf den Zielen und Grundsätzen der Uno-Charta aufbaut. Es ist also kein Mandat, das gegen einen bestimmten Staat, gegen eine bestimmte Region, gegen eine bestimmte Philosophie oder Ideologie zielt.
Hier geht es um zweierlei: um eine Demokratisierung auf der nationalen Ebene, aber auch auf der zwischenstaatlichen, internationalen Ebene.

Was muss man sich unter einer Demokratisierung auf internationaler Ebene vorstellen?

Wir brauchen eine Weltordnung, die wirklich demokratisch ist, die sich an den Bedürfnissen der Menschen orientiert. Das bedeutet, dass alle Staaten daran beteiligt werden müssen. Bei Entscheidungen, die das Zusammenleben auf unserer Welt betreffen, müssen alle Staaten als Vertreter ihrer Völker etwas zu sagen haben. Diese Gleichberechtigung, die Gleichwertigkeit aller, ist zentral im Text der Resolution 18/6, die das Mandat begründet hat. Ich werde mich sehr genau an den Wortlaut der Resolution halten, wie ich bereits in meinem ersten Bericht gezeigt habe.

Was soll damit erreicht werden?

Die Staaten der sogenannten dritten Welt, die Staaten des Südens, möchten eine Weltordnung, die auf Gerechtigkeit basiert. Sowohl der Handel als auch die Verteilung der Ressourcen muss gerecht geschehen. Die Kluft zwischen Arm und Reich darf nicht weiter vergrössert, sondern muss verkleinert werden. Ohne dass ich bestimmte Staaten nennen muss, kann ich die Thematik erkenntnistheoretisch so behandeln, dass ich Begriffe wie Demokratie, Gerechtigkeit, Gleichwertigkeit, Gleichberechtigung, Selbstbestimmung und nationale Identität mit Leben füllen kann.

Wie ist hier Ihre Vorgehensweise?

Es finden sich bei den Vereinten Nationen enorme Quellen dazu. Ich werde mich dabei auf die Berichte von ehemaligen Rapporteuren stützen, auf Studien der Unterkommission der ehemaligen Menschenrechtskommission, des Menschenrechtsrates selbst oder auf Studien der Generalversammlung. Gewiss beabsichtige ich keine Wiederholung dessen, was bereits gemacht worden ist. Ich werde aber darauf aufbauen. Wie Sie wissen, war ich Sekretär des Menschenrechtsausschusses und Chef der Beschwerdeabteilung. Auch die Jurisprudenz des Ausschusses steht mir zur Seite.

Wie schätzen Sie den Wirkungsgrad dieses Mandats ein?

Ich bin sehr optimistisch, was das Mandat anbetrifft, weil bereits viele positive Reaktionen bei mir angekommen sind, seitdem ich ernannt und meine E-Mail-Adresse an der Uno für alle bekannt wurde, nämlich ie-internationalorder(at)ohchr.org. NGO, Intergouvernamentale Organisationen, Staaten, zivile Organisationen und einzelne Personen haben sich mit konkreten Vorschlägen bei mir gemeldet – zum Beispiel, wie sie mein Mandat verstehen, wo sie die Prioritäten sehen usw. Diese Anliegen und Vorschläge nehme ich ernst. Ich werde alles genauestens studieren. Bereits in meinem Bericht an den Menschenrechtsrat habe ich unter Absatz 11 eine Liste von Themenvorschlägen, die ich von Interessierten erhalten habe, zitiert. Ich werde diese Vorschläge natürlich bevorzugt behandeln.

Was entsteht aus all diesen Anregungen und Anfragen?

Ich werde mit hoher Wahrscheinlichkeit einen Bericht über den Begriff der Partizipation bzw. der Teilnahme der Menschen an der politischen Gestaltung in der Demokratie schreiben, aber über die Mitbestimmung auf der nationalen und internationalen Ebene, über Fragen der Manipulierung der öffentlichen Meinung usw. schreiben. Diese Studien werde ich dann nächstes Jahr dem Menschenrechtsrat vorlegen. Dabei geht es innerstaatlich nicht nur um das Wahlrecht, sondern auch um das Recht, politische Regeln mitzugestalten. Demokratische Wahlen alle vier Jahre sind eine gute Sache, aber man muss wirkliche Optionen haben und nicht nur pro forma stimmen. Die Bevölkerung muss auch die Gelegenheit haben, die Aussenpolitik authentisch mitzugestalten, so dass Regierungen nicht mehr gegen den Willen der Bevölkerung Aussenpolitik betreiben können.
International gesehen, sollten die UN bzw. der Sicherheitsrat insofern reformiert werden, dass mehr internationale Teilnahme bzw. Demokratie verwirklicht wird.

Im Oktober sprechen Sie vor der Generalversammlung. Worum geht es dort?

Ja, ich muss einen anderen ausführlicheren Bericht der Generalversammlung präsentieren. In diesem Bericht identifiziere ich eine Reihe von Hindernissen und versuche, gute Praktiken zu nennen und der Generalversammlung Empfehlungen zu unterbreiten. Das wird am 30. Oktober 2012 in New York – deo volente – geschehen. Ich werde sehen, welche Reaktionen die Staaten in der Generalversammlung auf meinen Bericht zeigen, was sie mir vorschlagen werden.

Wie kann man die Grundlagen des demokratischen Zusammenlebens anderen Ländern vermitteln? Ein «arabischer Frühling» oder militärische Interventionen der Nato helfen hier sicher nicht weiter.

Ich verstehe mein Mandat nicht als ein Mandat des Naming and Shaming. Mein Mandat ist, wie bereits gesagt, ein konstruktives, das helfen soll, diese Begriffe überall gleich zu verstehen. Wenn ich Demokratie sage, sollte das mehr oder weniger dasselbe sein, was auch eine Person in Nordamerika, Südamerika, Australien, Osteuropa, China, Indien oder Afrika darunter versteht. Es darf nicht sein, dass Demokratie à la carte verstanden wird, genauso wenig, wie es inakzeptabel ist, dass das Völkerrecht nach Belieben angewandt wird. Eines der Haupthindernisse für den Weltfrieden und das Erreichen einer demokratischen und gerechten «Weltordnung» ist nämlich, dass viele Staaten das Völkerrecht nicht gleichmässig anwenden, hier sagen sie ja und dort nein. Ohne bestimmte Staaten kritisieren zu wollen, möchte ich auf diese fundamentale Problematik hinweisen. Letztlich glaube ich, um ein englisches Wort zu verwenden: «The bottomline is participation.»

Das bedeutet?

Das heisst, die Bürger müssen an der Politik teilhaben und mitgestalten können, und zwar direkt. Das Modell der direkten Demokratie bietet hier enorm viel. Man muss die Möglichkeit haben, eine Gesetzgebung zu initiieren. Die Möglichkeit zur Prüfung von Gesetzen durch Referenden, aber auch die Möglichkeit, Regierungsbeamte bzw. Politiker zur Rechenschaft zu ziehen, wenn sie eine ganz andere Politik führen, als sie versprochen haben – das muss das Wesen der Demokratie sein. Die gewählten Politiker müssen belangt werden können, wenn sie das Versprechen, das sie dem Bürger gegeben haben, gebrochen und somit das Vertrauen missbraucht haben. Darum muss es eine Möglichkeit geben, diese Personen aus dem Amt zu entfernen. Bei uns in den USA gibt es dafür den Begriff des Recall oder Impeachment.
Ich werde also das Modell der direkten Demokratie genau studieren. Es geht um die Frage, wie man dieses Modell mit gewissen Abänderungen in anderen Ländern anwenden könnte. Allerdings muss man bei jedem Land seine Historie, seine Kultur, seine Tradition und seine individuellen Vorstellungen des Zusammenlebens berücksichtigen.

Welche Rolle hat für Sie dabei der Nationalstaat?

Genauso wie im antiken Griechenland mit der Polis ein Staat entstanden ist, in dem die Bürger an der Politik teilnehmen konnten, so soll es für die einzelnen Länder auch gelten. Also der Nationalstaat ist bei diesem Vorgang entscheidend. International gesehen möchten wir, dass alle Staaten das Recht haben, gleichwertig und gleichberechtigt die Welt­politik zu gestalten. Aber auch intern, also national gesehen, müssen die Bürger eines bestimmten Staates für die eigene Identität, für die eigene Kultur die für sie richtigen Gesetze annehmen und eine Politik wählen, die die Menschenrechte und die Würde von allen Bürgern gewährt.

Herr Professor de Zayas, wir wünschen Ihnen viel Erfolg bei der Ausgestaltung Ihres Mandats und danken Ihnen herzlich für das Gespräch.    •

Leser werden von Professor de Zayas herzlich gebeten, Ihre Vorstellungen an ie-internationalorder(at)ohchr.org zu verschicken.

Europe : la nef des fous?

Europe : la nef des fous?

 
 

Les discours des dirigeants européens semblent de moins en moins cohérents avec la réalité. Aucune prise de conscience de la situation de la croissance européenne ne semble d’actualité.

“La nef des fous”, Jérôme Bosch (1450-1516)

Les dirigeants européens sont-ils embarqués dans une «nef des fous» digne de ce que Sebastien Brant décrivait au 15e siècle dans un des premiers romans européens? On ne serait pas loin de le croire si l’on prend la peine d’observer la situation. Ainsi, Mario Monti a bombé le torse lundi en affirmant que l’Italie a «contribué à mettre en place des politiques de croissance en Europe».

Mettre en place des politiques de croissance! Celui-là même qui, par sa politique, a cassé le peu de croissance qui restait à l’Italie. Et alors que l’on venait d’apprendre que son propre gouvernement avait révisé à la baisse sa prévision de contraction du PIB de la péninsule de 1,2 à 2,4%!

Mais sans doute n’y a-t-il là aucune contradiction puisque l’OCDE qui tenait la conférence où s’exprimait le président du conseil italien a appelé à «poursuivre les réformes du gouvernement italien» qui, précisément, ont plongé le pays dans la crise.

Croissance et austérité ensemble

Mais de ce côté-ci des Alpes, la schizophrénie n’est pas moindre. Ce mardi matin sur France Inter, le ministre français des Affaires européennes n’avait que la «réorientation de la politique européenne vers la croissance» à la bouche. Et pour entamer cette réorientation, Bernard Cazeneuve n’avait pas mieux à proposer que le vote du pacte budgétaire qui va peser sur l’activité de ces 5 prochaines années et va surtout, par son lien avec le MES, confirmer l’étranglement des pays en difficulté. Non, il avait également une autre proposition à formuler: le maintien de l’objectif d’un déficit public à 3% du PIB l’an prochain, manière la plus certaine de plonger la France dans le cercle vicieux de la dépression.

Plus d’efforts

Faut-il un ultime exemple de ce délire pathologique? La chancelière Angela Merkel a jugé que l’Europe va devoir «faire des efforts» pour «sortir plus forte» de la crise. Par «efforts», la chancelière entendait des «douloureuses réformes» et des «politiques budgétaires plus responsables».

Autrement dit, l’Europe doit encore aller plus loin dans l’austérité. C’est du reste ce que vise précisément le pacte budgétaire tant vanté par le gouvernement français. Or, cette politique «d’efforts» que mène la chancelière en Europe depuis 2010 a contribué à plonger l’Europe à nouveau dans la récession. Lundi, le très mauvais indice Ifo montrait que l’économie allemande est à son tour frappée par la vague issue de cette politique. Mais peu importe.

La dérive dépressive européenne

 

Le bateau Europe va à vau-l’eau. Il se dirige droit vers les récifs de la dépression. Mardi, Standard & Poor’s promettait un recul du PIB de la zone euro de 0,8 % cette année. Et les moteurs de croissance de la région sont désormais tous éteints. Tout se passe comme si la Grèce, loin d’être le cas isolé et «exotique» que l’on nous a présenté depuis deux ans, était en fait le précurseur de ce qui menaçait l’Europe.

La BCE, qui a pourtant déclenché avec ses annonces du début du mois de septembre cette euphorie des dirigeants européens, ne semble rien pouvoir faire. Baisser ses taux serait inutile, ils sont déjà vainement à un niveau historiquement bas. Quant à sa politique de rachat de titres souverains, elle est soumise à des conditions déflationnistes qui n’auront certes pas d’effets positifs sur la croissance.

Reste évidemment le «pacte de croissance» et ses fameux 120 milliards d’euros dont se vantent tant les dirigeants français. Son effet est évidemment nul. Passons même sur ses effets concrets, les révisions à la baisse de toutes les prévisions pour 2013 prouvent assez l’inefficacité de cet amas de mesures hétéroclites et recyclées. Le pire est encore ailleurs: nul n’a pris ce plan au sérieux, le choc de confiance si nécessaire pour les plans de relance n’a pas eu lieu. Et c’est pourtant au nom de ce plan que l’on entend imposer l’austérité généralisée.

Position morale

Mais si la position des dirigeants européens n’est pas cohérente, c’est qu’en réalité, elle est plus morale qu’économique. Elle est basée sur l’idée d’une pseudo faute budgétaire des Européens qui devra être réparée par la souffrance. Et elle se dissimule derrière le vieil argument europhile: quiconque se place en opposition aux dirigeants européens est «populiste» et, partant, discrédité. Ce qui est commode et permet d’avancer l’absence d’alternative à cette politique.

C’est pourquoi, ceux qui tentent de s’opposer au pacte budgétaire ou au MES sont immédiatement discrédités, comme l’ont été en 2005 ceux qui se plaçaient dans le camp du «non» à la constitution. Bernard Cazeneuve qui, ce matin, prétendait qu’il n’y a pas de «non fondateur» doit certainement s’en souvenir: il faisait alors partie des chefs de file des «nonistes».

On connaît la chanson

80 ans après les effets dramatiques de la politique de déflation salariale et budgétaire des gouvernements européens, leurs successeurs sont aujourd’hui en passe de faire les mêmes erreurs. Du reste, les années 1930 sont tellement à la mode que les chefs de gouvernement européens n’hésitent pas à remettre au goût du jour le fameux succès de Ray Ventura de 1935: «tout va très bien, madame la marquise»…

La Tribune

dimanche, 30 septembre 2012

Les déclarations d’Edward Luttwak à “La Stampa”

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Les déclarations d’Edward Luttwak à “La Stampa”

 

Le printemps arabe n’a été qu’une illusion! L’Amérique doit se retirer!

 

La Stampa a proposé récemment un entretien avec Edward Luttwak, historien et stratégiste américain. Ce belliciste à tous crins, ce “super-faucon”, qui avait été si souvent l’une des voix les plus dures parmi les exposants de l’intelligence stratégique américaine, dont le débat en Italie s’était fait l’écho, semble exprimer aujourd’hui la pensée rénovée d’une partie de l’établissement au sein de l’hegemon qui découvre de nouveaux rapports de force défavorables à Washington et décide un repli général. Mais quand ce repli aura-t-il lieu? En attendant, bonne lecture...

 

luttWP.jpgLuttwak: “Nous devons nous retirer du monde musulman, en n’y laissant qu’une présence stratégique minimale pour gérer nos intérêts”. Selon Edward Luttwak, analyste auprès du “Center for Strategic and International Studies”, la vague protestataire de ces dernières semaines sanctionne la fin d’une illusion: “Les néocons ont imaginé que la démocratie arriverait au Moyen Orient dès l’élimination de Saddam et le Président Obama s’est également fourvoyé en croyant que le dialogue la ferait avancer. Du moins, pour le moment, la démocratie n’intéresse pas le monde musulman. Nous devons abandonner nos rêves et nous concentrer, avec réalisme, sur nos intérêts”.

 

Q.: Que va-t-il se passer dans les pays arabes?

 

EL: Une explosion généralisée portée par une idéologie anti-américaine et un ressentiment contre les Occidentaux.

 

Q.: Par quoi aura-t-elle été provoquée?

 

EL: Par la pauvreté, l’insatisfaction économique, la marginalisation, le sentiment que cette partie du monde va une fois de plus rater le train. La culture judéo-chrétienne dit à ses ouailles qu’en ce monde il faut souffrir parce que la récompense arrivera seulement au paradis. L’islam, en revanche, promet des satisfactions terrestres: dès lors tout échec est inacceptable.

 

Q.: Donc le “printemps arabe” n’a pas changé les choses?

 

EL: Il faut que, dans nos têtes, une chose soit bien claire: les manifestations et émeutes ne se sont pas déclenchées parce que les gouvernements en place étaient trop peu démocratiques mais parce qu’ils étaient trop laïques. La famille du Tunisien Mohamed Bouazizi, qui s’était immolé par le feu, a déclaré qu’il avait commis son geste parce qu’il s’était senti outragé quand un fonctionnaire de sexe féminin lui avait refusé une licence. Le problème était donc que Ben Ali avait octroyé trop de charges à des fonctionnaires féminins. Ces révoltes ont donc apporté les élections mais non pas la démocratie. Les musulmans ne s’intéressent pas à une démocratie qui légifère puisque les lois ont déjà été données par Dieu par le biais du Coran. Dans de telles conditions, le vote ne sert qu’aux extrémistes pour arriver au pouvoir avec le soutien d’une majorité de la population.

 

Q.: Pourquoi avons-nous manqué notre appui à ce “printemps”?

 

EL: Nous avons commis plusieurs erreurs: avoir envahi l’Irak, avoir cru au “printemps” et avoir aidé les opposants libyens à renverser Khadafi. Quand celui-ci favorisait des attentats et cherchait à se doter d’armes de destruction massive, alors, oui, il aurait été juste de frapper. Mais une fois qu’il y avait renoncé et qu’il s’occupait de ses propres affaires, il fallait le laisser tranquille à son poste.

 

Q.: L’attaque de Benghazi était-elle prévisible?

 

EL: Tous savaient qu’à Dernah les hommes d’Al-Qaeda circulaient ouvertement sans se cacher, en plein jour.

 

Q.: Alors, aujourd’hui, que doivent faire les Etats-Unis?

 

EL: Parachever le retrait hors d’Afghanistan, éviter d’intervenir en Syrie, supprimer les aides économiques et toute implication dans les affaires de la région. Pendant quelques temps, il faut laisser les musulmans régler leurs comptes entre eux.

 

Q.: Et ainsi on ne risquera plus de subir des attentats en Occident...

 

EL: Nous devons certes maintenir une petite présence stratégique et ne frapper que lorsque nous prenons connaissance d’un camp d’entraînement ou que nous avons un affrontement direct avec des groupes terroristes. Nous prendrons le pétrole où nous le pourrons, par exemple en Arabie Saoudite. Nous devons aussi développer nos propres ressources énergétiques et veiller à nos seuls intérêts.

 

(entretien repris sur http://www.ariannaeditrice.it/ en date du 21 septembre 2012).

samedi, 29 septembre 2012

La crise civilisationnelle que traverse l’Europe amène à s’interroger sur l’avenir des peuples en Europe

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La crise civilisationnelle que traverse l’Europe amène à s’interroger sur l’avenir des peuples en Europe

Entretien avec Jean-Marc Fonseca dit « Barbajohan »

L’émission de radio sur Internet, « Méridien Zéro », vient de commencer un cycle consacré aux « patries charnelles » de la France. Après la Bretagne, il y a eu la Corse. Espérons que viendront ensuite la Normandie, le Pays basque, la Flandre, la Bourgogne, la Franche-Comté, l’Alsace, la Lorraine, la Savoie, l’Arpitanie, la Provence, les Pays d’Oc, la Catalogne et… le Pays nissart ! Découvrons par cet entretien une histoire méconnue, hors de Paris et de sa centralité pesante.

 

Europe Maxima

Après la Grèce, l’Espagne, l’Italie, le Portugal…, on nous annonce que ce sera bientôt le tour de la France. D’aucuns prédisent que la monnaie unique est condamnée à plus ou moins long terme. Qu’adviendra-t-il de nos « patries charnelles » ? Nous sommes en droit de nous poser des questions sur le futur de ce continent et des peuples qui y habitent. C’est pourquoi nous sommes allé à la rencontre de Jean-Marc Fonseca, délégué du M.C.P.N. (Mouvement citoyen du Pays niçois – Motou citadin dou Païs nissart) afin de connaître la position de ce mouvement et les solutions novatrices qu’il propose.

Robert Marie Mercier : Jean-Marc Fonseca, bonjour. Je suis très heureux de pouvoir vous rencontrer aujourd’hui car nous allons pouvoir enfin connaître « lou pastre rebel » dont certains de nos lecteurs ont pu apprécier les « coups de gueule » sur les réseaux sociaux ainsi que les Contes et histoires que vous signez « Barbajohan ». Mais, en plus, nous saisissons l’occasion d’inviter le délégué provisoire du M.C.P.N. (Mouvement citoyen du Pays niçois – Motou citadin dou Païs nissart) à nous parler de ce mouvement qui est en train de se mettre en place chez nous, mais aussi chez nos voisins.

Jean-Marc Fonseca : Aco mi fa plesi de poudè veni soubre lou vouostre sit…Cela me fait plaisir de pouvoir venir sur votre site… et je vous en remercie. Et, c’est une satisfaction réelle de pouvoir m’exprimer sur un média pour y apporter mon point de vue sans être censuré en aucune façon.

 

R.M.M. : Avant de nous lancer dans un débat de fond, pourriez-vous, Jean-Marc, nous dire quelles sont vos origines familiales, votre parcours jusqu’à aujourd’hui et ce qui vous a conduit vers cette forme d’action que vous développez à présent ?

 

J.-M.F. : Pour ce qui est de mes origines familiales, un mesclun ben nissart, du côté de mon grand-père maternel (Brignoni – Porraz) des États de Savoie. Du côté du grand-père paternel (Fonseca : Valencians – Catalans) immigrés en Algérie (Oranais) après 1848. Mon père, jeune sous-officier de carrière, a connu ma mère à Nice en 1939 alors que son unité se trouvait dans les environs du Mont Ours, puis il a été transféré sur le front de la Meuse. Après s’être évadé, il a rejoint Nice, car il ne connaissait personne en France. Instructeur itinérant de maquis; il m’a certainement passé l’idée du devoir de Résistance et le goût du baroud. Enfin quand je pense que mes deux épouses successives sont de famille corse, j’espère que mes enfants comme moi ne seront jamais soumis.

R.M.M. : Une fois évoquée votre histoire familiale, pouvez-vous nous faire connaître votre parcours professionnel ?

 

J.-M.F. : Oh là, je pourrai vous faire un roman : allergique à l’éducation nationale; je n’ai évidemment aucun diplôme issu de cette « vénérable institution ». Berger saisonnier très jeune, puis manutentionnaire à l’aéroport, puis ouvrier, enfin grâce à l’armée française, deux ans dans un centre de réadaptation où j’ai passé un brevet de technicien en électronique. Cela m’a donné l’envie des études jusqu’au C.N.A.M. Mais par chance j’ai toujours aimé lire et j’ai plutôt une bonne mémoire; ce qui fait qu’en réalité, je n’ai jamais cessé d’étudier et d’apprendre. Après avoir travaillé pour une entreprise dans le secteur de la défense (logistique, documentation technique, systèmes de formation et d’instruction). J’ai terminé ma carrière professionnelle (d‘immigré esclave salarié) comme directeur technique d’un grand groupe de télévision (A.B. Production – A.B. Télévision). Enfin après avoir participé au lancement et à la mise au point la télévision numérique par satellite en France. J’ai tout arrêté ! Je m’étais toujours dit à cinquante balais, je m’arrêterai et je retournerai faire le berger dans mes montagnes. C’est en gardant que j’ai pris conscience que je pouvais être utile à la cause de mon pays.

 

R.M.M. : Et je suppose que vous avez eu, comme la plupart d’entre nous un cheminement politique qui vous a amené où vous en êtes aujourd’hui.

 

J.-M.F. : Je vais, peut-être, faire bondir certains de vos lecteurs, ou les désorienter, mais, puisque vous me donnez la parole librement, je vais vous tracer mon parcours…

À 13 – 15 ans, j’avais plutôt des idées proche de ce qu’on appellerait aujourd’hui l’extrême droite nationale, conséquence logique de l’éducation de M. Jules Ferry.

Avec toutefois un gros bémol, c’est mon grand-père qui par tradition orale m’a transmis une partie importante de ce que je sais : les livres sur la véritable histoire du Comté de Nice n’existaient pas ou bien se trouvaient relégués  aux oubliettes (je souligne ici le remarquable travail d’Alain Roullier Lorens en ce qui concerne l’édition d’ouvrage sur l’histoire de notre Comté). Et puis, j’entendais toujours mon grand-père dire : « Ah, si nous étions restés indépendants en 1860, nous vivrions certainement plus heureux qu’aujourd’hui »… Cela se passait en 1956. C’est aussi mon grand-père qui, souvent en cachette de ma mère, me parlait et m’apprenait le nissart (1) que l’on parlait dans la rue et dans les métiers beaucoup plus qu’aujourd’hui. Bref, jeune, je me sentais avant toute chose Nissart (2) et je ressentais le fait que nous n’étions pas tout à fait des Français comme les autres.

R.M.M. : Donc, à ce moment là,  vous lancez dans le combat régionaliste ?

 

J.-M.F. : Pas du tout, je n’avais pas encore conscience de la nécessité absolue de retrouver notre souveraineté et, il faut le dire, les hommes politiques locaux (pas comme ceux d’aujourd’hui complètement asservis au pouvoir central de la République française), avaient pour la plupart un attachement à notre terre et à notre culture. Donc, nous étions plutôt dans une position de résistance au pouvoir établi et à son omniprésente « société de consommation »… Sur ce, arrive Mai 68, avec toute l’effervescence qui l’entoure et nous sommes une bande d’une douzaine de garçons, tous de milieu modeste, avec des pères ex-militaires puis A.S. ou O.R.A. (puis de nouveaux, campagne de France – Allemagne) et pour certains l’Indo. Nos pères, pour certains, ont viré à l’anti-gaullisme depuis la guerre d’Algérie. Il n’est pas question de soutenir le pouvoir gaulliste en place. Par ailleurs, le socialisme soviétique ne nous est pas sympathique. Ce sont d’autres copains de la bande dont les pères avaient été F.T.P. qui nous mettrons en contact avec les « pro-Chinois » tel qu’on les appelait à l’époque. En attendant aussi méfiant à l’égard des Américains que des Russes et croyant à la possibilité d’une Révolution, nous prenons le maquis dans la Haute-Tinée avec armes et bagages.

 

R.M.M. : Carrément le maquis ? Mais pourquoi, le mouvement étant parti des facultés, s’éloigner des centres de décision ?

 

J.-M.F. : L’idée (qui d’ailleurs s’est avérée fausse) est alors la suivante et elle découle directement des opérations qu’avaient montées, en 43 – 44, nos géniteurs.

La révolution se fera dans les villes, les forces de répressions exerceront donc leurs activités surtout sur les villes.

De petits groupes nomades, connaissant bien leur terrain, capable de monter des coups de main, de disparaître sur des positions préparées à l’avance et bénéficiant de la complicité des populations attireront sur elles une partie des forces de répressions qui feront défaut dans les villes.

 

R.M.M. : Pour ma part (un grand nombre de mes amis aussi), m’étant dégagé  des groupuscules politiques qui ne menaient à rien et conscient qu’il y avait un préalable culturel à l’action politique, je rejoins un groupe qui, s’étant fortement inspiré de la philosophie d’Antonio Gramsci, s’est mis à contester la société de consommation et son corollaire l’« homo economicus » bien avant que naisse le Mouvement du 22 Mars, parti de la fac’ de Nanterre, et qui allait amener « Mai  68 ». Par la suite, nous aurons quelques contacts avec les situationnistes, mais étant résolument tournés vers une action « métapolitique », nous ne nous engageons aucunement dans une mouvance politique  révolutionnaire, les conditions de celle-ci n’étant pas réunies. Nous pensions que la pensée dominante n’était pas prête pour faire cette révolution, ce qui sera confirmé par la suite. Confirmez-vous cela ?

J.-M.F. : Évidemment, la Révolution n’a pas eu lieu, même le P.C.F. n’en voulait pas, et en octobre, aux premières neiges, amaigris et affamés, nous nous sommes, alors, auto-démobilisés.

Rentrés en ville, nous  sommes montés à Carlone, avons repris des contacts, les étudiantes étaient jolies et sexuellement plus libres et comme nous  étions limite « Lumpen et prolos (3) », la bagarre entre bandes, et parfois contre les flics, ça nous connaissait: nous avons été de suite adopté par les étudiants gauchistes.

Au début, je n’y comprenais mancou (4) entre les trotskistes de diverses tendances, les maoïstes, les marxistes-léninistes chinois, les marxistes-léninistes albanais, les anarcho-quelque chose, le P.S.U. et même le P.N.O. – qui à l’époque était plus nissart qu’occitan de mes souvenirs de pastrouil (5) avec François Fontan.

De toute façon, nous étions trop indépendants et rebelles, ne reconnaissant pas la hiérarchie suprême souvent descendue de Paris pour rester longtemps dans la même organisation. J’ai passé mon temps à me faire virer, mais j’ai beaucoup appris. Et surtout j’ai commencé à lire autre chose que Bleck le Roc, Opalong Cassidi, Cochise et Battler Brighton, les lectures d’adolescent de l’époque.

 

R.M.M. : Alors, une fois l’échec de ce « mouvement romantique » qu’était Mai 68 consommé, qu’avez-vous fait ensuite ?

 

J.-M.F. : Oh, plein de choses… car nous avions toutefois une conscience « écologique » : nous avons coupé les clôtures des villas qui nous empêchaient l’accès à la mer, nous avons réalisé quelques sabotages de chantiers tels Isola 2000, Marina Baies des Anges … En fait tout cela, c’était parce que l’on se sentait dépossédés, par les puissance de l’argent et le tourisme, de notre territoire. Voilà comment cela a commencé. Mais rien n’a vraiment changé depuis.

 

R.M.M. : Je suppose que durant les années 70, vous avez redécouvert, comme la plupart d’entre nous, notre culture, mise au rancard par les institutions françaises, au travers de professeurs comme André Compan ou d’artistes comme Mauris, Pelhon et Sauvaigo ?

J.-M.F. : Oui, comme toute une génération, j’ai eu ces guides et j’ai continué la lutte au niveau politique avec  une certaine radicalisation du type « mili-poli » ou « poli-mili » (6) comme disent les Basques ou les Irlandais et des expériences dans d’autres pays. Treize ans après Mai 1968, c’est le tour de Mai 1981 avec l’arrivée de la gauche au pouvoir, on souffle, mais c’est aussi une période d’extrême démobilisation entre les gouvernements de « gauche » et ceux de cohabitation : on se retrouve face à un manque de perspectives, sauf parmi les organisations indépendantistes.

 

R.M.M. : Déjà des déçus du socialisme ?

 

J.-M.F. : Et oui, déjà. Les années 1999 – 2005 seront mises à profit pour réfléchir sur le fait que, dans un espace fini, la croissance et le développement ne peuvent être infinis. Travailler justement sur la notion même de développement, sur la critique de la critique de l’idéologie du progressisme, s’intéresser aux civilisations des peuples premiers (ce que d’aucuns ont zappé par idéologisme débile concernant la lutte au Chiapas).

Et enfin s’apercevoir qu’il n’y avait rien de bon dans le système techno-industriel de la marchandisation du monde. Enfin, constater que, pour les peuples enracinés, ce système niveleur et assimilateur, disposant de moyens colossaux, n’avait pas été capable de les éradiquer en deux siècles.

Ceux-ci (à l’exemple des Mapuches) possédaient dans leurs cultures et leurs traditions à la fois les moyens de résister et de construire une autre société. D’où le fait de rompre avec la dictature de la pensée binaire Droite – Gauche. Les autres pages qui nous permettrons de recouvrer notre indépendance et nos libertés, nous sommes en trains de les écrire.

R.M.M. : Même si nous n’avons pas suivi des chemins identiques, je vois que notre démarche est similaire dans la mesure où nous avons évolué par rapport à une certaine vision du monde et ne sommes pas resté enfermés dans des schémas idéologiques sclérosés. Vous, comme moi, et bien d’autres que nous rencontrons aujourd’hui, ont fait la même démarche de dépasser les « présupposés idéologiques » dans la mesure où nous avons bien compris que le débat actuel et les confrontations en devenir, ne sont plus entre la droite et la gauche mais bien entre les tenants d’une société technomorphe américanocentrée universaliste standardisante (basée sur le « marché ») et les tenants de sociétés enracinées diverses et multiples proche de la nature (basées sur l’humain).

 

J.-M.F. : La ligne de démarcation ne passe plus par les thèmes Droite – Gauche, répartitionnistes, réformistes ou indignés, mais entre ceux qui sont capables d’apporter pour leur pays des réponses pour l’après-développement, l’après-croissance et les autres. Nous ne pouvons plus vivre comme des riches, des nantis, des privilégiés. Il va falloir devenir raisonnable pour simplement survivre frugalement.

Il n’y a plus de progression possible, la route de l’idéologie du toujours plus débouche sur du vide et comme il n’y a rien en face,  il n’y a même pas la possibilité d’imaginer un pont. Comme le disait un ami qui « milite » toujours au Parti niçois : « Il faut, aussi, avoir le courage de dire aux gens que notre niveau de vie sera plus frugal que celui qu’ils connaissent aujourd’hui et que c’est le prix à payer pour recouvrer nos libertés. »

 

R.M.M. : Oui, nous serons sûrement amené à vivre de façon plus frugale (mais est-ce qu’avec la crise du Système, ce ne sera pas le cas de la plupart des pays ?) mais d’un autre côté, nous pourrons distribuer les « richesses » générées à ceux de notre peuple qui en ont besoin à l’inverse d’aujourd’hui où les Niçois sont ponctionnés pour satisfaire les touristes et remplir les caisses d’une région et d’un État qui leurs sont étrangers. En fait, vous pensez qu’il faut changer de modèle.

 

J.-M.F. : Le combat que nous menons ne consiste pas à interchanger un personnel politique made in France par un personnel politique made in chez nous ou à amener le drapeau français pour le remplacer par le nôtre sans changer le cours des choses.

Il s’agit aussi de mener un combat émancipateur pour ne pas reproduire le même système que celui que nous a imposé la puissance coloniale.

C’est pour cela que la ligne de démarcation entre les différents groupes ou organisations (indépendantistes, régionalistes, autonomistes, séparatistes…) passe par l’affirmation d’un programme et d’une ligne politique et non pas seulement par le désir de séparation territoriale.

Nous sommes à la fois dans une politique de « Front unitaire » ou de « Front national de libération » vis-à-vis de l’État jacobin français (ou cavourien en ce qui concerne l’Italie), c’est-à-dire la constitution d’un rapport de force face à un ennemi identifié comme commun, mais aussi dans la constitution d’un rapport de force destiné à construire un autre projet de société et de civilisation. Et c’est sur ce plan que tout se joue.

 

R.M.M. : Je vois que nous nous rejoignons dans notre analyse. Nous n’avons cessé de dire qu’il ne servait à rien de se débarrasser de la « tutelle » française si on gardait le modèle de société que l’on nous a imposé depuis 152 ans. Nous avons toujours dit à ceux qui critiquent tout ce qui se fait dans le domaine culturel niçois (en dénigrant et en caricaturant à l’extrême toutes les associations et autres groupements musicaux, théâtraux, culinaires) qu’il ne servirait à rien d’avoir un Comté de Nice libéré s’il n’y avait plus de Niçois, plus d’organisation territoriale niçoise, plus de langue niçoise, plus de musique niçoise, plus de culture niçoise. Nous pensons, à l’image de tous les peuples qui se sont libérés, que le préalable culturel et structurel est fondamental.

 

J.-M.F. : Entre les différents mouvements de libération du Comté de Nice, il y a peu de différences d’interprétation sur les faits juridiques ou historiques. Par contre déjà sur l’analyse du système politique et économique français surgissent des contradictions. Des groupes comme la L.R.L.N., le Parti niçois, la Ligue savoisienne et même le Gouvernement « provisoire » de Savoie, font l’impasse sur la critique du système de développement français, car, semble-t-il, ils n’ont pas pour perspectives d’en changer.

Quand nous communiquons, nous ne devons pas nous contenter de fustiger l’aspect colonial immédiat, mais il nous faut pousser plus loin l’analyse et l’argumentaire, car nous nous adressons aussi aux victimes de ce système qui ont, hélas, assimilé l’idéologie jacobine et « progressiste » française du modèle dominant universel et à qui nous devons faire la démonstration des aberrations qu’il contient… Quant à la question de l’enracinement topique, il ne peut être dissocié de l’aspect culturel , et la reconquête de la langue est primordiale. Encore faut-il utiliser cette langue non seulement pour ses aspects « folklorique » mais, aussi, prouver que nos langues sont vivantes y compris dans l’expression politique de l’analyse de la situation actuelle et des propositions qui en découlent

L’art du bon forgeron, c’est d’être capable de mettre et de travailler deux fers au feu, c’est ce que nous devons tenter de faire.

 

R.M.M. : Pouvez-vous préciser votre pensée ?

 

J.-M.F. : En juin 2008, j’avais écrit ce texte : « Davan la fin do faiou » (7) :

« C’est fini, l’ingénierie financière a atteint ses limites ; elle n’est plus capable de générer les masses d’effets financiers et les profits qui ont soutenu la marche de l’économie dite virtuelle dont l’économie réelle tirait sa croissance et sa compétitivité.

De fait elle n’est plus capable de réaliser les profits qui soutenaient la croissance de notre niveau de vie.

Le monde de la finance finit par avouer ses limites, mais nous nous refusons de l’entendre comme nous nous sommes refusés depuis quarante ans d’écouter le message des vrais écologistes.

Notre modèle de développement, notre modèle sociétal est terminé.

Que l’on parle de rigueur, de décroissance, d’austérité, peu importe, c’est fini : il n’y aura plus de miracle ou de relance.

D’ailleurs cet espèce de Léviathan insaisissable que l’on appelle le « Marché » l’a bien compris lui, quelles que soient les mesures annoncées par nos politiques, de quelques bords dont ils se réclament : la bête s’affole.

Parce que la Bête n’est que le reflet de nous-mêmes, de nos besoins, de nos envies et de notre propre désarroi.

Notre modèle de progrès social et idéologique basé sur l’industrialisation du monde et le développement des techno-sciences a fait long feu :  que l’on se définisse comme partisan de l’économie de marché (capitalisme) ou partisan de l’économie sociale et solidaire (humanitaro-progressisme), il n’est pas possible de croître indéfiniment dans un espace fini. »

 

R.M.M. : En effet, vous aviez anticipé la crise.

 

J.-M.F. : Nos ressources énergétiques à bas coût ne vont pas tarder à s’épuiser, des changements climatiques sont en cours, la perte de notre biodiversité nous conduira inévitablement à des épizooties animales ou végétales de plus en plus fréquente. Quant aux technologies de substitution ou extrêmes, elles nous font prendre de jour en jour des risques inconsidérés : Tchernobyl, forages B.P., O.G.M., nanotechnologies, etc.

Les abeilles sont en train de disparaître  et nous sous félicitons de pouvoir remplacer, dans le coca, le sucre par de la Stévia. (Au secours, sauvons la recherche !)

Notre rapport au monde, à l’environnement qui nous entoure, n’est devenu qu’un rapport de force basé sur l’intérêt fonctionnel à court terme : nous avons perdu le sens des mesures et même le simple « bon sens ».

Tout est devenue valeur négociable, l’amitié s’est transformée en relationnel, le malheur fait augmenter le P.I.B., un bien commun (une ressource naturelle, un paysage) devient un produit touristique et une idée à la base généreuse se transforme en quelques années en un produit commercialisable. N’est-ce pas, chers alternatifs ?

En quelques années, le volume financier généré par les associations « dites  humanitaires »  (O.N.G. diverses) dépasse celui généré par l’industrie automobile.

Investir dans le malheur des autres est devenu un des meilleurs placements. Ce n’est pas un hasard si les grandes écoles privées et l’université s’investissent dans ce domaine.

L’humanitaire et l’environnement qui sont devenus les territoires mystiques des nouveaux missionnaires occidentaux.

 

R.M.M. : Alors que les églises se vident, la société « laïque » est devenue « christianomorphe » induisant la compassion, la culpabilisation (et son corollaire, l’humanitarisme) et l’on s’aperçoit que les structures qui ont servi de modèle dans le passé sont devenues obsolètes.

J.-M.F. : Ce n’est pas que notre modèle sociétal qui s’écroule : État-nation, consensus républicain, démocratie par délégation, libertés aseptisées. C’est notre modèle de civilisation.

Et ce modèle a cessé de faire rêver. Pire encore,  il ne nous apparaît pas d’autres solutions que de continuer le même chemin. En montagne, si l’on arrive devant un abysse avec son troupeau, on fait demi-tour, l’on rebrousse chemin, et l’on cherche un passage pour contourner l’obstacle. Nos « décideurs », les édiles politiques que nous élisons (avec un tel taux de réussite et un tel taux d’abstention que leur légitimité doit être contestée) continuent à faire avancer le troupeau dans la même direction.

Faisons semblant de faire différent pour essayer de continuer pareil. Cette phrase digne d’une cour d’école semble être devenu le slogan de nos chers « décideurs ».

En ce qui concerne notre modèle français républicain, il est encore plus obsolète que les autres : jacobin, parisianiste, imbu de lui-même, le coq gaulois continue à chanter les deux pieds dans le fumier. Toute sa légitimité repose en grande partie sur des impostures historiques longuement entretenues par l’éducation nationale et les médias. On continue d’encenser les grands hommes de l’histoire de France ceux qui ont renforcé le rôle centralisateur et omnipotent de l’État et ont participé à la fondation du mythe de la nation unique et civilisatrice, voire d’une virtuelle « race française » (de 1791 à 1945). Un des pires massacreur de l’humanité, Napoléon Buonaparte, reste ainsi un héros de l’histoire de France. Autres personnages peu recommandables: Charles Martel qui pilla surtout l’Occitanie, François Ier, Louis XIV, l’ensemble des dirigeants de la Convention et du Directoire, Napoléon III (celui des massacres d’insurgés au coup d’État dans le Var et les Alpes-de-Haute-Provence en 1851, celui de l’annexion de Nice et de la Savoie), Adolphe Thiers, Jules Ferry etc.

Il ne s’agit plus aujourd’hui de changer de logiciel ou d’améliorer celui que nous utilisons, il s’agit de se poser la question de savoir si, pour travailler la terre, faire pousser des légumes et se nourrir, une bêche n’est pas plus efficace qu’un ordinateur.

Parce qu’il ne faut pas nous leurrer, pour la génération de nos petits-enfants et de leur descendance, le problème essentiel ne sera pas celui du taux d’allongement de l’âge de la retraite ou de l’augmentation des cotisations sociales, ce sera celui des besoins élémentaires : l’accès à l’eau et à la terre pour se nourrir dans un monde où la guerre de tous contre tous sera devenue la règle du jeu.

 

R.M.M. : Mais on ne peut occulter le « fait démographique » qui pèse sur l’avenir harmonieux de notre planète (et de nos territoires). Nous sommes sept milliards d’individus et les « faiseurs d’opinions » se réjouissent que nous soyons toujours plus nombreux. Quand vous parlez de l’accès à l’eau et à la terre, on ne peut nier ce paramètre.

 

J.-M.F. : La question démographique est effectivement une question cruciale à aborder, mais elle est, de toute façon, liée au modèle développement.

Jean de Savoie avait, d’ailleurs, posé ce  principe : « Comment pérenniser les ressources d’un territoire de façon à les transmettre aux générations futures ? »

Il y a donc, de fait, une limite démographique à un territoire donné, ses ressources ne sont pas extensibles et pour qu’elles le demeurent pour les autres générations, il faut qu’elles soient utilisées de manière raisonnable (c’est-à-dire soutenables et reproductibles).

Le modèle de développement urbain universaliste n’a pas intégré cette vision des choses, puisque, compte tenu du prix de l’énergie (qui se répercute immédiatement sur le transport), il s’est contenté d’aller piller les ressources des autres peuples, leur imposant par ailleurs la vision réductrice de la civilisation occidentale.

La maîtrise de la démographie est fondamentale. Dans son ouvrage Traité de polémologie, Gaston Bouthoul, qui analyse la démographie comme facteur de guerre explique comment les civilisations anciennes avaient résolu le problème avant l’invention de la contraception chimique et malgré le taux de mortalité qui ne permettait pas toujours de réguler le phénomène. Il s’agissait par diverses méthodes de réguler l’aspiration à procréer des diverses classes d’âges. Nos partisans modernes et « progressistes » du multipliez-vous et croissez mettent en avant le fait qu’accédant au niveau de vie d’opulence occidentale : les femmes mieux éduquées ont moins d’enfants. Certes, mais ils oublient qu’une famille de ce type pèse cinq à huit fois plus sur l’équilibre de la planète qu’une famille de paysans de huit enfants du Viêt-Nam ou du Bengale.

 

R.M.M. :  Dans ce cas, ne pensez vous pas que les trois grandes religions du Livre (c’est-à-dire les monothéismes) sont un frein à cette régulation ?

 

J.-M.F. : Il est vrai que nous sommes entrés dans l’ère de la pensée la plus obscure de la civilisation humaine qui consiste à placer la vie biologique de la personne humaine au-dessus de toutes les autres vies, voire des autres valeurs. L’aspect uniquement matérialiste de la pensée humaine moderne considère aujourd’hui la mort comme l’ennemi de la vie, alors que, durant des siècles, nous l’avons considéré comme une étape. En fait c’est que nous avons perdu le sens au bénéfice de l’utile et du fonctionnel. Nous sommes arrivé à un degré de civilisation ou nous refusons à la fois l’accident, c’est à dire l’intrusion du hasard, et aussi jusqu’à l’expression « mourir de causes naturelles ». Peu importe que nous nous soyons seulement transformés en objet de consommation et non en sujet de notre vie. La vision « humanitaire et progressiste » de l’histoire, rejoignant ainsi la vision « libérale et  capitaliste »,  a tout fait d’ailleurs pour imposer ces fameuses versions universalistes des sociétés humaines en diabolisant les aspects spirituels, familiaux, claniques et traditionnels qui représentaient le principal obstacle à la modernité et en développant à outrance les liens d’interdépendance au système techno-industriel de la marchandisation du monde.

 

R.M.M. : Mais on nous rétorquera que la dépendance au Système a pour corollaire une protection de l’individu.

 

J.-M.F. : Ceci est un énorme mensonge. Ne vous faites pas d’illusion sur la capacité de l’État français à vous protéger en fonction de vos capacités de soumission. L’État s’est affalé deux fois dans notre histoire contemporaine en juin 1940 et en mai – juin 1968. Il suffirait de pas grand-chose pour qu’il disparaisse durant une période : un accident technologique majeur par exemple.

Plus un organisme développé est complexe et centralisé, et plus il est fragile.

Qu’avons-nous à espérer du modèle français et de son système politique ? Entre la famille des libéraux-démocrates sociaux (la droite) et les sociaux-démocrates libéraux (la gauche), nous donne-t-on véritablement un choix ? Entre les héritiers, aujourd’hui prétendument réformateurs, du léninisme et ceux des totalitarismes bruns, quel est le moins pire ? C’est en cela que le concept du slogan « Ni droite ni gauche » ne se résume pas à une référence seulement idéologique ou historique, voire à un mot d’ordre nationaliste, mais bien à une remise en question du système existant.

Entre être un citoyen sous tutelle ou un sujet libre et responsable, quel sera votre choix ?

R.M.M. : C’est donc remettre complètement en question notre façon « d’être au monde » ?

 

J.-M.F. : Absolument, il faut rompre avec un État fondé sur la contrainte pour retrouver nos « valeurs ancestrales ». Le Comté de Nice a constitué pendant des siècles une confédération de communes librement associées entre elles, dont l’économie était essentiellement autosuffisante et localisée.

Malgré les dégradations (bétonnage de nos côtes et de nos montagnes, destruction d’écosystèmes importants), nous disposons encore d’atouts majeurs : des terres peu polluées, de l’eau, une réserve de biomasse importante et un climat encore propice.

Alors ! Pourquoi pas ? Pourquoi ne pas faire valoir notre droit et reprendre nos libertés afin de construire un autre modèle de développement pendant qu’il en est encore temps.

Nous savons les efforts qu’il nous faut faire pour constituer un cheptel, pour qu’une terre nous nourrisse sans l’épuiser, pour entretenir un filet d’eau dans la montagne. Nous savons que la valeur d’un arbre ne se mesure pas qu’en stère de bois de chauffage ou en kilo de pâte à papier et qu’une prairie de fauche ne se mesure pas qu’en bottes de foin.

 

R.M.M. : Vous parlez d’agriculture dans notre pays, mais elle semble être de plus en plus menacée aujourd’hui. Quand on sait qu’avec les terres fertiles que nous avons dans notre Comté, nous produisions 90  % de nos besoins en fruits et légumes au début du XXe siècle alors qu’aujourd’hui cette production locale ne représente que 10 % de nos besoins, quelle serait la solution envisagée ?

J.-M.F. : On ne peut parler d’agriculture dans nos pays de montagnes, que ce soit dans le Comté de Nice, en Corse, en Provence, en Sardaigne (voire en « Occitanie » de montagne) en faisant l’impasse sur les réalités historiques.

C’est le système techno-industriel de la marchandisation du monde, ce que d’aucuns adorent mystiquement sous l’appellation de progrès auquel ils associent un hypothétique sens de l’histoire, qui a tué notre agriculture.

Deux phénomènes se sont conjugués pour en arriver à la disparition de l’agriculture dans nos pays.

Le premier est l’équivalent de l’enclosure (9) qui débute très tôt en Angleterre verra son application en France grâce aux suites de la Révolution française de 1789 qui favorise la propriété privée au détriment du droit d’usage et des communaux.

Pendant des siècles (de la civilisation du Bégo à la colonisation romaine), les tribus du Comté de Nice sont régies par la loi des « manses ». Chaque famille a droit à un lot de terre clôturée où il y établit une habitation, loge les bêtes, la basse-cour, et cultive une partie potagère. Cette propriété privée est volontairement limitée et nul pour s’agrandir ne peut acheter la manse du voisin (10). Tout le reste est commun (et non communal) et se réparti en termes de droits d’usage déterminés par les habitants d’un territoire. Chaque famille envoyant un représentant homme ou femmes à l’assemblée des « communeux ». Ces traditions traverseront en partie l’Empire romain, la féodalité, l’administration des ducs de Savoie, et céderont après la première occupation française (1792 – 1814). Les derniers vestiges : les droits de « bandites » qui découlent des droits de libres affouages, de glanage et de vaines pâtures seront abolies en 1962.

Jusqu’à l’établissement du chemin de fer (1870 – 1892) (11), l’agriculture est essentiellement vivrière à cause des difficultés de déplacements, seules les terres à proximité immédiate des villes suscitent des échanges économiques de produits agricoles. Il ne serait jamais venu à l’idée d’un paysan de la Haute-Roya, de la Tinée, de la Vésubie, ou du Haut-Var de descendre vendre ses surplus sur les villes de la côte. Mais les progrès des moyen de communication sont aussi à double tranchant : le modèle d’agriculture de nos pays n’est plus concurrentiels avec celui des grandes plaines fertiles de la France. La charrue vient de tuer l’araire (12).

La minoterie à vapeur vient d’étouffer le moulin (à vent, à eau ou à sang) (13).

Une autre institution viendra achever notre agriculture au nom d’une « égalité des territoires de la République Française » qui ne veut pas tenir compte justement de la diversité de ces terroirs. Ce sont les droits de succession et les mesures dissuasives visant à abroger l’indivision (14). À partir du moment où le revenu agricole diminue par fait de concurrence, les paysans de nos contrées ne sont plus en mesure de payer les droits de successions aussi, générations après générations, ils vont vendre petits bouts par petits bouts leur patrimoine aux touristes et aux spéculateurs. Ce phénomène est lui aussi lié au progrès des moyens de transport dans les années 1965 – 1985. L’autoroute de l’Estérel sera le départ de la disparition des maraîchers de la plaine du Var et de nos collines et si le développement du fret aérien permet aux horticulteurs de commencer à exporter, ils s’apercevront trente ans plus tard que les importations venues d’ailleurs commencent à les concurrencer sérieusement. Surtout pour leurs collègues en fruits et légumes. Les wagons et les camions frigorifiques, et surtout Nestlé avec son lait en poudre ou concentré, signeront la fin des vacheries du Comté de Nice (15).

Et je ne parlerai pas des dégâts de la P.A.C. et de son système de subvention qui pour l’élevage se révèle encore plus catastrophique, plutôt que de protéger nos exploitations des importations; on a choisi de compenser la différence de prix par un système d’exploitation qui favorise la possession d’hectares et la médiocrité du produit. Pour l’agriculture, on a favorisé la facture des semences et celle de l’eau au détriment aussi de la qualité de la récolte.

Lorsque l’on passe la frontière administrative avec la Ligurie ou le Piémont; la lecture du paysage est significative. Sur la Côte, non loin du bord de mer subsistent encore de nombreuses exploitations de fruits et légumes et dès que l’on attaque les collines et la montagne, on sent la présence encore active d’exploitation agricole. Il n’est pas étonnant que « slow food » soit une idée italienne.

Il n’est pas possible de sauver nos terres agricoles et de relancer une agriculture alimentaire et non de micro-niches réservée à une clientèle de « Bo-Bos résidents » ou de touristes de passages, sans remettre en cause, les causes fondamentales qui nous ont conduites à la situation actuelle. Il faut geler les terres agricoles ou celles qui sont susceptibles de le redevenir par des mesures draconiennes qui remettent en cause l’industrie touristique et les plans d’urbanisation; mais aussi par des mesures incitatives sur la transmission et la cession de terres agricoles à des agriculteurs. Sans qu’il soit nécessaire comme sous les lois françaises d’avoir un niveau Bac + 4 pour prétendre être éleveur ou cultivateur. Il faut exonérer de taxe et de droit de succession les terres lorsqu’elles sont destinées à des agriculteurs de la famille qui reprendront tout ou partie d’une exploitation.

Il faut taxer plus lourdement les grandes surfaces qui refuseraient de vendre moins de trente pour cent de produits locaux. Donner la priorité sur les marchés aux producteurs locaux même si ceux-ci ne peuvent occuper une place tout au long de l’année. Il faut simplifier les démarches administratives et les règlements qui ne sont là que pour favoriser la concurrence internationale et l’industrie agro-alimentaire. Taxer les produits au kilomètre parcouru en tenant compte des zones montagnes.

Le débat est ouvert, y compris avec les organisations agricoles locales dont on souhaiterait qu’elles fassent preuve d’un peu plus d’imagination et un peu moins d’idéologie.

 

R.M.M. : Vous évoquiez les Bo-Bos résidents et autres touristes, mais que dire de la « colonisation » de notre territoire par l’apport de population (un peu comme en Cisjordanie) ?

 

J.-M.F. : Une immigration qui coûte cher aux populations du Comté de Nice et dont on ne parle jamais ! Je veux, par exemple, parler des emplois de très haut niveau.

« Si le chômage augmente, c’est parce que nous créons des emplois » déclare, provocateur, Christian Estrosi. « Notre territoire compte des emplois de très haut niveau, et ces salariés viennent avec leurs conjoints, qui deviennent parfois demandeurs d’emploi », explique le président de la Métropole Nice – Côte d’Azur. Ce phénomène de chômeurs par ricochet représenterait de 500 à 750 personnes selon la C.C.I.

S’ils viennent avec leurs conjoints(-tes), c’est bien parce qu’on les faits venir d’ailleurs, car il reste évident, pour les décideurs français, que plus de 150 ans de colonisation, n’ont pas permis aux populations indigènes ou autochtones d’acquérir les formations et le niveau nécessaire à l’exercice de responsabilités à haut niveau. D’ailleurs il n’y a qu’à voir à qui sont confiés, par les municipalités de Nice qui se sont succédées, les postes de cadres supérieurs. Et cette situation se confirme, de jour en jour, avec les CANCA, les Métropoles et autres E.P.A. et O.I.N.

Seulement personne n’ose soulever le problème d’une discrimination positive qui serait en faveur non pas des « familles niçoises de sang bleu » mais au moins de celles qui résident à Nice et qui y ont pris racine.

La droite locale a peur que les responsables qu’elle emploie fassent un jour passer la sensibilité au patrimoine du « Païs Nissart » au-dessus des intérêts financiers et électoraux des clans en place. Quant à la gauche, c’est au nom de l’égalité républicaine et de la France territoriale une et indivisible qu’elle a toujours favorisé les clans parisianistes.

Ainsi ce phénomène conduit-il à une paupérisation accrue de notre population qui n’est pas sans conséquences, car qui dit hauts revenus dit spéculation foncière et immobilière jusque dans l’arrière-pays donc impossibilité pour les actifs niçois de se loger près du bassin d’emploi et, d’autre part, empêche les jeunes agriculteurs de s’installer pour « travailler au pays ».

Un deuxième aspect de ce phénomène est la pression constante sur les salaires et l’emploi :  en effet, les conjoint ou conjointes de ces hauts cadres immigrés à haut revenus peuvent souvent se satisfaire d’emplois à tiers-temps ce qui induit une rémunération concurrentielle, car, pour ceux-ci, cela ne constitue, bien souvent,  qu’un revenu d’appoint voire de l’argent de poche. On peut aisément imaginer que les projets O.I.N., Grand Stade, Nice Grand-Arénas, etc., vont largement amplifier ce phénomène.

Mais, comme toujours, aucun homme (ou femme) politique qui se propose de prendre en main les destinées des populations de Nice et de notre Comté n’osent soulever le problème ou faire des proposition visant à changer cet état de fait, on continue à réitérer les mêmes erreurs.

 

R.M.M. : D’où l’émergence du M.C.P.N. (Mouvement citoyen du Pays niçois) dont vous êtes le délégué provisoire ?

J.-M.F. : Exactement, cela est venu comme une conclusion évidente de discussions et analyses que nous avons eu entre amoureux de cette terre du Comté de Nice venus d’horizons fort divers mais conscient de l’échec des démarches politiques entreprises depuis très longtemps dans ce pays. Ces démarches ont toutes échouées car elles se sont inscrites dans le schéma conventionnel  défini par l’État français avec les règles du jeu de la « République une et indivisible ». Il nous a paru évident que le combat était perdu d’avance. C’est pourquoi, nous étant débarrassés de nos « présupposés idéologiques », nous avons tous fini par nous rencontrer pour définir une autre forme d’action inspiré du slogan employé par la branche politique de l’I.R.A. en Irlande « Sinn Féin » qui veut dire « Nous seuls ».

 

R.M.M. : Et qu’avez-vous produit, quelles actions avez-vous menées ?

 

J.-M.F. : Parce que nous sommes des gens responsables, nous n’avons rien voulu lancer sans être prêts à répondre aux questions que l’on ne manquera pas de nous poser et sans avoir un programme relativement complet à proposer. Mais cette période de réflexion a été vraiment intense dans l’élaboration de nos travaux préparatoires: recherches historiques, réflexion politique, travail sur une charte du M.C.P.N., travail de fond sur une « nouvelle constitution », rencontre avec d’autres mouvements citoyens (Piémontais, Savoisiens, Genevois, Ligure…), avancée sur la constitution d’un Arc Alpin, etc. Vous voyez nous ne sommes pas restés les bras croisés.

 

R.M.M. : Et vous comptez lancer, effectivement, le Mouvement citoyen du Pays niçois (Motou citadin dou Païs nissart) à quel moment ?

 

J.-M.F. : Nous prévoyons de tenir une réunion publique (à laquelle la presse sera, bien sûr, invitée) après la rentrée des grandes vacances en septembre (la date va être bientôt définie) pour présenter notre mouvement et l’inscrire dans le paysage niçois.

 

R.M.M. :  Et vous avez des manifestations prévues par la suite ?

 

J.-M.F.: Je ne récuse aucunement les opérations d’agit-prop (agitation-propagande) que nous pourrions être amenés à faire, en fonction de l’actualité, mais je pense que notre grand rendez-vous avec le peuple de Nice et de son Comté aura lieu en 2014. En effet, deux ans après les élections d’aujourd’hui, la France sera loin d’être sortie de l’ornière et les déçus seront nombreux. Cela correspondra au deux-centième anniversaire de la Restauration sarde, qui signe la fin de l’occupation française, mais également aux élections municipales (voire des nouvelles entités territoriales) et là il faudra aller au charbon et mettre les mains dans leur « cloaque politicien » pour participer, c’est-à-dire présenter des candidats dans les petites communes de montagnes. Car en Savoie comme chez nous, la résistance et la libération sont toujours venues des montagnes, quelles que fussent les époques. Cela permettra entre autre aux communes de retrouver leurs libertés  face à la volonté centralisatrice des Métropoles (Nice, Menton) qui ont calqué leur mode de fonctionner sur le modèle de la « République jacobine française ».

 

R.M.M. : Jean-Marc, nous souhaitons, donc, longue vie au M.C.P.N. et vous remercions de nous avoir accordé de votre temps pour permettre à nos lecteurs d’être informés de ce qui touche à leur avenir tout en étant un signe d’espoir.

J.-M.F. : Je tiens aussi à vous remercier de m’avoir ouvert les pages de votre  site pour me permettre de m’exprimer, et, ce sans aucune censure, ce que je tiens à souligner, car c’est quelque chose qui est devenu presque impossible de nos jours dans les médias traditionnels.

Notes

1 : Le nissart est la langue du pays niçois.

2 : Le Nissart est l’habitant enraciné du Pays niçois.

3 : L’auteur fait référence au Lumpenprolétariat pour désigner le sous-prolétariat.

4 : Ici dans le sens de « rien ».

5 : Discussion

6 : Référence au militaro-politique ou politico-militaire…, voir l’I.R.A., E.T.A., le F.L.N.C.

7 : Avant la fin des haricots.

8 : Au moment de cet entretien, il n’y avait pas encore eu Fukushima (note de R.M.M.).

9 : Le mouvement des enclosures fait référence aux changements qui, dès le XIIe siècle mais surtout à partir de la fin du XVIe et au XVIIe siècle ont transformé, dans certaines régions de l’Angleterre, une agriculture traditionnelle dans le cadre d’un système de coopération et de communauté d’administration des terres (généralement champs de superficie importante, sans limitation physique) en système de propriété privée des terres (chaque champ étant séparé du champ voisin par une barrière, voire bocage). Les enclosures marquent la fin des droits d’usage, en particulier des communaux, dont bon nombre de paysans dépendaient.

On peut trouver plusieurs raisons à ce mouvement d’enclosure :

— une raison juridique : les potentats locaux souhaitaient conserver l’exclusivité des terres mais l’absence de cadastre nécessitait de matérialiser les limites foncières;

— une raison « naturelle » : les haies permettent de parquer les animaux et de se protéger des bêtes errantes;

— une raison « environnementale » : les haies absorbent l’eau et les fossés ayant permis la surélévation desdites haies drainent cette eau. On crée soit des haies d’arbres fruitiers (pour améliorer la production agricole) soit des ronciers pour mieux encore défendre les parcelles.

Mais la raison fondamentale est la suppression des droits d’usage (vaine pâture, communaux) qui permet la liberté des assolements.

Le mouvement des enclosures a commencé en Angleterre au XVIIe siècle. Des champs ouverts et pâturages communs cultivés par la communauté, ont été convertis par de riches propriétaires fonciers en pâturages pour des troupeaux de moutons, pour le commerce de la laine alors en pleine expansion. Il s’est ensuivi un très fort appauvrissement de la population rurale de l’époque, entraînant parfois des mouvements de révolte, comme dans les Midlands en 1607.

Selon l’historien Patrick Verley, « l’historiographie a longtemps centré son attention sur le phénomène des enclosures et sur ses conséquences sociales, mais elles ne constituent pas une révolution agricole, elles n’en constituent qu’un préalable, qui n’entraîne pas automatiquement un progrès de la production et de la productivité ».

10 : Un moyen d’éviter l’accumulation du capital.

11 : C’est l’invention de la dynamite qui permettra l’essor du réseau routier de montagne.

12 : L’araire à été l’outil le plus utilisé dans nos terroirs depuis la fin du Néolithique jusque dans les années 1900. En effet et avant les Bourguignons (La terre et le sol), nos paysans incultes et rétrogrades (voire réactionnaires) avaient compris qu’en retournant la terre, on bouleversait l’équilibre des couches qui compose un sol fertile. L’araire ne retourne pas le sol, mais le fend et le décompacte sur une profondeur maximale de 14 à 15 cm.

13 : Voir « Le secret de maître Cornille » dans Les Lettres de mon Moulin d’Alphonse Daudet.

14 : Le Crédit Fonciers de France jouera d’ailleurs un rôle essentiel dans la confiscation des terres des Niçois dès l’arrivée du train en gare de Nice (promesse de Napoléon III motivant l’annexion de Nice) en prêtant à faible taux aux investisseurs étrangers et en refusant le crédit aux autochtones s’ils n’étaient pas cautionnés par un intérêt étranger (Français ou Européen, voire Brésilien).

15 : C’étaient les camions de la S.A.P. qui retournaient depuis les vallées sur Nice en fin d’après-midi qui se chargeaient du ramassages des bidons de lait dans les villages et les déposaient devant la laiterie Otto Bruck (située rue de France).

Propos recueillis par Robert Marie Mercier.

• D’abord mis en ligne sur Racines du Pays niçois, le 5 mai 2012.


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vendredi, 28 septembre 2012

Les terroristes de l’OTAN visent la Syrie et l’Algérie

 

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Tony CARTALUCCI:

Les terroristes de l’OTAN visent la Syrie et l’Algérie

 

Les dirigeants occidentaux admettent que les opérations de l’OTAN en Libye ont joué un rôle de premier plan dans la consolidation de la fraction AQUIM d’Al-Qaeda (= “Al-Qaeda pour un Maghreb Islamique”).

 

Bruce Riedel de la “Brookings Institution”, un organisme qui est financé par 500 entreprises consignées dans la fameuse liste de “Fortune”, a écrit, dans un article intitulé “The New Al Qaeda Menace”, que l’AQUIM est désormais mieux armé qu’auparavant à cause de l’intervention de l’OTAN en Libye et que les bases du mouvement au Mali, et ailleurs en Afrique du Nord, sont désormais opérationnelles pour une activité terroriste sur le long terme dans toute la région.

 

Tant l’AQUIM que son homologue libyen, le “Groupe des Combattants Libyens Islamiques” ou, en anglais, LIFG, ont tous deux été placés sur la liste du Département d’Etat américain comme “organisations terroristes étrangères”. Ces deux organisations figurent également sur les listes noires du “Home Office” britannique. Quant aux Nations Unies, elles considèrent, elles aussi, que ces deux groupes sont de nature terroriste.

 

Malgré cela, l’intervention militaire en Libye a été perpétrée par l’Occident avec l’assentiment de l’ONU, tout en étant parfaitement conscient que les militants qui téléguidaient la dite “révolution démocratique” étaient bel et bien les continuateurs des actions terroristes violentes, commises depuis des décennies par “Al Qaeda”. L’Occident savait parfaitement de quoi il retournait tout simplement parce que ce sont les services secrets occidentaux qui, pendant trente ans, ont armé et soutenu ces “moudjahiddins”. Dans le cas libyen, ils ont été particulièrement bien chôyés par Londres et Washington.

 

De plus, il faut savoir que l’armée américaine elle-même a établi une documentation minutieusement tenue à jour de tous les terroristes étrangers qui ont combattu en Irak et en Afghanistan. Cette documentation montre que le plus haut pourcentage de ces combattants venait des villes libyennes de Benghazi et Darnah, toutes deux considérées comme le berceau de la “révolte pour la démocratie” en Libye.

 

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Tous ces faits, énumérés ici, prouvent qu’il y a eu préméditation et mensonge: le lieu même où s’est subitment ravivé le cartel activiste, rien qu’en l’espace d’une seule nuit, s’est transformé en un “avant-poste bien aguerri et armé jusqu’aux dents”, disposant de blindés et de pilotes d’avions à réaction. Cet avant-poste était fin prêt à déclencher une guerre sans merci contre le régime du leader libyen Khadafi. En réalité, il n’y avait rien de “spontané” dans cette révolte: nous avons là-bas, en Libye, le fruit de trente années de soutien occidental. Les puissances occidentales, en effet, ont toujours fourni en secret armements et soutien logistique à ces groupes mobiles de combattants sur n’importe quel territoire de l’espace islamique: ce soutien ne se terminera pas parce que Khadafi est tombé.

 

Les terroristes du LIFG se sont immédiatement envolés vers leur nouveau front oriental, la Syrie, et leur nouveau front occidental, le Mali. Donc en dehors des frontières de la Libye. La structure logistique, dont ils bénéficient, s’est continuellement perfectionnée pendant cette dernière décennie, au cours de leurs opérations en Irak et en Afghanistan. Le commandant du LIFG, Abdoul Hakim Belhaj, se trouvait déjà en novembre 2011 sur la frontière turco-syrienne pour fournir de l’argent, des armes et des combattants terroristes, issus des rangs du LIFG, le tout sous la supervision des services secrets occidentaux. Il fournissait également les rebelles syriens en argent et en armements que les Etats-Unis recyclaient via les Etats du “Conseil de Coopération du Golfe” (GCC) comme le Qatar et l’Arabie Saoudite. Dès ce moment, on a pu confirmer, de source sûre, que les militants libyens se sont hissés à tous les postes de commandement des brigades de combattants étrangers qui sévissent en Syrie.

 

Comme l’a admis Bruce Riedel de la “Brookings Institution”, les armes, récoltées par le LIFG, se sont retrouvées aussi sur le front occidental, au Mali. L’Algérie craignait depuis longtemps un tel scénario, dès l’intervention de l’OTAN en Libye. Les craintes algériennes étaient parfaitement justifiées, comme on peut désormais le constater. Il nous parait également intéressant de noter que ce Riedel, en août 2011, cherchait déjà à créer les circonstances d’un bouleversement en Algérie, car, dans un article significativement intitulé “L’Algérie sera la prochaine à tomber”, il imaginait déjà en toute clarté la déstabilisation et la chute du régime algérien actuel.

 

Il y a un an, Riedel tentait de soutenir l’hypothèse que le dit “Printemps arabe” se diffuserait en Algérie dès qu’il aurait triomphé dans la Libye voisine. Dans cet article, Riedel oubliait, bien entendu, d’expliquer ce qu’étaient ces “printemps arabes”, alors que cela saute désortmais aux yeux du monde entier: par “Printemps arabe”, Riedel entendait, in petto, la subversion appuyée par les Etats-Unis et, plus spécialement, l’appui aux militants terroristes armés par l’OTAN et issus d’Al-Qaeda.

 

Les Etats-Unis arment partout les terroristes d’Al Qaeda et les soutiennent ouvertement. Ils font le lit d’Al-Qaeda en Syrie. De toute évidence, la fameuse guerre contre le terrorisme, annoncée urbi et orbi par les présidents américains, est une formidable escroquerie, une escroquerie sans précédent, perpétrée aux dépens de millions de vies, qui ont été détruites, et pour un coût sociale et économique incalculable. L’OTAN, bien consciente des conséquences, est en train de fabriquer en Afrique du Nord, au Proche- et Moyen Orient, des “califats” artificiels, qu’elle soutient au détriment des peuples qu’elle gruge dans l’intention bien nette de perpétuer une guerre globale. Prenant leur inspiration dans les pages du roman “1984” de Georges Orwell, les dirigeants de l’Alliance Atlantique créent de toutes pièces une guerre artificielle pour appuyer les intérêts des consortiums économico-financiers, pour traduire dans le réel leurs stratégies internes et internationales. La “menace contre la civilisation occidentale”, que l’on brandit si souvent pour fustiger artificiellement les combattants djihadistes dans les médias, est en réalité une “légion étrangère” au service des intérêts économiques et financiers de l’Occident, qui traduit dans le réel et à l’échelle globale, la politique extérieure de Wall Street et de Londres, selon des modalités et en des lieux où aucune autre force occidentale n’a jamais pu agir.

 

Le Blitzkrieg terroriste dans le monde arabe ne se terminera pas en Syrie. Il continuera à frapper, si on le consent, en Iran, dans les montagnes du Caucase et même en Russie, sur les confins occidentaux de la Chine voire dans l’ensemble du Sud-Est asiatique. C’est un mélange d’ignorance, d’apathie et de complicité, dans le chef des populations occidentales, qui amène celles-ci à soutenir une “guerre au terrorisme”, alors que, paradoxalement, une telle guerre ne leur apportera que d’affreux déboires, des horreurs bien réelles, dont nous allons assez rapidement hériter, alors que ces mêmes agences médiatiques (noyautées par les néo-conservateurs d’Outre-Atlantique, ndt) affirmaient que nous pourrions les éviter à la condition que nous nous engagions sans hésiter dans cette “longue guerre”.

 

Nous sommes en train de soutenir les machinations politiques de nos politiciens et nous soutenons simultanément les intérêts économiques et financiers des consortiums qui favorisent ce programme belliciste. Cette politique a déjà permis d’offrir des havres régionaux bien sécurisés aux terroristes (utiles). Si le bellicisme continue à miner encore davantage les gouvernements séculiers —et finalement modérés— du monde arabo-musulman et s’il favorise l’éviction de ces régimes, nous encaisserons de plein fouet un “blowback”, un retour de flamme, nous glanerons la vengeance des vaincus humiliés et nous subirons encore bien d’autres conséquences de cette politique étrangère qui n’a d’autre visée que de détruire des équilibres. Rien qu’imaginer que cette folle politique d’immixtion permanente ne finira jamais fait froid dans le dos, surtout qu’elle nous infligera des retours de flamme, notamment sous la forme d’attaques “fausse bannière”, face auxquelles les attentats du 11 septembre 2001 ne seront que de la petite bière.

 

Déjà nous souffrons des effets d’une crise économique et de l’amplification d’un appareil sécuritaire mis en place par nos propres polices. Tant que nous nous aplatirons devant ce programme belliciste, sans jamais le contester, et tant que nous ne revenons pas à la raison, les choses iront de mal en pire.

 

Tony CARTALUCCI.

(article mis en ligne sur le site http://www.ariannaeditrice.it/ en date du 2 septembre 2012).

C’est toujours à l’Est que se lève le monde…

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C’est toujours à l’Est que se lève le monde…

Entretien avec Gilles Arnaud

L’agence russe Itar-Tass a organisé, du 4 au 7 juillet 2012, un forum mondial rassemblant 213 médias de plus de cent pays à Moscou. Parmi les participants se trouvait une délégation de l’Agence2Presse, comprenant les trois directeurs exécutifs de la branche vidéo des Éditions d’Héligoland. À son retour de Russie, nous avons rencontré Gilles Arnaud.

Le Magazine national des Seniors : Vous avez participé au deuxième Sommet mondial des médias (W.M.S. en anglais) organisée par l’agence Itar-Tass à Moscou les 5, 6 et 7 juillet dernier. Quel était le thème de ce colloque ?

 

Gilles Arnaud : Le thème général était les « Médias globaux : défis du XXIe siècle ». En clair, les enjeux d’Internet dans l’information et la désinformation des masses, le rôle des journalistes et de l’État dans l’équilibre des pouvoirs. Les nouveaux médias comme les télévisions connectées, les réseaux sociaux… Il est évident que le métier traditionnel du journaliste a considérablement évolué avec l’urgence de l’information.

La nécessaire vérification de sources multiples peut passer à la trappe devant l’obligation du scoop

 

L.M.N.S. : Mais pourquoi est-ce une agence russe qui organise ce forum ?

 

G.A. : Sans doute parce que la Russie a été confrontée à une virulente campagne de désinformation lors de ses élections présidentielles. On a vu les médias occidentaux ne relayer que les informations et les témoignages de l’opposition, sans trop d’ailleurs se soucier de leur crédibilité. Ou assimiler le peuple russe à quelques centaines de manifestants urbains, dans un pays qui compte 140 millions d’habitants et est le plus étendu du monde. Ou trafiquer des photos pour illustrer des manifestations anti-Poutine pas assez importantes. Ou faire croire que les opposants à Vladimir Poutine ne sont qu’un seul bloc, alors que c’est un agglomérat de groupes aussi différents que des néo-nazis en allant aux L.G.T.B. (lesbiennes, gays, trans- et bisexuels). Aucun média occidental n’a informé ses lecteurs du rôle des blogueurs et des associations financées par les États-Unis dans ces manifestations de rue fort peu spontanées. Ce manque total d’objectivité et d’honnêteté a beaucoup choqué les Russes, car, qu’on le croit ou non, il y a de très nombreux médias d’opposition en Russie, et le réseau Internet est très bien développé. L’information est plus libre qu’en France.

 

L.M.N.S. : Votre délégation était importante ?

 

G.A. : L’Agence2Presse a dépêché sur place ses trois directeurs opérationnels, et nous nous étions attachés les services de trois interprètes.

 

L.M.N.S. : Quels étaient les autres médias français présents à ce sommet ?

 

G.A. : (Rires !) En fait il y avait huit Français accrédités à ce sommet : les trois directeurs de l’Agence2Presse, leurs trois interprètes… et les deux dirigeants d’Havas dont Jacques Séguéla. C’est-à-dire qu’à part une agence de presse de réinformation et un publiciste manipulateur d’opinions ayant travaillé pour Mitterrand et Sarközy, il n’y avait aucun media français. Cela reflète l’état désastreux de la presse française. À n’en pas douter, les raisons de cette absence remarquée sont d’ordre idéologique. Elle reflète bien le profond mépris affiché par la caste médiatique occidentale. Seulement, ce que cette caste n’a pas encore compris, c’est que le monde continue de tourner sans elle, et que les « petits » d’autrefois ont remplacé l’admiration certaine qu’ils portaient aux grands médias occidentaux par une méfiance et un rejet qui scelle la fin d’une hégémonie aussi prétentieuse qu’obsolète. L’intervention du Ministre des médias du Congo-Kinshasa a été, sur cette question, d’une remarquable actualité et faite dans un français qui a depuis longtemps déserté les salles de rédaction françaises!

 

L.M.N.S. : Et vous pourquoi avez-vous répondu favorablement à l’invitation d’Itar-Tass ?

 

G.A. : L’Agence2Presse est très présente aux côtés de la représentation consulaire russe en France, puisqu’elle a notamment diffusé en direct et en français l’investiture du Président Poutine le 7 mai 2012. Nous apprécions la liberté d’esprit et de ton qui caractérise les diplomates et les media russes. Nous avions assisté à un autre colloque médiatique organisée par des journalistes russes en mars dernier à Strasbourg. Nous étions là encore les seuls Français présents, et les interventions nous avaient marqué par leur franchise. La richesse des contacts noués à cette occasion nous a fait entrevoir le IIe W.M.S. comme une opportunité unique de rencontrer des confrères du monde entier.

 

L.M.N.S. : Croyez-vous qu’un tel sommet aurait pu se tenir en France ?

 

G.A. : Sur un plan purement technique, sans doute. Il n’y a pas de raisons valables pour affirmer l’inverse. Néanmoins, il est fort probable que la présence de certaines délégations aurait été mal vue ou à tout le moins déconsidérée chez nous. Pour aller plus loin, disons que la plupart des interventions des participants n’auraient pu s’exprimer de la même manière en France où un seul avis aurait prédominé. La pensée unique a encore de beaux jours devant elle. Lors du Congrès de Strasbourg, par exemple, suite à une intervention musclée de Alexandre Sevastianov (un polémiste et écrivain russe renommé), un technocrate de Bruxelles présent sur la tribune a déclaré : « Vous n’avez pas le droit de dire ça! »… Stupeur dans la salle. Mêmes ceux qui n’étaient pas d’accord avec Sevastianov ont protesté contre les propos du technocrate, en lui disant que s’il avait le droit de ne pas être d’accord, il ne pouvait interdire à quiconque de s’exprimer… Moscou a permis de laisser entendre de nombreuses réclamations contre la presse occidentale, son monopole mondial et sa supériorité souvent déplacée. Cela aurait été difficilement envisageable à Paris ou à Londres. Il n’y a plus de liberté de pensée ou de parole en Occident, c’est un fait.

 

L.M.N.S. : Avez-vous pu participer aux débats ?

 

G.A. : Nous y avions été invités par Itar-Tass, notamment pour exposer nos réalisations en matière de T.V. connectées. Nous avons pu exposer comment nous organisions techniquement et financièrement nos télés sur Internet, en illustrant nos propos avec T.V.NormanChannel, qui est un peu notre vitrine technologique. Et en fait cela a intéressé des pays comme l’Ossétie, soucieuse de développer une télévision professionnelle à moindre coût.

 

L.M.N.S. : Ne pensez-vous pas que ce genre de rencontres internationales soient plus des opérations de relations publiques d’envergure que de véritables sources de résolutions des problèmes mondiaux ?

 

G.A. : Oui et non. Il est clair que ce ne sont pas les grandes déclarations de principes prises lors de la plénière finale qui vont modifier sensiblement l’état de la presse dans le monde. Mais ce grand rendez-vous est indispensable pour prendre le pouls du « pays réel » de la presse mondiale, et de mesurer la volonté de résistance aux manipulations de masse. Il est plus facile de résister dans son coin, si l’on se sait en harmonie de pensée avec des centaines de médias dans le monde. Et il n’y a que ces « grand-messes » pour permettre ces rencontres. Non, ce colloque d’Itar-Tass est réellement de salubrité publique !

 

L.M.N.S. : Comment percevez-vous l’horizon médiatique après ces trois jours de congrès ?

 

G.A. : Il est clair qu’il existe des volontés de par le monde pour renverser l’uniformisation médiatique que l’on connaît actuellement et que tous sont demandeurs d’échanges d’informations, de reportages, et de relais à l’étranger. Dans notre volonté de créer une télévision nationale, nous sommes bien conscients qu’il nous faudra des partenaires à l’étranger. Nous ne serons pas en mesure d’envoyer des journalistes aux quatre coins du monde. Dès lors, ou l’on se contente de resservir la soupe frelatée des agences occidentales, où nous allons directement chercher l’information sur place, auprès des journaux, des télés, des agences de presse locales. Je ne sais pas pourquoi, mais je pense que même si la vérité n’est jamais toute entière du même côté, elle sera beaucoup plus proche de ces sources locales que présente dans les dépêches de l’A.F.P., de la B.B.C. ou de Reuters !

 

L.M.N.S. : Quels sont les contacts que vous avez pu nouer sur place alors ?

 

G.A. : Il y en a beaucoup et il est difficile de dresser une liste exhaustive. Disons que nous retiendrons particulièrement les échanges fructueux avec nos collègues d’Ossétie, de Roumanie, d’Indonésie et du Congo. De la même manière, nous avons pu conclure des accords de collaboration avec l’agence iranienne Mehr, et bien entendu avec Itar-Tass et la radio La Voix de la Russie.

 

L.M.N.S. : Pour vous quel a été l’événement marquant de ce sommet ?

 

G.A. : La passe d’armes entre le directeur de la B.B.C. qui demandait fort hypocritement une totale liberté de la presse dans les pays de l’« Axe du Mal » (Russie, Iran, Syrie, Venezuela, etc.) et la délégation iranienne en session plénière. Le responsable de l’agence Mehr a rappelé à cette occasion que le seul pays qui avait qualifié ses propres ressortissants de pillards lors de manifestations sociales en août 2011 tout en interdisant l’accès des quartiers à la presse, en censurant les réseaux sociaux, en désactivant les téléphones portables, était justement… le Royaume-Uni.

 

L.M.N.S. : Était-ce votre premier voyage en Russie ?

 

G.A. : C’était le deuxième en réalité pour l’Agence2Presse. Nous nous étions déjà rendus à Moscou en octobre 2011. C’est donc une ville que nous connaissions un peu, puisque nous y séjournons à chaque fois plusieurs semaines, et que nous avons retrouvée avec plaisir. Nous allons d’ailleurs y retourner tous les mois, dans le cadre d’une coopération avec Voix de la Russie. Et nous allons probablement aider le plus grand groupe universitaire privée de Russie à se doter d’une télévision interne en connexion avec ses différentes facultés, réparties sur onze oblasts (régions). C’est un beau projet, qui nous demandera sans doute de rester sur place quelques mois.

 

L.M.N.S. : Est-ce que la Russie que vous avez pu voir correspond à l’image qui est véhiculée dans la plupart des médias ?

 

G.A. : Nous n’avons peut-être pas encore une connaissance suffisante de la Russie pour nous permettre de donner un avis définitif, mais il est certain que la plupart des clichés que nous connaissons tous, à savoir une corruption endémique, un autoritarisme contraire à la démocratie, une opposition muselée, et bien d’autres, sont en grande partie faux. Nous avons au contraire pu prendre acte du fait que la presse et la liberté des médias en général était extrêmement dynamique, et ne semblait pas souffrir d’une quelconque censure. Lors de notre séjour, il y a eu d’importantes inondations dans le sud du pays, et les débats sur les causes de la catastrophe ont été lancés immédiatement et sans volonté de nier les éventuelles responsabilités humaines et étatiques. De plus, on sait sur un tout autre aspect que d’importantes mesures ont été prises et appliquées pour lutter contre la corruption quotidienne de certains agents de l’État qui avaient acquis de mauvaises habitudes. Personnellement, nous n’avons pas eu à subir d’éventuelles tracasseries administratives que d’aucuns colportent en affirmant qu’il s’agit d’une constante pour tout étranger venant en Russie.

 

L.M.N.S. : Avez-vous un regret ?

 

G.A. : Sur le congrès en lui-même et son organisation, aucun. Il faut vraiment saluer la réussite d’Itar-Tass et des bénévoles de l’Université de journalisme de Moscou qui ont rempli leur mission avec brio et disponibilité. Après, on éprouve toujours une certaine tristesse lorsque que de tels événements prennent fin, et qu’il faut rentrer au pays.

 

L.M.N.S. : Vous ne voulez plus travailler en France ?

 

G.A. : Si, bien sûr ! Nous avons toujours la volonté de créer cette télé nationale, qui serait la source de réinformation permettant à toutes les structures de notre famille de pensées de s’exprimer et de donner à leur combat une audience jamais atteinte jusqu’à présent. Mais nous sommes sans cesse confronter à la division et aux manques de financement. Nous supportons seuls le développement de ce pôle multimédia depuis quatre ans, sans aucune aide financière. C’est très lourd. Nous utilisons de la haute technologie, et devons suivre une veille technologique permanente. Il est vrai que travailler en Russie est plus facile. Quand la décision est prise, une fois le projet étudié et les relations humaines nouées, les fonds sont mis à disposition. On peut se consacrer à la mission, sans perdre son temps en ronds de jambe ou en mendiant la tranche suivante du financement.

 

L.M.N.S. : Vous conseillerez à nos lecteurs d’aller en Russie ?

 

G.A. : Bien sûr ! Moscou est la plus grande ville d’Europe, c’est la destination idéale d’un week-end. Personne ne peut oublier ses premiers pas sur la Place rouge ! Même ses stations de métro sont des musées. Le renouveau spirituel qui a accompagné les présidences Poutine est palpable dans tous ses monuments. Et puis il y a Saint-Pétersbourg, et toutes ces petites villes qui sont des joyaux d’architecture et d’histoire, comme Novgorod ou Voronej. Pour les plus sportifs, il y a aussi toutes les étendues de la Sibérie, ou la Carélie. Quand on est à Moscou, il ne faut pas oublier que la Russie s’étend encore 7000 km plus loin, à l’Est, vers Vladivostok. Il n’y aucune doute sur le fait que notre soleil se lève à l’Est et que nous n’en sommes qu’au réveil de ce géant.

 

Propos recueillis par Franck Le Dun.

 

Entretien d’abord paru dans Le Magazine national des Seniors, n° 16, juillet 2012, et mis en ligne sur le site d’Agence2Presse, le 24 juillet 2012.


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jeudi, 27 septembre 2012

Het Russisch-Tsjetsjeens conflict en de internationale factoren

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Peter LOGGHE:
Het Russisch-Tsjetsjeens conflict en de internationale factoren
 
Ex: Nieuwsbrief Deltastichting nr 63 - September 2012
 
Waarom houdt Rusland zo hardnekkig vast aan het binnen de Russische grenzen houden van Tsjetsjenië?

Waarom, als men weet dat de bevolking van Tsjetsjenië met moeite die van het Brussels Hoofdstedelijk Gewest overtreft? En wat hebben de VS en islamisten aan gemeenschappelijke belangen in datzelfde Tsjetsjenië?

Even Tsjetsjenië situeren, want buiten het feit dat hier tussen 1994-1995 en 1999-2000 twee bloedige oorlogen tussen Rusland en Tsjetsjenië werden uitgevochten, is in Europa weinig over dit gebied gekend. Een blik op de geografische ligging en op de geschiedenis zal ons echter al een ruim inzicht in dit conflict verschaffen.

2002562315_1.jpgTsjetsjenië ligt in het noordelijke gedeelte van de Kaukasus, op de grens dus van de oude USSR en van het voormalige Russische rijk. Geprangd tussen Rusland en Turkije leven verschillende Kaukasische volkeren, waarvan sommigen een Indo-Europese taal spreken, en andere dan weer niet. Kalmoekië, Dagestan, Ossetië, Balkarië. En Tsjetsjenië. Aan de grens van Georgië, dat sinds de verkiezing van Saakashvili tot het westerse kamp behoort. In Tsjetsjenië vindt men belangrijke grond- en energiestoffen terug: petroleum, gas, enzovoort.
  
Er bestaat geen volk ter wereld dat zo aan de vrijheid vasthoudt als de Tsjetsjenen, zo blijkt uit de geschiedenis. Ze drinken vrijheid zoals ze moedermelk drinken, liet een Franse auteur zich ooit eens ontvallen.  Ook de Romein Pompeius moest dat (in 66 voor onze jaarrekening) tot zijn scha en schande ervaren. Keizer Justinianus probeerde – tevergeefs – het christendom in dit gebied in te voeren. Soefistische strekkingen binnen de soennitische islam – een eerder gematigde vorm dus – konden het gebied Tsjetsjenië wel islamiseren.

Vanaf de 16de eeuw begint de ‘Russische tijdperk’. Kleine groepen kozakken versmelten er met Kaukasische volkeren. In 1783 nemen de Russen het ganse Noord-Kaukasisch gebied onder controle en beginnen ze aan de bouw van vestingen onder andere in Tsjetsjenië (waarvan Grozny, in het Russisch “Verschrikkelijk”). De Tsjetsjenen laten dit niet zomaar gebeuren, en verschillende legendarische aanvoerders als sjeik Mansoer, Taimiev en vooral Sjamil trekken volksopstanden op gang.  Met de overgave van Sjamil in 1859 werd de russificatie pas echt een feit. Russische kolonisten bezetten voortaan de vruchtbare vlakten.

Net als zovele volkeren tijdens de Sovjettijd kregen ook de Tsjetsjenen een voorzichtig begin van autonomie in 1922, maar enkele jaren later was ook dat voorbij. Onder Stalin ging het helemaal fout en werden de landbouwgronden gedwongen gecollectiviseerd, wat tot de collaboratie met Duitsland leidde van een belangrijk deel van de bevolking. Begin 1944 werden ongeveer 500.000 Tsjetsjenen en andere Kaukasische volkeren gedeporteerd, en hieraan zou pas een einde komen in 1957. Tot in de jaren 90 van de vorige eeuw waren de Russen goed voor 30% van de bevolking in Tsjetsjenië.

Tsjetsjenië verklaarde zich op 2 november 1991, een maand voor de opheffing van de USSR, onafhankelijk en deze onafhankelijkheid werd in eerste instantie alleen erkend door de talibanstaat Afghanistan – niet toevallig zoals we zullen zien. Tsjetsjeense milities zouden zich in deze periode ernstig misdragen hebben en verschillende tienduizenden niet-Tsjetsjenen verlieten het land.  Islamitische bewegingen uit Jordanië, Saoedi-Arabië, Afghanistan en andere landen vonden de weg naar Grozny, de toon in Moskou werd ook harder. De sharia zou uiteindelijk in 1999 worden ingevoerd, maar dan in combinatie met het oud-Tsjetsjeens gewoonterecht.

De twee oorlogen tussen Rusland en Tsjetsjenië zorgden voor een verdieping van de kloof tussen de beide landen, met wreedheden langs beide kanten. Tot diep in Rusland werden Tsjetsjeense aanslagen gepleegd, en beelden van onthoofdingen door Tsjetsjeense strijders gingen de wereld rond.

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Nochtans zou het verkeerd zijn, aldus Maria Rechova in haar doctoraatsthesis, om de oorzaak van dit zéér gewelddadig conflict, de oorzaak van de niets ontziende wreedheden en het radicalisme waarmee de strijd wordt gevoerd, terug te brengen tot de invloed van het wahhabitische islamfundamentalisme. Er is meer aan de hand. Tsjetsjenen zijn nu eenmaal zeer radicaal in hun verwerping van alles wat Russisch is. Dit leidde tot een spiraal van geweld waarin ook criminele elementen hun rol speelden.  Het is met andere woorden niet te vergelijken met de Iraakse opstand of de Afghaanse oorlogen, het is een typisch Kaukasisch conflict. Reeds van in het begin van het gewapend conflict in 1994 bijvoorbeeld was duidelijk dat zich rond de onafhankelijkheidsstrijd een crimineel net aan het ontwikkelen was, dat miljarden zwarte dollars heeft witgewassen. Tsjetsjenië groeide uit tot een draaischijf van de internationale wapenhandel, en ook de heroïneproductie draaide er op volle toeren. Al gebiedt de waarheid wel te zeggen dat de radicaal-islamitische Al Qaida-inbreng niet heeft gezorgd voor het meer aanvaardbaar maken van een verregaande vorm van autonomie.

Rusland heeft dus gereageerd, op een zeer harde manier. Maar bleven haar veel andere opties over? Een van de redenen van het belangenconflict is natuurlijk van internationale aard. En dan heb ik het niet zozeer over de controle over de energiebronnen op het grondgebied – al speelt dat ook mee – maar vooral over de controle over de energieleidingen. De oliepijpleidingen met name die in het geopolitiek belangrijke gebied passeren (Georgië, Armenië en de Noord-Kaukasus), en de gaspijpleidingen. Rusland doet er dus alles aan om haar belangen in dit gebied te consolideren, te behouden en zo mogelijk uit te breiden. Voor de VS en haar bondgenoten biedt het Tsjetsjeens conflict de uitgelezen gelegenheid om Rusland te destabiliseren en latente oude conflicten in de Kaukasus aan te wakkeren.

Rusland werd door verschillende internationale instanties gepakt op haar zwakke kant: die van de mensenrechten met name en de vele inbreuken die op Tsjetjeens grondgebied werden gemeld.  Het Kremlin heeft daarom onlangs gekozen om het conflict met de separatisten te “tsjetsjeniseren”. De Tsjetsjeens regering (al dan niet een marionettenregering, dat laat ik even in het midden) kreeg de controle over het grondgebied terug, de controle over de strijdkrachten, en de controle over de economie. Al blijft er wel steeds een ‘oeil de Moscou’ in de buurt natuurlijk.

Zo is een conflict dat in eerste instantie een beperkte regionale impact had, uitgegroeid tot een internationaal geopolitiek conflict.


Peter Logghe

mercredi, 26 septembre 2012

L’OTAN abandonne les Afghans

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Ferdinando CALDA:

Trop d’infiltrés: l’OTAN abandonne les Afghans

 

L’ISAF a décidé de réduire en nombre les opérations conjointes avec les forces de sécurité afghanes

 

L’OTAN en Afghanistan a décidé de réduire de moitié les opérations conjointes qu’elle menait avec les forces de sécurité locales, pourtant entraînées par le contingent international. Cette décision survient suite à une succession toujours croissante d’incidents dits “green on blue”, l’expression codée signifiant qu’un soldat ou un policier afghan tire sur ses collègues étrangers. Au cours de cette année 2012, ce type d’incident a causé la mort de plus de cinquante militaires occidentaux. Le commandant de l’ISAF vient de l’annoncer, tout en spécifiant bien que la majeure partie des patrouilles communes sont menée à l’échelle du bataillon, voire d’unités plus grandes, tandis que la coopération entre unités plus réduites sera appréciée “au cas par cas et approuvée par les commandants régionaux”. Cette décision arrive juste après que les Etats-Unis, pour endiguer la multiplication des “attaques internes”, ont suspendu le programme d’entraînement des milices faisant fonction de police locale (ALP), tandis que l’OTAN continuait son propre travail avec l’armée (ANA) et la police (ANP) aghanes, tout en lançant simultanément une campagne de “nettoyage” des effectifs à l’intérieur des forces de sécurité afghanes. Une initiative qui, selon les renseignements fournis par le gouvernement de Kaboul, a conduit à l’expulsion ou à l’arrestation d’environ 700 personnes parmi les soldats et les policiers afghans.

 

Une mesure temporaire?

 

Le commandement de l’OTAN a cherché à minimiser l’alarme déclenchée à propos des infiltrés, en précisant que la réduction des opérations conjointes ne constitue qu’une “mesure temporaire”, adoptée surtout pour “répondre au niveau élevé de menace dû à la diffusion du vidéo-clip ‘The Innocence of Muslims’”, le petit film controversé et satirique qui s’en prend au prophète Mohammed et qui a surexcité la rue dans les villes musulmanes du monde entier ces derniers jours. D’après les estimations, seulement un quart des “attaques internes” serait à mettre au compte d’insurgés infiltrés, même si d’autres officiers parlent d’une moitié. Le reste des incidents serait alors imputable à des remontrances personnelles et surtout à un effet ou un autre du “choc des civilisations”. Les incidents de type “green on blue”, par exemple, auraient eu lieu suite à la crémation d’un Coran dans une base militaire américaine ou à la diffusion de vidéos montrant des marines outrageant des cadavres d’Afghans, tués au cours d’un combat.

 

Toutefois, il est vrai aussi que la hâte de l’OTAN et des Etats-Unis à augmenter les effectifs des forces de sécurité afghanes —qui, en théorie, devraient garantir la sécurité après le départ des troupes étrangères en 2014— a eu une influence négative sur la sélection et le recrutement des militaires et policiers qui, souvent, sont corrompus, toxicomanes ou analphabètes; en outre, ces troupes se font aisément infiltrer par les talibans ou d’autres insurgés.

 

Le grave incident de Camp Bastion

 

D’après ce que vient de déclarer Leon Panetta, secrétaire américain à la défense, les attaques contre les forces de l’OTAN perpétrées par des policiers ou des soldats indigènes constituent une tactique “de la dernière chance”, parce que les talibans sont désormais “incapables de reconquérir le terrain perdu”. Malgré cette déclaration optimiste, les insurgés ont réussi à infliger quelques dommages importants aux troupes étrangères qui n’attendent plus qu’une chose: rentrer à la maison. Vers la mi-septembre 2012, une quinzaine de miliciens ont attaqué Camp Bastion, une base militaire de l’ISAF, dans laquelle ils ont pu pénétrer. Cette base se situe dans la province d’Halmand, sous contrôle britannique. Les miliciens afghans étaient armés d’armes automatiques, de lance-missiles RPG et munis de gilets bourrés d’explosifs. Le bilan de l’attaque, selon les sources de l’ISAF, est de six appareils Harrier AV-8B (à décollage vertical) complètement détruits et de deux autres gravement endommagés. Trois stations de ravitaillement ont également été détruites. Six hangars ont été sérieusement endommagés. Il semble donc que les membres du commando ont pu se vêtir d’uniformes américains et aient bénéficié d’une aide intérieure.

 

Echec du “parcours de transition”

 

Cet épisode a contribué, à coup sûr, à précipiter la décision des commandants de l’ISAF de réduire la coopération avec les Afghans, ce qui augmentera le clivage, déjà sourdement existant, entre les militaires de l’OTAN et les troupes indigènes. Cette mesure traduit l’échec du fameux “parcours de transition”, pour lequel on avait déployé une propagande tapageuse, dans les milieux otanesques et américains. Il fallait absolument prouver que, dans l’euphorie et la plus franche des camaraderies, les forces internationales et les troupes afghanes combattaient côte à côte contre le même ennemi taliban ou insurgé. Et que cette situation idyllique allait perdurer jusqu’à ce que l’OTAN et les Américains passent le flambeau. Mais si les instructeurs de l’OTAN ne peuvent plus collaborer étroitement avec les Afghans par crainte de mettre en péril leur propre intégrité, il s’avèrera bien difficile d’atteindre, à terme, l’objectif ambitieux de créer une armée afghane bien structurée et efficace.

 

Ferdinando CALDA

( f.calda@rinascita.eu )

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 19 septembre 2012; http://rinascita.eu/ ).

mardi, 25 septembre 2012

Global Blitzkrieg: West's Terror Battalions Eye Russia Next

Global Blitzkrieg: West's Terror Battalions Eye Russia Next

 
Reuters lays groundwork for Western support of Al Qaeda terrorists in Russia's Caucasus region.
by Tony Cartalucci 

August 31, 2012 - With the US openly supporting, arming, and literally "cheering" for Al Qaeda in Syria, it should be no surprise that their support for Al Qaeda's other operations is now slowly revealing itself. For decades, brutal terrorist campaigns have been carried out in Russia by Al Qaeda's Caucasus Mountains faction, constituting the backbone of the so-called "Chechen rebels."



Image: Must be seen to believe - screenshot of FP's article literally titled, "Two Cheers for Syrian Islamists." The writer, Gary Gambill, comes from the Middle East Forum which regular features the warmongering rants of Neo-Cons like Daniel Pipes and Islamophobia-propagandist Robert Spencer. With the West now embracing "Islamists" (Al Qaeda), it has now begun selling the terrorists' cause in Russia's Caucasus region.  

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While there was a time the US feigned solidarity with the Russian government as it fought listed Al Qaeda affiliates carrying out attacks across the Caucasus Mountains in Russia's southern region, as well as attacks across the country including in Moscow itself, research reveals that the United States has been covertly backing these terrorists all along. Just as the US created, funded, armed, and directed Al Qaeda in the mountains of Afghanistan during the 1980's, they are to this day funding, arming, and directing Al Qaeda from Libya, to Syria, and in Russia.

US is Attempting to Undermine and Overrun the Russian Political Order

The US State Department has been recently exposed interfering heavily in Russian politics. From funding so-called "independent" election monitor GOLOS, who sought to write off recent elections as "stolen," to street protests led by US-funded opposition members who have been caught literally filing into the US embassy in Moscow, the US is clearly attempting to undermine and overrun the current political order in Russia. The recent "Pussy Riot" publicity stunt has also been arranged by US-funded opposition as well as fully leveraged by these organizations, their foreign sponsors, and the Western media.

While these so-called "soft-power" options are running their course, a more sinister plot is being prepared - one involving the resurgence of terrorism in Russia's Caucasus region, and sure to spill over into the rest of Russia. It is now revealed that many of the propaganda fronts acting as clearinghouses for the Chechen militants were in fact US subsidized.

Corporate Media Laying Groundwork for Renewed Terrorism

Just like in Syria, where foreign terrorists are fallaciously portrayed as indigenous, justified "pro-democracy" "freedom fighters," a similar narrative is being spun to whitewash terrorists operating in Russia's Caucasus Mountains. In Reuters' recent report, "Insight: Brutality, anger fuel jihad in Russia's Caucasus," readers are barraged by outright lies regarding the genesis and underlying cause of violence in the region.

Reading like a US State Department press release, we are told that Chechens are "sick of official corruption" and want change "like that seen in last year's Egyptian revolution." Reuters fails to acknowledge that "last year's revolution" has sprung this year's Muslim Brotherhood tyranny, already curbing civil liberties and muzzling criticism in the press at home, while supporting Wall Street and London adventures abroad

Like in Syria, where we are constantly reassured that the revolution "mostly" rejects the sectarian extremism that is demonstrably charging the violence, Reuters attempts to claim that while the violence in Russia seems "religious," most people reject the "Shairia law" that will inevitably be imposed by Al Qaeda. 

Likewise, we are introduced to Doku Umarov, who Reuters claims "leads an underground movement to create an Emirate across the Caucasus region." Reuters fails to mention that Umarov is listed by the United Nations as an associate of Al Qaeda. According to the UN:

Doku Umarov was directly involved in organizing a number of major terrorist acts: the capture of residential areas of the Vedenski and Urus-Martanovski districts of the Chechen Republic the Russian Federation (August 2002); the kidnapping of staff from the Office of the Public Prosecutor of the Chechen Republic (December 2002); and the bombings of the building housing the Department of the Russian Federal Security Service for the Republic of Ingushetia, in the city of Magas, and of two railway trains in Kislovodsk (September 2003). He was one of the main organizers of the raid on Ingushetia by militants on 22 June 2004, the sortie into Grozny on 21 August 2004, the hostage-taking in Beslan of 1-3 September 2004 and the terrorist attacks in Moscow metro stations on 29 March 2010.
Umarov, and the terrorists under his command, leading the so called "Jihad" Reuters is attempting to whitewash and spin, are unequivocally terrorists associated with Al Qaeda, and in no way "freedom fighters" - their cause and methods by no means justified in any manner.

Image: "Russia's Bin Laden," Doku Umarov led terrorist death squads in Chechnya during the 1990's up until 2011 when the UN finally listed him as an Al Qaeda-affiliated terrorists. At one point, Umarov even declared himself "Emir of the Russian North Caucasus." His propaganda clearinghouse, the Kavkaz Center, was funded by the US State Department, as well as several supporting fronts including the National Endowment for Democracy-funded Russian-Chechen Friendship Society. The former currently supports US efforts to overthrow the Syrian government. The latter organization is currently backing the US State Department's recent PR ploy, "Pussy Riot." 
....
 
Reuters does concede that Chechnya's Muslim faith has been transformed from traditional practices to Saudi-perverted teaching spread from madrases both abroad and now springing up across the Caucasus Mountains over the last 20 years. Coincidentally, Saudi Arabia had created as a joint effort with the US, Al Qaeda over the past 30 years. It is young men passing through these madrases, teaching this perverted revision of Islam, that keep the ranks topped off of the West's foreign legion, Al Qaeda.  

Reuters claims efforts by former-Russian President Dmitry Medvedev to rebuild the region and relax measures put in place to rein in sectarian extremism were widely praised. The recent violence flaring up in the Caucasus region is explained by Reuters as the result of Vladimir Putin returning to the Russian presidency - and more specifically the result of Chechen President Ramzan Kadyrov "crushing all dissent." However, this sophomoric excuse ignores the fact that Kadyrov was actually president throughout Medvedev's "progressive" term in office, and assumes that readers are simplistic enough to believe President Putin's 4 months in office is long enough to so drastically upturn Chechnya's political landscape, that it would spur people to already take up arms and suicide-bombing belts.

Reuters attempts to sell the idea that armed militants are rising up against the government, and the idea it attempts to leave readers with is that people are turning to terrorism for a lack of a better alternative. Paradoxically, Reuters writes in the same report that these terrorists are also targeting indigenous Muslim sects, because, Reuters claims, they are "state-backed." In reality, this Al Qaeda led militancy is attempting to carve out the entire Caucasus region by either indoctrinating or killing off the local inhabitants - which is in essence a form of US-Saudi-backed imperialism on par with anything the rebels accuse Russia of.

The Joining US State Department-funded Opposition with US-Saudi-armed Terrorists

In reality, the West is opposed to President Putin's return to office. The West is also opposed to providing him with the stability to advance Russia socially, economically, and geopolitically outside the Wall Street-London consensus. Therefore, it has been determined that foreign-armed and directed mercenary militancy, a much more realistic explanation for the sudden surge in violence, will be used to ensure President Putin rules over a destabilized nation instead.

The tool of choice, as it has been since the 1980's in Afghanistan, are US-Saudi-funded terrorists indoctrinated with sectarian extremism, armed to the teeth, and unleashed to spread regression and destruction against all targets of Western foreign policy.

While US-backed opposition groups attempt to lay the groundwork for demonizing President Putin and the current Russian political order in Moscow, Washington is working diligently to raise a militant threat that can throw off balance Russia's superior security apparatus in a very similar fashion prescribed by US policy makers in Brookings Institution's "Which Path to Persia?" report in regards to Iran.

Providing Russia with a sizable militant threat inside its borders also blunts Russia's ability to thwart the West's hegemonic campaigns elsewhere - such as in Syria, against Iran, and throughout Central Asia. Ideally, linking the militancy to US-backed protesters in Moscow, and portraying it as a singular "political uprising" as it has done in Syria is the ultimate goal, opening the door for wider covert operations to be carried out across the entire country, as well as justification for sanctions and other punitive measures to be taken.

The trick left to professional propagandists like Reuters, CNN, BBC, and others, is to somehow mesh the US State Department's stable of proxies in Moscow with the militancy in Chechnya. By adopting the same language and alleged causes of  fighting "corruption" and  "oppression," already the media is attempting to entwine both movements, even though the two are in no way related aside from their foreign backing.

Clearing a Path for the Hordes: From Libya to the Caucasus Mountains.

The creation of a united front against Iran was the immediate goal of the Arab Spring. It has left the Arab World in disarray and has outright toppled nationalist governments, replacing them with pliable Western proxies. Tunisia, Libya, and Egypt are run by direct proxies of US foreign policy, while Syria, Lebanon, and Iran are left fighting foreign terrorists fueled by emerging sectarian extremist governments across the region.


Image: AQIM from northern Mali, LIFG from Libya, Muslim Brotherhood from Egypt, and with support from Saudi Arabia, Israel, Qatar, Turkey, and others - all are converging on Syria (in black), and then Iran. Should Syria or Iran, or both fall to Western-backed terrorist brigades, and if the West manages to use Kurds across Turkey and northern Iraq to create a conduit (in red), a path will be cleared into Russia's restive Caucasus Mountains and onto Moscow itself.  Nations standing in the way of this horde, including Turkey and Georgia, risk being carved up or drawn into protracted, costly conflict. Other nations at grave risk from Western-backed terrorism include Algeria, Pakistan, and China.
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Libya has become a safe-haven for Al Qaeda, a nation-sized terrorist encampment funneling NATO weapons, cash, and trained fighters to the borders of the West's enemies. Syria is facing what is essentially a military invasion led by Libyan terrorists, facilitated by NATO, specifically Turkey, and the Gulf Cooperation Council (GCC), specifically Saudi Arabia and Qatar.

Should Syria or Iran, or both collapse, and the West succeeds in carving out a Kurdish region controlled by militants armed and loyal to its cause, militants from across the Arab World can be trained from Mali and Libya, to Syria and Kurdistan, with weapons and supplies from everywhere in between being directed together, up through the Caucasus Mountains and into Russia.

Turkey of course would be the big loser, being carved up and added as part of Kurdistan to form part of the conduit - a gambit current Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan is both aware of and maliciously indifferent to - to the perceived benefit of his own advancement within the Wall Street-London elite, and to the collective detriment of Turkey and its foreseeable future.  

While it seems unfathomable that such a gambit can be conceived let alone executed, it should be remembered that the Arab Spring and the subsequent violent subversion of Syria was planned as far back as 2007-2008, with the indirect consequence of undermining Iran as the ultimate objective. That this itself is part of a grander strategy originating from machinations hatched as far back as 1991, orchestrated by US policy makers who compare geopolitics and the world map to a "Grand Chessboard," is fairly easy to comprehend.

There is no better way to control the vast resources, geography, and populations of Eurasia and beyond than granting everything from North Africa, the Middle East, and Eurasia to ignorant, indoctrinated, medieval zealots led by duplicitous co-conspirators who will wheel-and-deal with the corporate-financiers of the West while keeping their own populations in fear and darkness - simultaneously, perpetuating Al Qaeda throughout the developing world allows the West to impose draconian repressive measures at home, stifling true political and economic independence and self-determination across their own populations.

The result is global hegemony uncontested both at home and abroad, with a world population subjected to the machinations and whims of a scientific dictatorship rooted in Hilterian eugenics and Malthusian ideology.
 

La guerra dell’Occidente alla Siria

La guerra dell’Occidente alla Siria

Massimo Fini

"La libertà ha un valore se si conquista con le proprie mani, la rivoluzione libica è fallita perché in realtà non l’hanno conquistata i rivoltosi, l’hanno conquistata i bombardieri Nato. Nel caso della Siria, se c’è una guerra civile, a un certo punto chi ha veramente l’appoggio della popolazione finisce per prevalere, quindi è una forma molto più democratica, a un certo punto si assesta in qualche modo. Così non si assesta niente, cova sempre qualcosa sotto, come è successo in Egitto dove c’era un’autentica rivolta popolare, ma che è stata trasformata in un golpe militare."
Massimo Fini

I propri valori non sono assoluti

Ciao, sono Massimo Fini, sono uno scrittore e giornalista. In Siria si riproduce esattamente la situazione libica. C’è effettivamente un malcontento in Siria dopo tanti anni di dittatura di Assad, ma sono stati mandati, come sono stati mandati in Libia, agenti provocatori inglesi, francesi, fornite le armi a questi rivoltosi e può finire più o meno come è finita in Libia, dove solo un dittatore poteva tenere insieme realtà tribali infinite, realtà tribali religiose, etniche completamente diverse, è un po’ come era in Iraq con Saddam, perché l’Iraq è stata un’invenzione cervellotica degli inglesi, hanno messo insieme tre comunità che non avevano niente a che vedere tra di loro: curdi, sunniti e sciiti e quindi solo un potere molto forte, in questo caso particolarmente sanguinario.

 
Per quanto riguarda le manifestazioni che in questi giorni si susseguono, questo documentario (su Maometto, ndr) è semplicemente una scintilla, un pretesto. C’è in giro, ed è ovvio, un odio antiamericano per le ingerenze continue e costanti dell’America e di tutto l’Occidente. In realtà la cosa non è di oggi, è circa un secolo che l’Occidente si inserisce in quel mondo. Dopo gli attentati terroristici a Londra, il sindaco di Londra che si chiamava Livingstone “il Rosso”, molto amato dai suoi cittadini dice: “Sì, gli attentati terroristici sono una cosa terribile, inaccettabile, ma se la Gran Bretagna avesse dovuto subire 100 anni di ingerenze dal mondo musulmano, credo che io sarei un terrorista britannico”.
Certamente il problema è che continuamente, sia dal punto di vista proprio militare che economico - perché naturalmente abbiamo interessi etc., - ma anche dal punto di vista ideologico continuiamo a premere su questo mondo, perché si omologhi al nostro. La questione della donna è esemplare, si vorrebbe che la donna musulmana diventasse come quella occidentale. Ora il mondo musulmano si regge su un particolare ruolo della donna, è la loro storia, potranno cambiarla, forse, ma devono cambiarsela loro, non noi imporgliela, è come se un ipotetico Ayatollah venisse qui e dicesse: “Voi non avete nessun rispetto della dignità della donna, perché la esibite a pezzi e bocconi in pubblicità, nei film etc., la vendete come quarti di bue in macelleria”, noi gli diremmo: “Caro Ayatollah, il problema, ammesso che sia un problema, ce lo risolviamo noi, non sei tu che devi venire a insegnarcelo!”.
Oltre al fatto delle armi, degli interessi, parlo per l’Occidente in buonafede, c’è questa convinzione di avere i valori migliori, i valori assoluti, che abbiamo non solo il diritto, ma il dovere di portare agli altri mondi, ai mondi altri, diversi dal nostro, che è una concezione assolutamente totalitaria, tanto più grave perché viene da un mondo che si dice e si crede liberale – democratico. E’ molto ingenuo pensare che i propri valori, perché propri, sono assoluti e i migliori, anche un Nuer del sud del Sudan potrebbe dire la stessa cosa… C’è questa continua invadenza del mondo occidentale nei mondi altri, l’Africa in questo modo è stata distrutta perché i neri africani avevano culture molto raffinate, belle, ma non essendo monoteisti, erano anche fragili da un certo punto di vista, l’Islam che ha una cultura molto forte cerca di resistere.


Questo lo dico, non ho nessuna particolare simpatia per la cupa religione musulmana, non ho simpatia per nessuna delle tre grandi religioni monoteiste, però questi hanno una forza che i neri del centro Africa non avevano e quindi tentano di resistere.


Quindi quali potrebbero essere i tempi o cosa dovrebbe succedere? Lo diceva persino Luttwak, giornalista americano molto vicino alla CIA, in un’intervista alla stampa dell’altro giorno che gli occidentali dovrebbero smetterla di ingerirsi nelle vicende del mondo arabo – musulmano. Poi c’è la vicenda gravissima dell’Afghanistan che non viene quasi considerata, perché gli afgani sono sì musulmani, ma non sono né arabi, né cristiani, né ebrei, quindi se ne può fare carne di porco. L’altro giorno dei droni hanno scambiato delle donne che stavano raccogliendo nel bosco, nella foresta, mi pare che stessero raccogliendo pinoli, per un gruppo di talebani. Hanno sparato e ne hanno uccise 13, noi siamo i grandi difensori della dignità della donna, non mi sembra un buon modo per difendere la donna, poi questo avviene perché siamo diventati talmente vigliacchi che non mandiamo fuori le truppe di terra, lì la cosa è avvenuta perché c’è un attacco talebano a un avamposto, mandiamo fuori gli aerei e sempre più spesso i droni che sono aerei senza pilota, senza equipaggio, comandati a 10 mila chilometri di distanza e facciamo queste cose.

Tu hai il petrolio, io lo voglio!

Per gli afgani questo modo di combattere è talmente vigliacco che per loro è inconcepibile e quindi ha compattato intorno ai talebani anche gente che talebana non era affatto, per cui sono diventati moltissimi, oggi praticamente quasi tutto il popolo afgano. Questo modo di combattere è una delle ragioni per cui l’Occidente sta perdendo la guerra in Afghanistan.
C’è un bel libro di Pellizzari che si intitola “La battaglia al tempo delle more” che racconta molto bene - lui è stato sul campo a lungo dal 1974 inviato de “Il Messaggero” come questa mentalità occidentale si scontri con un’altra mentalità che è completamente diversa


La libertà ha un valore se si conquista con le proprie mani, la rivoluzione libica è fallita perché in realtà non l’hanno conquistata i rivoltosi, l’hanno conquistata i bombardieri Nato, nel caso della Siria se c’è una guerra civile, a un certo punto chi ha veramente l’appoggio della popolazione finisce per prevalere, quindi è una forma in realtà molto più democratica, se vogliamo, a un certo punto si assesta in qualche modo. Così non si assesta niente, cova sempre qualcosa sotto, è come è successo in Egitto, in Egitto c’era un’autentica rivolta popolare, è stata trasformata in un golpe militare, poi adesso è stato eletto questo fratello musulmano il quale però non è libero di muoversi, siccome l’esercito egiziano riceve finanziamenti enormi dagli Stati Uniti, è una specie di duarchia.
Se l’Egitto o la Tunisia o qualsiasi altro Paese di quell’area si sente musulmano, è musulmano, Finché questi non ci attaccano, non c’è nessuna ragione di attaccare, che poi è la teoria della guerra preventiva di Bush.

Ps. Il 22 settembre ci sarà un incontro pubblico a Parma a cui parteciperò. Avrà inizio alle 14 e terminerà alle 18 in piazza della Pace. Il tema di cui si tratterà è "Dies Iren - La fine degli inceneritori".

Daling rente op spaargeld: hold-up Europees leenkapitaal

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Daling rente op spaargeld: hold-up Europees leenkapitaal

door 

Ex; http://www.solidarisme.be/

De reële rente (nominaal min inflatie) die men op zijn spaargeld ontvangt, is nu al een hele tijd negatief. Een gemiddelde van 2% (premie inbegrepen) is nu courant en soms liggen de percentages al lager dan dat. De mogelijkheid dat we naar een nultarief gaan, is dan ook niet ondenkbaar, zeker als de ECB (Europese Centrale Bank) donderdag de termijnrente van 0,5%  nu naar een nog lager niveau  zal laten zakken.

De argumentatie van de ECB en van de kapitaalselite is officieel dat men door een verlaging van de rente het volume aan spaargeld wil verminderen bij de gezinnen, door die aan te zetten tot consumptie en investering. Met de hoop dat dit een economische relance zal aanwakkeren voor de kapitaalselite.

Maar de propaganda die het systeem hanteert om het sparen op die manier te ontmoedigen - en die in haar argumentatie een collectieve burgerplicht sugereert (het opdrijven van consumptie zal voor economische relance zorgen en zo werkgelegenheid scheppen) - is in feite bedoeld als rookgordijn waarachter zich grote kapitaalsbelangen verschuilen. En die kapitaalsbelangen worden gecoördineerd en georchestreerd vanuit de nieuwe hoofdkwartieren van de transnationale Europese instellingen, de "EU".

Met name de ECB die nieuwe tegoeden aan banken distribueert en dat aan historisch lage kosten (zie rentepeil). Op dit ogenblik kunnen banken tegen 0,5% rente geld ontlenen bij de ECB. Het is dus evident dat banken niet geneigd zijn om voor het geld van hun spaarders meer te betalen dan voor nieuw gedrukt geld. Het nieuwe geld ligt zo voor het rapen.

De elites van het leenkapitaal plegen op die manier en gigantische rooftocht op de burger. Want terwijl u de financiële kapitalisten spaargeld in onderpand geeft, waarvoor men u in feite niks geeft aangezien de inflatie de rente overtreft, storten de banken dat geld de facto op de rekeningen van de ECB. De ECB leent op haar beurt dat geld (en het bijgedrukte geld waarvoor de fractie aan reëel geld als onderpand dient) dan opnieuw aan de banken. Maar nu dus tegen een tarief van 0,5% en binnenkort tegen een nog lager tarief.

De banken lenen dat geld dan weer uit, maar deze keer helemaal niet aan het Sinterklaastarief waarvoor zij het geleend hebben. Zo vraagt een bank al vlug tot 5% op een hypotheek op 20 jaar. En voor consumentenkrediet wordt op een middellange termijn van 2 tot 5 jaar al vlug 6% en meer aangerekend. En dat terwijl juist het aanzwengelen van consumptie als argument dient om spaarders lage en negatieve rentes te geven.

Zo ziet u maar dat de "argumenten" van het leenkapitaal moeten gezien worden als wat ze zijn: propagandapraat.

De massa geld die banken op deze manier gratis ter beschikking krijgen, kan men dan verder nog lucratiever aanwenden. Bijvoorbeeld door extra geld van de ECB te lenen en dat geld daarna te beleggen in Europese probleemlanden. Daar kan men de winst maximaliseren, want 'de markten' krijgen er zoals geweten zeer hoge rentes. De Duitse (en andere) banken hebben voordien op deze manier een zeepbel in bepaalde lidstaten gevormd. Zij hebben geld aan landen geleend die daarmee een hypotheek op hun toekomst hebben genomen.

En nu krijgen diezelfde kapitalisten - naast miljarden aan staatsgeld waarmee ze hun verliezen kunnen dekken - ook nog eens gigantische bedragen toegestopt van de Europese Centrale Bank tegen een belachelijke rentevoet, zodat ze weer superwinsten op de kap van de spaarders kunnen maken! Twee keer bingo: de spaarders en burgers mogen collectief de verliezen (of beter gezegd: de verduisterde winsten) van de banken betalen en nu mogen ze ook hun spaargeld aan dumpingprijzen uitlenen aan diezelfde banken.

Waar het dus eigenlijk op neerkomt, is het volgende: de Europese transnationale elite heeft de belasting van burgers door de staat overgenomen in de vorm van leenkapitaal. Het zijn privébedrijven (banken) die de burgers nu belasten via een sluipweg. Dit door het laten betalen van bankenschulden door de burger. En vervolgens door het confisceren van geld door een lagere vergoeding van spaargeld te betalen dan het peil van de inflatie.

En dat allemaal georganiseerd vanuit en in naam van een niet bestaande superstaat: de Europese Unie. Het conglomeraat van het leenkapitaal en de transnationale elite uit de lidstaten.